Storie Dimenticate

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Passa
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Storie Dimenticate

Post by Passa »

Ciao a tutti! Mi permetto di proporre alla vostra attenzione il mio romanzo intitolato Storie Dimenticate. Nasce tutto dalla mia passione per le escursioni e l'amore per il Monte Antola e la Val Brevenna. Di fatto i protagonisti (un po' insoliti), affrontano un viaggio che parte dal Monte Liprando, passando per il Monte Antola, fino a Reneuzzi e con destinazione Genova, lungo l'itinerario Due Quadrati Gialli fino ad Avosso e poi la via dei Forti di Genova.

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E qui un breve estratto:
Liutprando
Il vento sibilava maligno attorno alla croce malferma, formata da un rozzo palo di alluminio conficcato sulla cima erbosa del monte e puntellato da un cumulo di sassi, con due braccia storte imbullonate precariamente. L’erba ingiallita era piegata dalle raffiche tese e capricciose.
Qua e là, fra i sassi, neve e ghiaccio rendevano l’ambiente ancora più freddo e spettrale, alla luce della Luna quasi piena. Nel cielo invernale le stelle brillavano gelide e nitide, impassibili di fronte al modesto panorama che si stagliava da quella anonima cima, persa fra altre montagne pressoché uguali nella forma e nell’altezza.
Ammesso di poter tenere gli occhi aperti per le raffiche di vento, da quella cima dispersa fra gli Appennini, si potevano osservare anguste vallate immerse nel buio. Oscuri boschi addormentati nel gelo lasciavano solo intuire le forme degli alberi scheletrici, appena illuminati dai raggi della Luna. Nelle profondità delle gole, rabbiosi ruscelli rotolavano a valle con fragore di acqua spruzzata con violenza sulle rocce. Il suono delle cascate, gonfiate da interminabili giorni di pioggia mista a neve, si diffondeva nelle valli e risaliva i crinali dei monti, fino a perdersi nell’aria.
Un solitario barbagianni si lamentava più in basso, transitando di fretta attraverso una valletta laterale, proprio sotto la cima con la croce sghemba.
Sui fianchi delle vallate, alcuni pallidi lampioni segnalavano la presenza di piccoli paesi assediati dalla gelida oscurità. A parte le fioche luci fra le case, ben pochi indizi lasciavano intendere la presenza umana: una finestra illuminata in una casa, i fari di un’auto che temerariamente fendeva l’oscurità di eroiche stradine aggrappate fra rocche, frane, boschi e muraglioni di contenimento; un filo di placido fumo illuminato dall’eterea luce lunare si alzava dal camino di una casa isolata poco distante da un paesello addormentato. Il vento portava, a tratti, l’ululato di un lupo lontano che si dichiarava padrone di tutta quella terra toccata dalla sua voce. Il barbagianni, tornato indietro, se la rideva dell’effimero potere del lupo e sguaiatamente commentava quella azzardata presa di posizione gonfiata dal vento.
La tramontana aveva appena fatto piazza pulita di ogni nuvola nel cielo, ma i boschi erano ancora saturi di umidità e milioni di gocce d’acqua cadevano a terra, impattando con un sordo rumore sul tappeto di foglie morte. Il barbagianni si era spinto in alto e si era infine posato sulla croce, non senza fatica, a causa del vento.
Da lì, si era messo ad osservare i dintorni e infine diresse lo sguardo verso la cima del monte sotto di lui, dove una bambina, vestita poveramente, stava dritta in piedi, con il viso imbronciato e lo sguardo fisso diretto verso un modesto pianoro con qualche albero che lasciava spazio ad un prato, un centinaio di metri più in basso. I capelli biondi, coi riccioli a dire il vero un poco sgualciti e disordinati, rilucevano di una vaga luce fioca. Il nasino ingentiliva il profilo assorto della piccola che, con le braccia conserte, non sembrava doversi proteggere dal freddo, ma piuttosto sembrava attendere qualcosa o qualcuno, con impazienza. Di fianco a lei un giovanotto con il fucile si dava un contegno marziale, nonostante gli abiti da contadino. La sua camicia bianca rifletteva solennemente la luce della Luna, rivelando numerose cuciture, qualche buco ed anche alcune macchie. Un paio di bretelle verdi lo rendevano goffo, insieme a dei pantaloni di almeno due taglie più grandi e ad un paio di scarponi malandati, che rivelavano due piedoni dalla misura imponente. Anche il ragazzo osservava la radura sul pianoro, ma nonostante la concentrazione, non disdegnava di grattarsi il mento, fare una smorfia per allontanare un prurito dal naso, passarsi il fucile da una mano all’altra e cambiare gamba di appoggio. Si trattava di una scena surreale, resa del tutto incredibile dal fatto che i due personaggi avevano i contorni sbiaditi e la pallida pelle scoperta, oltre ad essere un poco livida, lasciava leggermente trasparire lo sfondo retrostante. Va da sé che i due erano veri e propri fantasmi, sorpresi nell’umana azione di aspettare qualcosa o qualcuno. La bambina, pallida e smagrita, era già di per sé piuttosto inquietante, non fosse altro che per l’insolita determinazione dimostrata su quella cima gelata, nel cuore della notte. Il ragazzo invece, infondeva un senso di rassegnata attesa, come se fosse lì solo per accompagnare la bambina.
«Eccoli» disse ad un tratto la bambina, indicando con il dito.
«Uh!» fece il ragazzo che, con l’aria pensierosa, si era distratto a guardare una costellazione.
Dal bosco spuntò una processione di nove frati, tutti in fila, guidati da quello che doveva essere l’abate, poiché indossava una tunica appena meno povera di quella dei confratelli, con qualche modesta finitura che voleva essere di pregio. In realtà la processione era ben misera cosa.
Si trattava di poveri monaci cenciosi, vestiti con un saio di lana grezza, rozze calzature di cuoio tenute insieme alla bell’e meglio da lacci consunti, un cappuccio sformato calato sulla testa e una grossa corda che penzolava dalla vita dondolando al ritmo dei passi. Le facce, del tutto simili fra loro, erano scavate dalla fame e dal vaiolo e rese irsute da barbe che sarebbero state bene anche addosso ad un cinghiale.
L'Alpe si scala. L'Appennino si viaggia, dall'Alpe si vede l'universo, e forse anche Dio, ma dall'Appennino si vedono gli uomini, e si vede il mare. (Maurizio Maggiani)
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