Diego Moreno, “Dal documento al terreno”

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awretus
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Diego Moreno, “Dal documento al terreno”

Post by awretus »

Diego Moreno, Dal documento al terreno, Bologna 1990 o Genova 2017
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Il titolo scarsamente acchiappa clic (che all’epoca della pubblicazione erano una novità tecnologica e non servivano allo scopo di farci consumare pubblicità) designa un manuale metodologico di ricerca storica e archeologica dei sistemi produttivi rurali di un professore dell’università di Genova.
In esso propone un metodo per far dialogare discipline diverse tra loro, non limitandosi a sovrapporre i rispettivi risultati, ma adoperando le informazioni di una disciplina per estrarre ulteriori informazioni dalle altre. Le principali discipline coinvolte sono: la geografia, l’archeologia, sia locale su singoli manufatti, che estensiva su ampi territori, la storia dei documenti, sia carte topografiche storiche che atti di processi, indagini, transazioni economiche etc. e infine l’ecologia storica, ovvero l’analisi della vegetazione attuale per risalire alle metodologie di sfruttamento passato del territorio.
Essendo un manuale universitario, dà per scontate un po’ di conoscenze. Consiglio di leggere prima almeno “Boschi, comunità, stato” di D. Bobba, che spiega in cosa consistono e come si sono succedute nel Regno di Sardegna delle metodologie di sfruttamento agrario delle zone arborate (il regime consuetudinario e il regime forestale), che Moreno cita spesso senza mai introdurle.

Il libro risale al 1990, ma In occasione del pensionamento del professore nel 2017 ne è stata edita una nuova versione, aggiungendovi dei contributi di chi ha collaborato e dialogato con lui. Purtroppo è reperibile solo con una procedura complessa e costosa dal sito dell’università di Genova, che ne è l’editore (io ho aspettato che ne saltasse fuori una copia di seconda mano sui siti specializzati)

L’interesse per l’escursionista ligure sta nel fatto che, per introdurre i discorsi teorici e metodologici, parte da casi concreti presi da territori oggi marginali del Levante, sia costiero che appenninico, su cui dà informazioni e chiavi di lettura del paesaggio che un semplice escursionista non sarebbe mai in grado di cogliere durante un’escursione in zona, con la semplice osservazione incompetente. È quindi consigliato a chi è interessato a decifrare ciò che vede, mentre chi si limita alla fruizione estetica può tranquillamente ignorarlo

Un cascame del libro secondo me molto importante è che mostra come lo sfruttamento agricolo e pastorale, che ha lasciato i manufatti paesaggistici e architettonici, tra cui oggi camminiamo e che ammiriamo, è il frutto di complessi processi storici, di una società in perenne mutamento e conflitto, per nulla statica, ma soprattutto inserita nel contesto di un’economia di scambio molto attiva e non di attività di mera sussistenza.
Anche se non era certo nelle intenzioni dell’autore, la lezione principale che oggi può trarre chi è interessato a tenere vivi questi ambienti è che non ha senso proporre politiche assistenzialiste di conservazione, ma bisogna cercare di inserire nuovamente questi territori nel circuito dell’economia, da cui sono usciti con la fine dell’era agricola del km 0, puntando sull’inclusione nella modernità e non vagheggiando il ritorno a una società passata che non è mai esistita. Infatti essi hanno prodotto tutti questi paesaggi e queste architetture solo nella misura in cui erano inseriti nei processi più dinamici dell’epoca e ne erano all’avanguardia; potranno tornare a essere vivi solo nella misura in cui intercetteranno e attiveranno le classi sociali più dinamiche e creative al giorno d’oggi. Il modello vincente attuale che mi viene in mente sono le Langhe, che hanno costruito un paesaggio vivo e dinamico, inserendosi nell’economia con prodotti destinati al mercato internazionale come vino, nocciole e tartufi. Nelle Alpi invece, oggi sono attivi dei nomadi digitali, che svolgono lavori da remoto e nel contempo riattivano territori lasciati all’incolto dai processi novecenteschi. Al tempo dei paesaggi descritti nel libro il centro attrattore era la capitale dello stato prenunitario, oggi bisogna allargare la prospettiva al mercato dei petroldollari, narcodollari, e così via, per vendere i prodotti agricoli ai ricchi, dal momento che questi territori accidentati non possono competere con le produzioni destinate al consumo popolare. In alternativa si può associare la mitologia rurale italiana a qualche esperienza ambita da costoro, un po’ come avevano fatto Arnaldi e i suoi eredi nella vicina Uscio, ovvero proponendo cure per il logorio della vita moderna (cit.). Se non sapete chi era Arnaldi, andate a leggere la mia relazione della via del mare.
Questo naturalmente comporterà una trasformazione e non un’imbalsamatura, ovvero le costruzioni e i campi saranno riutilizzati a fini diversi e avranno una vita adatta ai tempi nuovi. L’idea che il paesaggio rurale sia statico e vada preservato in una qualche forma ipostatizzata al riparo dall’intervento umano è una corbelleria di chi non ha mai letto i saggi del Sereni e dell’Agnoletti: dal principio della civiltà strutturata, la città ha sempre modellato la campagna a suo uso e consumo, il problema è solo farlo bene, in modo che anch’essa ne benefici.

Ringrazio infinitamente il conte Ugolino per avermi indicato questo libro

Stimolato da tutto ciò appena possibile farò una gita nella zona analizzata nei capitoli 2 e 3 del libro, ovvero la valletta del rio Sori; prima o poi arriverà una relazione, ora nel tempo libero ho altre priorità
«Vai finché sei giovane, perché da vecchio puoi solo andare al ricovero» (Saggezza occitana)
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Littletino
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Re: Diego Moreno, “Dal documento al terreno”

Post by Littletino »

Molto interessante, grazie per la segnalazione, anche se la mia pigrizia quasi sicuramente non mi consentirà di leggere questo manuale.

I concetti che hai così ben esposto mi trovano assolutamente d'accordo, e mi confermano quello che avevo cominciato a capire una ventina di anni fa, quando per un periodo mi ero occupato di impianti a biomasse.
Il combustibile in questione era il legname dei boschi, e mi era stato spiegato da parte di sindaci o imprenditori di alcune vallate alpine che, in assenza di un taglio regolare, le piante sarebbero invecchiate e morte sul posto diventando anche un pericolo per chi transitasse in zona.

Io avevo allora un vago concetto di bosco, mutuato dalla retorica pseudoambientalista anni '70, e lo consideravo un prodotto spontaneo che avrebbe avuto giovamento dal mancato intervento dell'uomo su di esso, lasciando che la Natura facesse il suo lavoro. Niente di più sbagliato.
Le foreste primigenie in Europa sono molto rare (se non sbaglio solo in Polonia se ne trovano ancora), tutto il resto è una coltivazione che aveva il preciso e importante scopo di fornire legname (da ardere o da costruzione) e frutta, e quindi se non sottoposte a tagli regolari diventano un disastro, come infatti sta accadendo in tante zone.
L'avvento di combustibili fossili e di materiali nuovi, come il cemento e la plastica, portarono infatti dalla metà del secolo scorso ad un rapido declino dei consumi di legname.

Adesso quando cammino in un bosco lo guardo con occhi diversi, per quanto non eruditi in materia, ma riesco comunque a leggerne spesso l'ordinamento colturale.
"Non importa quanto vai piano ... l'importante è che non ti fermi".
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