I cinque colli di Ferrere

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awretus
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I cinque colli di Ferrere

Post by awretus »

Ampio anello per mulattiere militari, con un lungo traverso sulla cresta di confine con la Francia. Ambiente molto vario d'alta quota, con pascoli, morene, macereti, picchi calcarei, laghi glaciali e il singolare arco di Tortisse.
Stavolta facciamo i CAI e andiamo al rifugio nel tardo pomeriggio, senza fare la camminata del sabato: ci siamo stati costretti dai turni del mio amico. Arriviamo mentre piove e dobbiamo filare di corsa dal parcheggio al rifugio. È stato ricavato nella canonica della nuova chiesa, costruita a inizio Novecento grazie alle donazioni di un missionario. Della vecchia, in pietra, è rimasto solo il campanile. Dismessa dopo la costruzione dell'attuale, era stata adibita a funzioni militari durante la Seconda Guerra Mondiale ed era successivamente caduta in rovina. Accanto al rifugio ci sono due maggiociondoli; pur non essendo imponenti quanto possono esserlo un faggio o un larice centenario, sono tanto più grandi di quelli che vedo di solito nei boschi, che comincio ad identificarne la specie, solo quando noto i velenosi frutti penzolare dai rami.

Chiesa - Ferrere
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Chiesa vecchia - Ferrere
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Chiesa - Ferrere
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Ferrere
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Chiesa vecchia - Ferrere
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Ceniamo con due sessantenni, che stanno percorrendo una settimana della traversata del Mercantour, che qui svalica. Il capo è di Mondovì, mentre la truppa è un toscano del Mugello e abita lungo la Via degli Dei, popolare trek appenninico, che però non ha mai percorso. Dopo la sostanziosa cena faccio un giro fotografico per le vie. Le case sono tutte ben tenute, da villeggianti, perché d'inverno non abita nessuno. Il nuovo campanile è illuminato all'interno ed è un buon soggetto, accoppiato alle nuvole crepuscolari che si dissolveranno la notte. Ad averlo saputo avrei portato il cavalletto, per scattare qualche lunga esposizione. La mattina prima di colazione ripeto il giro, incontrando un abitante, che se ne sta seduto all'alba sull'uscio di casa.

Rifugio Becchi Rossi
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Genepy
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Ferrere
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Ferrere
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Vallone di Forneris
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Monte Peiron
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Torrione del Ferro
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Torrione del Ferro
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Arc de Tortisse
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Arc de Tortisse
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Passiamo sotto i festoni attaccati al timpano della chiesa, attraversiamo le poche case, costeggiamo un orto cintato coltivato a genepy e usciamo da Ferrere in direzione ovest. Quasi subito troviamo un bivio, dove prendiamo a sinistra, superiamo il torrente e ci portiamo sul lato opposto del vallone. Da lì ammiriamo la conca erbosa in cui è costruita la frazione, in un punto in cui la valle si allarga per la confluenza di due valloni. I pendii sono modellati a ciglioni esposti a sud, dove una volta erano coltivate principalmente la segale e le patate, i prodotti più adatti a queste quote.
A causa della quota elevata, la stagione vegetativa era brevissima ed era necessario svolgere in pochissimo tempo tutti i lavori agricoli, per produrre il cibo per un anno, oltre che tutti i lavori di manutenzione alle case e alle infrastrutture, con carichi di lavoro assai gravosi. Gli abitanti descrivevano pertanto la vita plasmata da questo clima con l'aforisma «naou mézes d'uvern, tres mézes d'infern» (nove mesi d'inverno, tre mesi d'inferno). Non che d'inverno si battesse la fiacca, perché spesso, per integrare i magri redditi, era praticata un'emigrazione stagionale verso la Francia. Qui si facevano degli umili lavori sottopagati, che spesso generavano tensioni con i locali, sfociate ad esempio nel massacro di Aigues-Mortes; in altri casi si chiedeva anche solo l'elemosina, come racconta a Nuto Revelli una signora che da ragazza addestrava le marmotte a ballare e portava il numero in giro per le strade. Come in tutte le terre di confine, il contrabbando era una ghiotta opportunità di reddito; si trasportava un po' di tutto, dal tabacco al bestiame.
La prima attestazione di Ferrere è in una cartina del 1710, mentre sulle macine del mulino è incisa la data 1664. Tuttavia è improbabile che nel pieno della Piccola Era Glaciale i montanari fondassero un insediamento stabile così in alto; si può pertanto congetturare che esista dal Basso Medioevo, quando le Alpi furono colonizzate con insediamenti stanziali dediti all'agricoltura e all'allevamento transumante. Il toponimo naturalmente fa poi pensare ad un interesse minerario, ma potrebbe indicare anche solo una stazione delle carovane di muli che trasportavano il minerale. Questo potrebbe suggerire che qualche forma di insediamento esistesse anche prima. Già i Greci dalle colonie della Costa Azzurra si erano infatti spinti sulle Alpi attratti dai minerali metalliferi; forse hanno lasciato una traccia nel gergoun usato per le attività clandestine con la Francia, dove la carne era detta crea (in greco è κρέας) o il pane artoun (in greco αρτος). Oggi il paese non ha più abitanti stanziali e, come abbiamo appena visto, l'unica coltura praticata non serve più alla sussistenza, ma è un genere voluttuario ad alto valore aggiunto, da esportare verso la pianura. Con esso non si vende solo il prodotto, ma anche l'esperienza dell'alta montagna in un bicchierino di liquore. È probabilmente la strategia migliore per poter continuare a vivere qui e a mantenere viva l'agricoltura di montagna, in quanto le colture per i bisogni primari non potrebbero mai essere competitive con quelle di pianura (anni fa un pastore della val Vigezzo mi aveva fatto osservare che in montagna si beve il latte «della bassa»).
Attraversiamo un bosco di larici. Notiamo subito la gran quantità di funghi sul terreno, soprattutto laricini. Il gestore ci ha raccontato che quest'estate ha piovuto quasi tutti i pomeriggi, per cui i fungaioli si rifaranno ampiamente della scorsa annata siccitosa. Il sentiero aggira in quota una dorsale e passa dal vallone di Ferrere al vallone Forneris, nome che non sembra derivare dalla presenza di fornaci, ma da quello di una famiglia della valle. Il paesaggio è dominato dalla forma trilobata di una parete rocciosa, quotata ma senza nome sulla mia carta. Superato il bivio per il colle di Stau, da cui torneremo, il sentiero si avvicina al vasto piano erboso sul fondo del vallone, senza raggiungerlo, e riprendendo invece a salire regolarmente sul versante sinistro. In lontananza udiamo dei campanacci e vediamo dei vitelli bianchi al pascolo, credo di razza piemontese.
Facciamo una pausa nei pressi del gias metallico con fonte asciutta, quasi ai piedi del torrione del Ferro. Ai nostri piedi il pianoro erboso in basso termina contro un dosso roccioso montonato, formato da spuntoni con i piani di scistosità verticali, che formano una bastionata di scaglie arrotondate. In questa zona osserviamo bene la fattura militare del nostro sentiero, evidente nelle file di pietre ai suoi bordi. Proseguiamo scavalcando una colata morenica vegetata, formata da gobbe multiple, dove il sentiero serpeggia tra i massi, per poi risalire un pendio che ci porta a un piano. Da qui vediamo in alto alcuni stambecchi, mentre alle nostre spalle compaiono in lontananza il monte Scaletta e l'Oronaye, sul confine con la val Maira. Contornando alla larga il torrione del Ferro, risaliamo il fianco di una morena e per pendii erbosi siamo al colle del Ferro.
Le montagne che ci appaiono in lontananza sul versante francese sono di fascinoso aspetto calcareo. L'erba qui è giallina, mentre finora era stata verde. Non facciamo grandi pause, perché soffia una brezza fredda, ma proseguiamo senza indugio verso il col de Tortisse, ai piedi dell'omonima guglia. Dal traverso vediamo verso il basso delle guglie nere, che chiudono un piano glaciale circolare, su cui è edificato un alpeggio dall'architettura simile a quella delle case di Ferrere. Dal colle imbocchiamo il sentiero in discesa diretto al famoso arco calcareo di Tortisse e di lì in breve ai laghi di Vens. Ci affacciamo su un poggio, da cui dominiamo i laghi, chiusi in verdi conche tra dossi montonati, punteggiati di numerosi larici, nonostante la quota elevata, chiaramente grazie all'influsso marino. Ancora un breve tratto e siamo all'arco, dove bisogna fare la coda per la foto. L'arco è piccolino, di pochi metri di diametro (non so perché ma me lo figuravo enorme, dopo averlo visto nelle foto in assenza di scala). Vorremmo fermarci al di sotto, ma una coppia di francesi sulla cinquantina sta armeggiando furtivamente e ci fa capire che non siamo graditi. Ci andiamo allora ad accomodare in un punto panoramico sui laghi. Anche se è presto per un pranzo, mangiamo qualcosa, perché pensiamo che sul lungo traverso in cresta che ci aspetta farà freddo e non saremo invogliati a lunghe pause.

Karma Tortisse
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Karma Tortisse
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Laghi di Vens
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Verso il colle di Panieris
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Verso il colle di Panieris
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Monte Oronaye
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Ritorniamo sui nostri passi e, guardando l'arco dal sentiero di arrivo, notiamo che la signora francese ha indossato un vestitino bianco con decorazioni arancio e si sta facendo fotografare dal consorte in posizioni karmiche sotto l'arco. Non resisto e mi fermo anch'io a scattare qualche foto alla coppia, mentre il mio amico mi aspetta perplesso. Al colle di Tortisse incontriamo i due signori con cui abbiamo cenato, che oggi sono diretti al rifugio di Vens, poco a valle dell'arco; la loro tappa è quindi quasi terminata. Altri escursionisti ci chiedono da dove passeremo, perché sono interessati a fare una variante in discesa, e uno fotografa la nostra cartina con il cellulare. Speriamo che non si siano messi sulle nostre tracce, perché scopriremo che la nostra via sarà decisamente più scomoda di quella percorsa in salita per il colle del Ferro.
Con uno strato in più proseguiamo in quota, inizialmente sul versante francese, con vista grandiosa sui laghi. Al Pas de Blanches ci portiamo sul versante italiano, dove restiamo sulla traccia che taglia in quota il pendio. Chi volesse aggiungere una cima alla gita, può invece seguire quella di cresta e puntare alla Testa del Ferro, che peraltro è giusto una manciata di metri più alta dei passi. L'ambiente che attraversiamo, grazie alla natura calcarea delle rocce, presenta guglie sparse per un macereto dai colori caldi e accesi. L'ambiente diventa più desolato al colle di Panieris, per via del filo spinato arrugginito sparso sulla dorsale e del bunker di cemento in rovina. È l'opera principale del complesso che vedremo nel resto dell'escursione; era pensato per resistere all'artiglieria di medio calibro ed era armato con un pezzo anticarro, oltre che con le più comuni mitragliatrici.
Al colle c'è una palina, ma non ci sono indicazioni per il nostro sentiero, che prosegue comunque evidente verso la dorsale che scende a est dalla Testa di Garbe, fino a uno scheletro di cemento a forma di bivacco di modello Apollonio. Il mio amico, esperto di relitti militari, individua i resti di una teleferica. Quanto di più si riesce a leggere da un paesaggio, se si ha l'occhio allenato. Lo scheletro altro non è che il locale dov'era posto il motore. Alla nostra sinistra, più in basso, vediamo chiaramente il sentiero che dobbiamo seguire. Imbocchiamo una tenue traccia, che finisce in un macereto dove diventa sempre più incerta. Io qui mi sarei arreso, ma la caparbietà e l'ottimismo del mio amico lo portano ad individuare una vaghissima traccia di passaggio, che con tornanti ripidi e sdrucciolevoli discende il macereto e, contro ogni mia aspettativa, ci porta senza difficoltà a una casermetta bassa e lunga, dove il sentiero diventa marcato. Presumo sia più una traccia di animali che di persone, perché non ci sono segnavia né ometti, mentre poco più a valle vedremo alcuni escrementi di stambecco e altri di una volpe, che ha mangiato bacche di mirtillo.
Il sentiero militare scende molto gradualmente con una lunga serie di tornanti, aggirando il detrito di falda recente e restando invece sui prati. Verso il basso ha alcuni tratti di fattura pregevole, bordati di muri a secco ancora ben conservati. Al calare della quota, l'ambiente diventa meno brullo, con qualche macchia di vegetazione, tra cui ricordo delle piantine di carlina. Sulla cresta frastagliata alla nostra destra, chiamata Garbe di Stau, un albero solitario cresce tra le guglie. Da lontano non riesco ad identificarlo, ma immagino sia un pino cembro, il cui seme è stato nascosto lì dalla nocciolaia come riserva e poi dimenticato. Con un traverso ci andiamo a innestare su un'altra mulattiera militare, che sale dai Prati del Vallone; la sta percorrendo in discesa un signore con un voluminoso carico sulle spalle. Al bivio si trova una nicchia posta da una compagnia alpina con una statuetta della Madonna dipinta di rosa, anziché del canonico blu.
Ci fermiamo accanto a una casetta e mangiamo qualcosa. Vorrei pranzare, perché penso che questo sarà il posto meno freddo che incontreremo da qui all'arrivo, ma il mio amico è preoccupato dalle nuvole che si stanno addensando dal mare. Come ho notato altre volte nelle Alpi Marittime, le nuvole della pioggia non risalgono dalla pianura come nelle Alpi Occidentali, ma arrivano dalla Costa Azzurra. Vuole pertanto portarsi avanti con il lavoro. Mangiamo perciò solo un boccone e siamo di nuovo in moto. Il sentiero sale gradualmente con fitti tornanti, costeggiando alcuni edifici militari. Lasciamo sulla sinistra la traccia diretta al Monte Peiron, sulla cui vetta c'era un osservatorio. Non ci vuole molto ad arrivare al colle, dove il vento soffia freddo, ma le nuvole restano alte: i tremila dell'Oronaye rimangono al di sotto, come stamattina. Sull'altro versante ci sono dei grandi invasi di cemento in un pianoro pochi metri sotto il colle. Il sentiero scende abbastanza diretto, tanto che inizialmente pensiamo non sia il tracciato militare, ma una traccia nata dopo. Tuttavia più a valle noteremo le sbarre di ferro a cui si lega il filo spinato, piantate proprio in modo da poter sbarrare questo sentiero. Attraversiamo un macereto su cui è sparso del filo spinato arrugginito e puntiamo a un poggio panoramico, dove finalmente ci fermiamo per il pranzo.

Il sentiero per il colle di Stau
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Pioggia
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Ferrere
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Ci restiamo poco più del tempo necessario ad assaporare il panino, perché, nonostante il punto sia riparato dal vento, l'aria è decisamente fredda. È il primo fresco autunnale e non ci siamo ancora abituati. Il sentiero prosegue ripido e lo sarà sempre di più, al limite dello sbudellaginocchia, ma con fondo abbastanza regolare. Compare della brughiera a mirtillo e ginepro; il secondo fa pensare a un clima arido e in effetti qui, nonostante le Marittime siano più piovose delle Alpi Occidentali, siamo già in una zona di valle interna, con clima più continentale. Compaiono quindi i larici: il primo è un cespuglio deforme alto poche spanne, poi arrivano quelli con portamento arboreo, sempre più fitti, fino a fare un bosco. Sottraiamo qualche mirtillo alle volpi e ai passeri, ma non molti, perché le piogge frequenti li hanno resi succosi ma poco zuccherini. Ne hanno invece beneficiato i funghi, anche qui abbondanti. Un'impronta di uno zoccolo ferrato in una torbiera e delle fatte di vacca fresche ci fanno capire che il bestiame è appena sceso al pianoro dove lo abbiamo visto stamattina.
Con una discesa sempre più diretta, arriviamo allo sbocco a valle del pianoro del vallone di Forneris. I vitelli si sono radunati tutti qui. Valichiamo il ponte sul torrente. Mi tolgo gli strati che mi hanno scaldato finora e sono divenuti eccessivi. Mentre risaliamo verso il bivio, comincia a gocciolare, sempre più insistentemente, per cui all'incrocio indossiamo guscio e coprizaino. Ora il vallone, con le nuvole alte e la luce piatta, ha perso gran parte della forma e del fascino che aveva stamattina. I Becchi Rossi sono totalmente irriconoscibili, se non per la posizione, perché sono grigiastri e scuri. Lungo il traverso noto dei crochi in seconda fioritura, che stamane mi erano sfuggiti. Oggi abbiamo visto abbastanza fioriture, nonostante la stagione avanzata; ricordo in particolare varie specie di garofani rossi del genere Dianthus. La pioggia intanto s'infittisce e si dirada, come se le nuvole respirassero. Lo scroscio più forte arriverà quando saremo in vista di Ferrere: indosseremo i cappucci, la pioggia ci raffredderà le braccia e intirizzirà la mani. Mi piace molto prendere la pioggia, se non è un temporale che mi inzuppa le mutande, per cui estraggo ripetutamente la macchina fotografica per catturarne le sensazioni, anche se è molto difficile registrare le gocce di pioggia, ma bisogna ricorrere ad altri dettagli per suggerirle.

La Mizoun dal Contrabandier
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La Mizoun dal Contrabandier
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La Mizoun dal Contrabandier
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Arriviamo in paese mentre l'intensità della precipitazione sta già calando, per poi riprendere a tratti. Tuttavia non schiarirà e a ora di cena cadrà un rovescio più intenso. Per prima cosa pensiamo alla doccia calda e poi a bere qualcosa. La tappa di oggi era lunga e senza sorgenti, per cui un litro e mezzo di acqua è bastato a malapena. La doccia ha bisogno di ristrutturazioni, che la gestione subentrata quest'anno ha in programma, ma l'acqua è già ora piacevolmente rovente. Durante una pausa delle precipitazioni andiamo a vedere la casa museo intitolata ai contrabbandieri, dove è ricostruita un'abitazione tradizionale. Al piano terra, dove c'era la stalla, sono conservati attrezzi agricoli, mentre al primo piano sono ricostruite una cucina con il focolare e una stanza da letto; c'è anche qualche libro d'epoca di argomenti religiosi. Quello che non si è conservato è la copertura in paglia di segale, non più reperibile. Nonostante la deperibilità del materiale, un tetto di segale durava ben mezzo secolo; garantiva inoltre un buon isolamento termico. Oggi i tetti sono in lamiera, come è d'uso in questa valle. I tetti della parte superiore della frazione sono invece in scandole di ardesia, ricavata da una cava non lontana. Sono così da fine Ottocento, quando le case furono distrutte da un incendio doloso, appiccato per vendetta da un pastorello che non era stato pagato per il suo lavoro.
Stasera a pensione c'è solo una signora francese sui settanta che se ne sta sulle sue. Nel nostro piatto finisce del frico, una specie di frittata friulana fatta con patate e formaggio, anziché uova, in omaggio alla stagionale originaria di quelle parti. È una giovane promessa dello scialpinismo, così come il gestore ne è un allenatore, per la nazionale svizzera. Si autoinvita al tavolo dei gestori (ma poi va sua sponte a pagare il conto) uno dei villeggianti estivi della frazione, un personaggio che meriterebbe un ritratto in versi arguti da un De Andrè ispirato. Prima di cena si appropria del cruciverba, che la stagionale sta cercando di risolvere, e coinvolge tutti nella soluzione, anche la divertita francese per una voce sui porti bretoni. Guadagno il suo rispetto suggerendogli “asintotico”. A cena si inebria di reminiscenze giovanili, dei tempi perduti della nazionale di karate. Nonostante le narrazioni da miles gloriosus di sobborgo, nei suoi racconti sembra prevalere una romantica nostalgia dell'innocenza perduta, sull'orgoglio spaccone. Gli scintillano infatti gli occhi di luce divina piemontese, per rubare una sua definizione enigmistica, al ricordo dei denti che gli sono saltati e ha fatto saltare agli avversari, ricevendoli poi in dono appesi a una catenina d'oro. Non dimentica di menzionare le occasioni in cui si è riaggiustato con le Bic il naso fratturato. Nel corso dei suoi soliloqui, in cui gli altri possono inserirsi solo con versi di approvazione, apprendo anche che alla festa patronale di san Giacomo di Ferrere non si menano solo i pastori avvinazzati, come al san Bernardo di Roaschia, ma pure i lattanti. Peraltro gli va tutta la mia ammirazione per aver guardato il film dei Blues Brothers sette volte in due giorni, tra cui una volta nella lingua originale che non capisce, a causa di un guasto al telecomando. La sua scena preferita è quella con Carrie Fisher nel tunnel (la preferenza potrebbe essere rivelatrice del suo ménage). Tuttavia pare apprezzare maggiormente i più piani film di Bud Spencer.
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FRANKIE@
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Re: I cinque colli di Ferrere

Post by FRANKIE@ »

: Thumbup : Gran bel giro (di lungo respiro :risataGrassa: ) ed altrettanto belle foto =D> =D> =D> , apprezzo in modo particolare quelle del campanile della vecchia chiesa fatte in notturna : Ok :

Saluti :esclamativo:

FRANKIE@
"Perché con uno (occhio) tu guardi il mondo, con l'altro guardi in te stesso".

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daniele64
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Re: I cinque colli di Ferrere

Post by daniele64 »

=D> =D> Bell'anellone in una zona una volta tanto a me ( parzialmente ) nota ...
Peccato per le difficoltà con il tracciato nella seconda parte e soprattutto per il meteo che è stato assai variabile .... :angry1:
:smt006
Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato.[Charlie Chaplin]
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topo
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Re: I cinque colli di Ferrere

Post by topo »

i posti son, de bei posti,
ma traspare bene come ad andar in montagna c'è da gustare di più.
le tracce del'umanità passata e la varietà di quella presente,
per cui è bello poter fermarsi e stare,
invece di scappare su e giù per i monti

=D>
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awretus
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Re: I cinque colli di Ferrere

Post by awretus »

topo wrote:ma traspare bene come ad andar in montagna c'è da gustare di più.
le tracce del'umanità passata e la varietà di quella presente,
per cui è bello poter fermarsi e stare,
invece di scappare su e giù per i monti
Sì, infatti, le montagne italiane sono state molto colonizzate in passato, per cui le tracce umane fanno pienamente parte del paesaggio, come quelle delle glaciazioni o quelle dei camosci.
Stare nei paesi, parlare con la gente che ci vive, anche solo con i gestori del posto tappa, a volte locali a volte di chissà dove, che hanno voluto investire su quel luogo, è un plus dell'escursionismo. Anche la chiacchiera serale con gli altri escursionisti in rifugio (che spesso sono stranieri) fa apprendere un sacco di storie. Il mio modo preferito di andare in montagna è perciò il giro itinerante, quando queste occasioni si moltiplicano e fanno parte della gita tanto quanto la camminata.
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