Conca Cialancia

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awretus
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Conca Cialancia

Post by awretus »

Domenica 28 agosto 2022 siamo andati in esplorazione di questo vallone laterale della val Germanasca (valli valdesi), partendo a piedi da Linsard 1140m e salendo fino al lago Lauson 2038 m. Siamo saliti da un sentiero e scesi da una strada militare, purtroppo aperta ai mezzi motorizzati, ma con traffico esiguo. La salita avviene su bella mulattiera, con un aggiramento di una frana e un singolo passaggio con catena e staffa metallica, per aggirare un masso. Il vallone è molto infossato e interamente boscoso, con misto in basso e lariceto con vari sottoboschi in alto. A giudicare dalla quantità di ontani, pare essere molto umido. Ci sono delle belle cascate. Il culmine è il lago Lauson, che nella giornata di nuvolaglia aveva un'indole assai scozzese. Come detto, la strada per arrivarci non è sbarrata; alla fine c'erano una moto, un fuoristrada e i tizi avevano piazzato i tavolini con ogni ben di dio. La discesa avviene per la maggior parte molto gradualmente lungo la rotabile militare, che è più panoramica del sentiero di salita e offre belle vedute su Perrero e frazioni.

Abbiamo visto un biacco mentre eravamo fermi a pranzare e due caprioli mentre scendevamo in auto, oltre a capre e vacche negli alpeggi a 2000 m. Il vallone di salita sembrava zona da camosci, ma non ne abbiamo visti. Un bombo mi ha morso, ma senza conseguenze. Solo altre due coppie di escursionisti, il vallone è misconosciuto.

Voglio provare a risalire il vallone fino a alla testata o quasi, però con i colori autunnali, meglio ancora se con nuvole basse. Non ero molto ispirato con le foto, conto di esserlo alla prossima occasione.

Lunghezza; 17 km
Dislivello: 990 m
Durata: 5.40 h
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Borgate del vallone con sorbo dell'uccellatore
Borgate del vallone con sorbo dell'uccellatore
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Lago Lauson (Scozia 1)
Lago Lauson (Scozia 1)
Gattaro di trote
Gattaro di trote
Scozia 2
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Perrero
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Punta Muret, Bovile
Punta Muret, Bovile
Decorazioni valdesi
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Littletino
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Re: Conca Cialancia

Post by Littletino »

Interessanti le decorazioni valdesi.
Non sapevo praticassero il culto dei copricerchi in plastica ... che in effetti si possono considerare l'Eresia dei cerchi in lega leggera. :strizzaOcchio::
"Non importa quanto vai piano ... l'importante è che non ti fermi".
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awretus
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Re: Conca Cialancia

Post by awretus »

Partenza: Linsard 1173 m
Durata: 9.00 h
Dislivello: 1530 m

Conca Cialancia, ovverosia valanga, un nome e una promessa alle quali il vallone tiene fede. Si stacca dal ramo principale della val Germanasca poco prima di Perrero e corre da nord a sud racchiuso tra la val Angrogna e il ramo del Germanasca di Prali, innalzandosi da 800 ai quasi 3000 m della punta omonima.

Fino al limite della vegetazione arborea è incredibilmente stretto e profondo, dai fianchi dirupati e spesso inaccessibili, una versione amazzonica del topos romantico dell'orrido privo di cielo. Al di sopra dei 2000 metri, gli alberi lasciano spazio alla brughiera e alle praterie, il fondo si allarga e il cielo blu si avvicina, ma i fianchi restano ripidi e spesso rocciosi. Entrambe le zone presentano una tipica morfologia glaciale, con piani alternati a salti.

Se l'avessi visitato in un giorno di nuvole basse, l'avrei trovato indubbiamente gotico e picturesque, degno dei dipinti di Friedrich e Turner che tanto amo. Rimango invece fedele agli stereotipi mediterranei e scelgo pertanto un terso giorno autunnale, di cui nemmeno le nuvolette del pomeriggio alterano il temperamento, sì raccolto e solitario, ma da idillio anziché da sublime, con tanto di richiami d'amore dei cervi.

A causa dell'asprezza della geografia, la comba è in buona parte priva di manufatti umani, che non siano un paio di alpeggi contigui e le due vie percorse in questo anello. La prima è la via della Balma, mulattiera diretta dall'imbocco del vallone ai Tredici Laghi di Prali, un altopiano costellato di laghetti oltre il passo della Cialancia; nel tratto boscoso rimane dapprima sul fianco destro, poco sopra il fondo, per poi passare sul sinistro al primo alpeggio. C'è quindi una strada militare non completamente terminata, che si stacca dalla rotabile di fondovalle qualche chilometro prima di Perrero e si congiunge con la mulattiera al circo glaciale superiore del vallone, dopo aver corso quasi sempre alta sul fianco destro.

La militare, aperta al traffico fino al lago Lauson 2030 m, dal discreto fondo sterrato, consente di scindere questa escursione in due parti: si può infatti scegliere di raggiungerlo in auto e percorrere solo la zona alta e prativa, oppure limitarsi alla zona bassa e boscosa, lasciando l'auto a Linsard 1173 m raggiungendo il lago a piedi. Dopo averne percorso la parte bassa in agosto, cosa possibile grazie alla scarsa insolazione e alla copertura boschiva, stavolta ho combinato le due gite in una sola. Un purista potrebbe poi già imboccare il sentiero sin da Piano Faetto 842 m, poco oltre il ponte sul Germanasca, presso cui transito invece in automobile.

Nonostante la comodità di accesso e la vicinanza con Torino, anche in estate è raro incontrare folla: il vallone è un angolo trascurato dal turismo, che si riversa sui contigui e più turistici Tredici Laghi di Prali.


Lascio l'auto in uno slargo e, aperta la portiera, sono avvolto dal profumo dello stallatico e del fumo di legna; quest'ultimo proviene da una grande casa con veranda, il primo dalle vacche al pascolo sui prati a monte dell'abitato, dai quali giungono anche i muggiti e lo sbatacchiare di campanacci. Mentre il sole tinge di rosso punta Midi sull'adrech di Perrero, cambio l'acqua cittadina a una fontana, dove sono stati abbandonati dei pesci rossi, una pessima abitudine, in quanto la specie è aliena e invasiva. Tra case molto semplici, ne spicca una vecchia adornata da una vite attorno alle ringhiere dei balconi, come si usava una volta.

Al principio degli anni ’90 era stata prospettata la costruzione di una centrale idroelettrica, che avrebbe captato le acque del rio sottostante Linsard; unite a quelle di altri valloni, sarebbero state convogliate verso una vasca di carico a Faetto, la prima borgata del vallone, da cui la condotta forzata l'avrebbe portata alla centrale di Trossieri, nella strettoia del Germanasca, subito a valle di Perrero. Gli amministratori locali erano intimoriti dalle prospettive del traffico di TIR per il trasporto dello smarino delle gallerie, ma speravano di veder ampliare la stretta strada. Non se ne fece più nulla; purtroppo i giornali locali del tempo non sembrano essere stati digitalizzati, per cui non sono riuscito a scoprire per quali ragioni il progetto fu dismesso dai soli tre articoli de La Stampa che ho reperito.

All'imbocco della mulattiera, a un tornante della strada, c'è subito un cippo per ricordare tre ragazzi adolescenti morti l'8 agosto del 1944, durante uno scontro con i nazi-fascisti; la ricorrenza è celebrata ogni anno dall'ANPI con una cerimonia commemorativa. La resistenza al nazi-fascismo fu molto attiva in valle, sia per la storica ostilità valdese al regime fascista, ma grazie anche all'appoggio di don Severino Bessone, il parroco alpinista di Perrero. Il maggior successo fu la cattura del comandante del presidio tedesco (8 giugno 1944).

Un cartello indica in 4.30 ore il tempo necessario a raggiungere la punta; io ce ne metterò 5 per il colle. Passata una fontana con vasca litica, dove ora razzolano i cinghiali, il sentiero lastricato, dal fondo erboso zuppo di rugiada, corre subito molto bello, tra aceri, frassini, noccioli e betulle, tipiche specie di ricolonizzazione di coltivi perduti, che stanno cominciando ad assumere i colori autunnali. A monte è sostenuto da un muro a secco, sopra dei quali ci sono prati, che dovevano essere coltivati, che posso essere raggiunti anche con una scala di gradini a sbalzo. A valle è invece delimitato da un muretto, che lo separa al ripido pendio sottostante.

Dopo un tratto in piano, la mulattiera è interrotta in un impluvio e bisogna seguire invece una traccia che cala precipitevolissimevolmente verso il basso e poi si inerpica arrancando sul pendio ripidissimo, fino a ritrovare il tracciato originale. Vado indietro a vedere dov'è l'interruzione e la trovo immediatamente: è dovuta a una frana, che ha cancellato completamente il manufatto.

Entro quindi in una zona più selvatica, di boschi e dirupi. Oltrepassato un impluvio con rio, raggiungo una cengia panoramica sui paesi da cui sono partito, sulla chiesa barocca di San Martino, che dava l'antico nome alla valle, e quindi sulla dorsale boscosa che la separa dalla val Chisone, oltre a quella più elevata ed erbosa, che separa quest'ultima dalla val di Susa. Ai margini del tracciato i fiori rosa dei rododendri sono sbocciati in una seconda fioritura autunnale.

Le piante usano molte diverse strategie per fiorire nel momento giusto. Alcune si basano sulla lunghezza della notte e fioriscono quando è sufficientemente breve o lunga, in primavera o inverno. Nei climi con aridità estiva ci sono piante che fioriscono in autunno o inverno, che sono le stagioni più favorevoli; un esempio è il corbezzolo della macchia mediterranea, che fiorisce a novembre. Altre dipendono invece dalla temperatura: ad esempio, la segale richiede di essere esposta a un sufficiente periodo di freddo per fiorire. Altre invece sembrano slegate dai fattori ambientali, e fioriscono a ben precisi stadi di accrescimento. In anni passati, mi era già capitato di vedere una seconda fioritura di rododendri, ma a settembre: quest'autunno caldissimo li ha ingannati. Quale che sia la strategia, questa funziona fintantoché la fioritura avviene in condizioni climatiche che non mettono a rischio la riproduzione; con la modifica del clima che si prospetta, molte piante non saranno più in grado di sopravvivere negli areali attuali e dovranno emigrare, ammesso che ciò sia possibile dall'orografia e non siano invece condannate all'estinzione.

La cengia è stata sistemata artificialmente, ma purtroppo in alcuni punti è precaria. Ad un certo punto, svolta bruscamente verso sud e si inoltra in un vallone assai stretto e dai fianchi molto ripidi e dirupati, coperti da fitti boschi avviati al fulgore autunnale. Solo il fianco di fronte a me, esposto a sud ovest, è illuminato in alto dal sole, mentre io e quasi tutto il resto siamo ancora avvolti dall'ombra e probabilmente lo resteremo per tutto il giorno. Ricordo che, anche quando ero venuto ad agosto, non avevo patito il caldo su questa salita.

Ad un certo punto, sento dei rami spezzarsi nel dirupo sotto me e noto così una cerva, che altrimenti mi sarebbe sfuggita; vedendomi si inquieta e si allontana. Scendo per una ripida traccia in parte franata ad un impluvio di lussureggiante vegetazione, con un rio minimo. Sento a monte i richiami di un cervo, pur senza scorgerlo: ho molestato due amanti e ho interrotto il loro idillio! I cervi, di solito molto schivi, diventano imprudenti durante la stagione degli amori. Tra qualche giorno sentirò raccontare di un cacciatore di frodo che li avvicina in questi frangenti per poter sparare loro con facilità.

Dopo altri tratti panoramici, il sentiero si incunea nel vallone, che si mostra sempre più selvatico: sull'opposto versante, un ripido pendio, i picchi rocciosi e boscosi sono gli unici lembi a essere raggiunti dal sole; curiosamente il posto, pur essendo selvatico ha un nome, Ramella, che immagino derivi da ramâ, località cespugliosa, come anche ramie, il vino della valle coltivato dove c'erano cespuglieti prima dei disboscamenti medievali. Lo stesso termine ha anche l'accezione del settentrionale ravanare adoperato dagli escursionisti, tagliare per terreni impervi fuori sentiero.

Anche questo fianco d'altronde, non sarebbe affrontabile se non ci fosse il sentiero, sempre in piano e sempre più vicino al torrente, che guadagna quota molto gradualmente. Oltrepasso un filo del bestiame e incontro numerose fatte. Sono soprattutto gli aceri ad indossare la livrea autunnale, mentre i larici sono ancora verdi. Raggiungo una conca priva di vegetazione arborea, dove sono in compenso fitti gli ontani perché si scaricano le slavine; gli ontani beneficiano doppiamente delle slavine, sia perché eliminano i concorrenti, mentre loro si flettono senza spezzarsi, sia perché hanno bisogno di molta acqua, a causa dell'intensa traspirazione delle loro foglie. Una trentina di metri sopra il torrente, devo aggirare un grande masso con un passaggio aiutato da una catena e una staffa. Ci deve tuttavia anche essere una via alternativa, perché altrimenti non saprei come possano cavarsela le vacche.

Mi trovo ora di fronte a un salto vallivo: il fondo finora quasi pianeggiante si arresta contro balze boscose e si biforca: il vallone principale svolta verso sud, mentre uno secondario prosegue verso il colle della Balma, raggiunto da un sentiero, che si staccherà dal mio più a monte, all'alpe Cialancia. Sceso perciò al ponticello su un rio incassato, comincio una salita a tornanti bella ripida, tra radi larici e ontani. All'inizio ci sono degli scorci sulla strettoia del vallone percorso sinora. Resto sempre nei pressi del torrente, che in qualche punto presenta delle rapide e delle cascate. Scendo sul letto per fotografarne una e per poco un obiettivo non finisce in acqua. La mulattiera resta comunque molto ben fatta, anche se in qualche punto più fragile è devastata dal recente passaggio delle mandrie in demonticazione. Su un pianoro ombroso trovo anche qui rododendri in seconda fioritura. Sento sparare, perché in alto il vallone è parco, mentre qui dei cartelli avvisano che è zona di caccia specifica.

Oltre le cascate, il vallone spiana gradualmente e già intuisco la presenza del pianoro pascolivo dell'alpe Cialancia. Tra dossi morenici e i primi larici imbionditi, mi immetto su un ramo della strada militare, la raggiungo e alle 10.30 conquisto la mia aurora. Faccio una sosta solitaria e silenziosa su un masso.


Il paesaggio muta radicalmente: la valle mantiene i fianchi ripidi, ma si allarga decisamente, con un ampio fondo invaso dai detriti fluviali, la vegetazione arborea si dirada fin quasi a scomparire e, come detto, il sole inonda il paesaggio. Cambio anche versante di salita, passando su quello idrografico sinistro, solatio al mattino. All'alpe, i cui edifici sono diroccati, come detto c'è il bivio per il colle della Balma e Rocca Bianca, una frequentata meta scialpinistica, dal versante di Prali.

Proseguo su quello che era un prato, ora in via di riconquista da parte dei rododendri e dei larici pionieri. Nonostante sia ottobre fa abbastanza caldo e il sole picchia. Sul versante opposto è già visibile la strada militare che percorrerò al ritorno. Attraverso un paio di zone di ontani, una per un canalone di slavina, l'altra per risorgive, quindi fasce di larici e poi passo definitivamente in una brughiera di rododendri e mirtilli.

Un tornante, per aggirare delle balze rocciose, mi fa ammirare il paesaggio a valle, oltre il quale fa capolino prima il Lyskamm e poi il resto del Rosa, dal Breithorn alla Dufour. A monte invece domina il versante ombroso e cupo di punta Cialancia. Passo ai piedi di una paretina, il cui detrito di falda ha un po' invaso il sentiero. La traccia si fa più incerta in corrispondenza di una ripida serpentina, dove guadagna ripidamente quota, ma le segnalazioni consentono di non smarrire la via. Ammiro quindi lo spettacolo di larici traslucidi, tra le erte balze rocciose a valle dei laghetti Cialancia.

Mi imbatto in una zona franata, dove, dopo qualche incertezza, riesco a capire dove puntano le segnalazioni. La vegetazione alterna mirtilli e rododendri a ontani rinsecchiti, in quelle che dovrebbero essere le zone umide se non ci fosse stata la siccità di questi due anni. Può sorprendere vedere rododendri sia nel lariceto umido e ombroso di prima che su questo versante solatio: la ragione è che hanno bisogno soprattutto di neve invernale che li ricopra, perché altrimenti rischiano di essere seccati dal gelo, quando non possono attingere acqua liquida dal sottosuolo per bilanciare la traspirazione. Se gli inverni si confermeranno avari di neve come questi ultimi, il freddo sarà pertanto una grave minaccia per la loro sopravvivenza. Se poi mancasse l'acqua anche in estate, potremmo non vedere più le brughiere alpine macchiarsi di rosa e con essi sparirebbero i mirtilli che crescono alla loro ombra, con grave danno a cascata per gli animali che dipendono da questi ultimi per il sostentamento autunnale. Gli ontani invece sono benefici per la terra, in quanto ospitano nelle radici degli attinomiceti (organismi simili ai batteri, ma con ife come i funghi, responsabili dell'odore di terra che si sente dopo la pioggia), che fissano l'azoto e quindi fertilizzano il terreno.

Il sentiero improvvisamente torna molto ben costruito, lastricato e bordato di pietre, con una pendenza più accessibile rispetto alla serpentina. Alla fatica per il dislivello superato e la lunghezza percorsa, aggiungo le molteplici accucciate per fotografare i dorati larici pionieri, tra mirtilli rossi e lo sfondo del Rosa e di qualche nube bassa che risale da valle. Compare intanto la strada di fronte a me e capisco pertanto di essere quasi giunto ai laghetti. Qui le fatte di vacca e pecora sono molto più secche di quelle trovate nel traverso nel bosco.

La seguo brevemente, per poi imboccare delle vaghe tracce segnalate del prato, che mi portano a monte del primo laghetto, già piccolo e poco profondo di per sé, ma ridotto ancor più ai minimi termini dalla siccità, anche se con un bel colore azzurro, avvolto in una tipica conca di dossi prativi di origine glaciale. Quando ho un buon panorama sul lago, mi fermo a mangiare un po' di roba energetica, in vista dell'ultimo strappo.

Ho raggiunto lo sbozzo terminale della strada, che qui non fu mai completata. Subito è invasa dalla pietraia, poi diventa più pulita e sale gradualmente a tornanti nel magro prato, offrendo viste sulla valle sottostante, dove risalgono le nubi. Sul terreno ci sono qualche chiazzetta di neve appena caduta e degli escrementi di camoscio. Con uno strappo più ripido tra le pietre, raggiungo una spalla, da cui mi accorgo di essere arrivato al colle.


Non c'è vento e appare il lago Ramella, unico visibile dei Tredici Laghi di Prali, dove il progetto voleva far arrivare la strada, poiché nel 1939 era stata posta una batteria di quattro cannoni; uno disarmato è ancora presente nei dintorni del lago e lo vedrei se guardassi con il binocolo. Lo scopo dell'artiglieria era di tenere sotto tiro una zona francese adatta all'assembramento di truppe e a un'invasione, almeno secondo le convinzioni degli stati maggiori italiani, ancora legati alla Grande Guerra. Curiosamente, anche se qui c'è prato, il nome è il medesimo della zona boscosa presso il fondo del vallone, forse come ricordo di com'era l'altopiano prima dell'intervento dei pastori. Alle spalle, la cima più fotogenica è il Bric Bucie in val Pellice, per la sua forma aguzza, che visto da qui assomiglia la Pic de Rochebrune visto da nord, tanto che lo confondo con esso, invece da qui molto più tozzo e peraltro nascosto dal Gran Queyron e Cima Frappier, i due Tremila abbinabili in un'unica escursione.

Potrei anche scendere al lago o salire su punta Cialancia a vedere il Monviso, ma preferisco invece rilassarmi un po' e godere il panorama, anche se poi mi dimentico di spostarmi di qualche metro per guardare il Rosa con il binocolo, mancanza a cui rimedierò in discesa. Oggi è un giorno magnifico per stare all'aria aperta, ma quassù non c'è nessuno perché è un feriale. È una vera assurdità dover trascorre la maggior parte dell'età migliore della vita incarcerati a un posto di lavoro, quando la tecnologia ci dispenserebbe dal farlo. Purtroppo siamo sotto il controllo di una minoranza, che non riesce a pensare ad altro che ad accumulare roba all'infinito e indottrina tutti gli altri a considerare ciò normale, mentre potremmo lavorare la metà del tempo e dedicare il resto alle nostre passioni e ai nostri affetti improduttivi.

Mi sento come scombussolato dal trovarmi qui, lontano dal mondo, con la sola compagnia di qualche insetto, che mi ronza attorno, nel silenzio quasi totale. Non è sola la stanchezza per le cinque ore di salita. In salita avevo un po' di pensieri angosciosi su un futuro anelato ma impegnativo, passati grazie al cammino e al contatto con la natura; tuttavia ora l'immersione nel paesaggio rasserenante li ha sì rimossi, ma lasciandomi una sensazione di turbamento indefinito, legata al fatto che il mio futuro non sarà un eremitaggio quassù, ma mi dovrò confrontare con il mondo da cui mi isolo tanto volentieri.


In discesa incrocio un signore sulla sessantina che sta portando a spalle la sua MTB, salendo a passetti minuscoli, come sul Golgota sotto il peso della sua croce. Da carogna lo fotografo, ma lo rincuoro sul fatto di essere quasi al colle, anche se non gli faccio i doverosi complimenti per adoperare una bici muscolare anziché l'elettrica. Se non mi lancia addosso la bici è solo perché non ne ha la forza.

Faccio caso al laghetto superiore, che mi era sfuggito in salita, di colore verde e posto in una conca erbosa profonda. Sul tratto di pietraia, le vibrazioni dei miei passi in discesa mettono in fuga tre pernici. Arrivo quindi alla strada, dove accorcio i bastoncini e li appendo allo zaino, preventivando di non averne più bisogno.
La strada fu costruita per raggiungere i Tredici Laghi, altopiano considerato importante sia dal punto di vista difensivo che offensivo, per la possibilità di assembrarvi truppe e per il facile accesso alla Francia tramite il col d'Abriès. Il tratto fino al lago Lauson fu costruito tra il 1939 e l'entrata in guerra dell'Italia, su un terreno difficile a causa dell'acclività dei versanti. Ancora più impegnativa la porzione successiva, per la rocciosità del versante occidentale della catena di confine con la val d'Angrogna, che rese il percorso pressoché obbligato. Fu anche prospettata una galleria sotto il passo della Cialancia, poi scartata anche perché sarebbe stata ghiacciata e impraticabile per tutti i freddi inverni del tempo, oltre a essere più costosa e meno flessibile di un percorso all'aperto. I lavori furono interrotti nel luglio 1942, quando le sorti della guerra l'avevano resa inutile.

La strada prosegue lungamente in piano con un ampio giro alle falde della displuviale con la val d'Angrogna, offrendo belle vedute sul sottostante alpeggio, sui dirupi con larici visti in salita, su un pianoro glaciale sospeso, dove serpeggia un rio azzurro, su un fungo di roccia, sul sentiero di salita, su delle montagne bianche misteriose sopra tutte le altre. Nei siti escursionistici avevo letto che questa strada è noiosa, ma fatta in questo momento ha un panorama e una luce davvero superbi.

La zona a monte è quanto mai impervia a rocciosa. Avevo fantasticato di proseguire fino al passo del Roux e poi provare a a scendere all'avventura fuori sentiero fino sulla strada, ma ora mi rendo conto che avrei finito alla meglio con il dover tornare sui miei passi, alla peggio facendomi male o incastrandomi senza riuscire più a salire né a scendere, per di più in una zona dove non prende il cellulare e dove mi avrebbero trovato solo dopo qualche giorno.

Tra larici dorati sbuca quindi il lago Lauson, stretto in una conca pietrosa tra una colata di detriti e una parete rocciosa in ombra, presso cui sono parcheggiate tre fuoristrada e una Panda. Il nome è un pleonasmo, perché laouzoun significa laghetto in dialetto. Prima di raggiungerlo con un paio di tornanti, passo ai piedi di scoscendimenti rocciosi con larici sparsi.

Arrivo al lago, dove non c'è anima viva; tento qualche foto dalla riva, ma sono una peggio dell'altra. Faccio merenda con quello che resta della tisana e una brioche, mentre le nuvole dal basso e le ombre della sera dall'alto mi stringono a tenaglia.


Riempio la borraccia da un litro e mezzo ormai vuota alla fontana e riprendo la strada, che corre a monte del moderno alpeggio già scaricato, dove d'estate portano vacche e capre. Intanto un cartello annuncia che mancano ancora 2.30 ore all'arrivo, per cui terminerò giusto al tramonto. Nuvole salgono rade dalla valle e si dissolvono attorno a me, lasciando una densa foschia, da cui filtrano luci divine troppo evanescenti per poter essere fotografate. Le nuvole sono troppo incorporee anche perché possa sperare di vedere lo spettro del Brocken. Nei passaggi più densi comunque mi scateno, anche se i larici non sono più dorati. Ho scattato più foto dalla strada che dal sentiero di salita, che pure era più bello per un escursionista, ma la giornata limpida era meno favorevole del tempo dinamico del pomeriggio.

Compaiono quindi i paesi, ancora lontani e a malapena percettibili per la foschia. Ai primi tornanti finisco tra una lieve nebbiolina e comincia a fare più freschino, specie all'ombra, ora divenuta preponderante, ma neppure il sole ormai basso scalda più tanto. Prima o poi dovrò decidermi a indossare almeno la maglietta a maniche lunghe. Il paesaggio si fa per un tratto più noioso, perché dal basso la foschia e le nuvole sono più uniformi e meno fotogeniche, per poi tornare più gradevole con il sole e il blu dell'ombra del versante opposto. Compaiono i primi aceri accanto ai larici. Nel frattempo sono transitato accanto a una roulotte da pastore, presso cui ho sentito un forte odore di büc, ma senza vederlo, come già prima avevo udito dei fruscii nel bosco, senza però scorgere selvatici.

Il paesaggio del fondovalle, pur offuscato dalla foschia, è molto gradevole per i puntini chiari delle chiese e delle case, che spiccano illuminate dal sole. All'ombra di una roccia vedo il Chrysothrix chlorina, quel lichene color giallo evidenziatore che cresce sulle rocce silicee in luoghi umidi e ombrosi. Intravedo anche un animale nel bosco rado, ma scappa prima che capisca cosa sia, mentre non si era scomposto al passaggio di un fuoristrada di due vecchi, che mi aveva superato da poco, di ritorno da una puntata mordi e fuggi al lago; il comportamento è comune a molti animali sia domestici che selvatici. Compare del panorama su Perrero, in ombra e molto eterea, mentre la soprastante chiesa di san Martino resta ancora illuminata dal sole, che frattanto scompare pure da qui. Anche le cime filtrate dalla foschia sono troppo eteree, per cui poter essere fotografate nonostante la bella luce del tramonto le baci.


La percezione della vicinanza del paese di partenza si fa intanto anche uditiva, quando comincio a sentire i campanacci delle vacche al pascolo nei suoi dintorni. Il bosco si fa misto e lievemente più rado per un tratto, per poi infittirsi nuovamente. Mi sorpassano intanto alla spicciolata i fuoristrada visti al lago; noto che la Panda è della Città Metropolitana (il parco è di sua competenza). Costeggio un un filo del bestiame e lo varco, dove lascio la strada militare diretto a Cro del Sap, nome che richiama abeti bianchi ora scomparsi. Il nome mi piace, ma la frazione sembra abbandonata o quasi, nonostante una casa ristrutturata, visto che il vachè eletric traversa la strada senza cancelletti.

Oltre le case, il primo tratto di sentiero è fangoso per una sorgente non più regimentata. Poi si asciuga, ma non è molto frequentato, perché è invaso di ramaglie. Era però di pregio, perché è molto ben bordato di muri a secco a monte e valle. Transita per due gruppi di baite molto rustiche, a secco, che dovevano essere gli edifici di servizio ai terrazzamenti; taglia infine dritto per il pendio verso la mulattiera percorsa al mattino, dalla quale in breve rientro a Linsard, al crepuscolo.
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Laghi Cialancia
Laghi Cialancia
Alpe Cialancia
Alpe Cialancia
Lago Lauson
Lago Lauson
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Alpe del Lauson
Alpe del Lauson
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Punta Midi
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Tramonto
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Re: Conca Cialancia

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Aggiungo ancora qualche foto della prima parte
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Linsard e punta Midi
Linsard e punta Midi
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Laghi Cialancia
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Lago Ramella
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Nati per soffre
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