Leslie Stephen, “The playground of Europe”

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awretus
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Leslie Stephen, “The playground of Europe”

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L. Stephen, The playground of Europe, 2nd ed., London 1895
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L. Stephen, Il terreno di gioco dell'Europa, Torino 1999
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Leslie Stephen (1832-1904) appartiene alla prima generazione dell'alpinismo inteso come sport, praticato da gentiluomini vittoriani. In un decennio alla metà del XIX secolo, prima di abbandonare le imprese più rischiose su richiesta della prima moglie, compie diverse prime ascensioni su 4000 e 3000, principalmente nell'Oberland. Non è mai primo di cordata, in quanto va a ruota di guide locali, verso cui nutre un'ammirazione sconfinata e con cui intesse rapporti di amicizia molto stretta, nonostante il divario culturale e sociale. Stephen non smette infatti i panni del rappresentante della società che dominava il mondo: in particolare l'igiene precaria del mondo alpino torna più e più volte nei suoi scritti, quasi come un topos letterario. Il medesimo atteggiamento snob è mantenuto verso i turisti che già allora si affacciavano sempre più numerosi nelle valli e che non erano in grado di capire perché lui volesse salire sulle cime e non si accontentasse di ammirare il sublime dalla terrazza del Rigi. L'ultimo capitolo del libro, scritto dopo l'abbandono dell'alpinismo, è un tentativo di aprire il suo cuore a costoro. Sono in consonanza soprattutto dove dice che l'alpinismo consente di sperimentare con la propria fisicità la maestosità delle montagne, di cui i turisti che restano alla base non hanno una percezione sensoriale, un po' come delle distanze siderali, impossibili da ricondurre all'esperienza diretta.

Mi piacerebbe evocarlo in una seduta spiritica, per sentire la sua opinione sugli impianti di risalita (attraversa per primo lo Jugfraujoch, dove oggi arriva il treno, e cerca nella montagna invernale la pace già persa da quella estiva), come anche dell'affollamento dei rifugi alla base delle vette di richiamo o i rigidi regolamenti di accesso a certe vie. Quella solitudine, che egli cerca sulle vette più elevate, oggi sembra esistere piuttosto sui terreni intermedi, inaccessibili ai turisti motorizzati e trascurati dagli alpinisti diretti in cima, oppure sulle cime secondarie.

Stephen sale con velocità impressionante e supera dislivelli mostruosi per gli standard attuali, spesso su percorsi ignoti, partendo alle due di notte per tornare a ora di cena; è poi unicamente interessato all'azione sportiva e trascura li aspetti naturalistici e l'antropologia delle popolazioni alpine. È ciononostante un acuto osservatore sia dei paesaggi, che dei propri sentimenti di fronte ad essi, che talvolta tempera con autoironia e dettagli farseschi dell'avventura o dei protagonisti. Il libro è perciò anche una miniera di esperienze che un escursionista sensibile vive sulla propria pelle, espresse però molto meglio di come saprebbe fare costui: mi è capitato di ritrovarmi sia nei suoi pensieri, che nei personaggi che deplora. Stephen faceva infatti parte dell’élite intellettuale della sua epoca: docente universitario, genero di Thackeray, padre di Virginia Woolf, che lo evoca nel personaggio del vecchio Ramsay in Gita al faro, è primo redattore di una monumentale opera di biografie aggiornata tutt'ora.
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Re: Leslie Stephen, “The playground of Europe”

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A margine di questo libro, segnalo che al forte di bard, fino al 14 gennaio 2024, c'è una mostra dei dipinti di Gabriel Loppè. Era un amico di Stephen e con lui condivise la contemplazione del tramonto dal Monte Bianco, descritta nella seconda edizione del libro. Proprio uno dei quadri dipinti in questa occasione, in cui Loppè portò in cima cavalletto, tele e tutto il resto, è adoperato come copertina della mostra

https://www.fortedibard.it/mostre/gabri ... aggiatore/
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