Causa lockdown e maggior tempo libero avevo iniziato a buttare giù un po' di appunti sulla mia Via Dinarica.
Non sono arrivato neppure a metà

ma spero di avere tempo ed ispirazione per finire la narrazione.
Posterò qui a "puntate" o meglio a giornate una sorta di diario di viaggio, sperando la lettura possa essere gradevole e magari utile a chi volesse affrontare questo percorso.
1 agosto 2017 – la FrecciaNeraIl treno regionale da Arquata Scrivia a Piacenza sbuffa e sferraglia ma è in orario.
Le carrozze del modesto convoglio sono dotate di aria condizionata, particolarmente gradita agli accaldati viaggiatori.
Tra questi si ravvisano sparute minoranze etniche di razza caucasica.
Vicino a Voghera, forse Nairobi, salgono e scendono numerosi pendolari dalla pelle color ebano.
Una donna vestita con colori sgargianti si siede nella fila accanto alla mia.
Sebbene imbronciata ha una faccia simpatica, ed una fisicità da cantante gospel.
Le squilla il telefono e da quel momento alla mole della vocalist abbina pure un tono di voce adeguato al personaggio, ma non alle circostanze nè al luogo.
Il concitato diluvio di vocali che rimbombano nella sua lingua, a me ignota, mi accompagnano martellanti fino al capolinea del “Freccianera” su cui mi trovo.
Da Piacenza ad Ancona viaggio invece su un affollato ma confortevole Frecciabianca.
La prenotazione mi garantisce un posto a sedere ma non il funzionamento dell’aria condizionata che ovviamente è guasta. L’anziana signora bolognese al mio fianco però si sventaglia con la perizia e l’animosità di una ballerina di flamenco e quasi mi devo coprire per evitare dolori alla cervicale.
Curiosamente il treno con biglietti più cari, passeggeri più elitari ed una presumibile minore percentuale di free riders, si rivela meno efficiente di quello “africano”.
Una sorta di razzismo al contrario, come se in questo mondo il tanto agognato egualitarismo proprio non si possa o non si voglia ottenere.
Alle 18,15 arriva puntuale, da Rimini, il convoglio su cui, a Ravenna, è salito il mio amico Mirko.
Non ci vediamo da inizio febbraio quando aiutai lui ed i suoi amici nella preparazione della maialata solidale.
Si tratta di un’iniziativa eno-gastronomica a scopo benefico, i cui eccessi vennero smaltiti l’indomani con una lunga ciaspolata sui monti di Campigna.
Siamo apparentemente molto diversi ma forse per questo compatibili, anche perché uniti da alcune passioni: la buona cucina, le escursioni, il vino, la musica dei CCCP/CSI, l’antijuventinità.
Fu amore a prima vista fin dal nostro primo incontro, avvenuto in modo fortuito tre anni prima, proprio durante un’escursione sull'Alta Via dei Monti Liguri.
Per fortuna ci separano quasi quattrocento chilometri, altrimenti la gelosia delle nostre compagne potrebbe sfociare in episodi di cronaca nera.
Cosa non da escludere SE e quando torneremo dall’avventura che stiamo per iniziare: settecento chilometri a piedi lungo la Via Dinarica, un mese e mezzo nei Balcani, lontani da casa.
Tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare. Adriatico nel nostro caso.
Proprio per questo ci troviamo ad Ancona, dove rischiamo di rimanere perché la biglietteria per i traghetti si rivela decisamente ostica da trovare.
Al controllo bagagli c’è una lunga coda che avanza regolare, ma lascia presagire un certo ritardo nella partenza.
Il mio coltello multiuso viene intercettato ma, verificata la lunghezza della lama, mi viene restituito.
Quello, ben più lungo, del mio compagno di avventura viene invece ignorato.
Partiamo alle 23, con circa un’ora di ritardo.
Nei bagni un avviso sgrammaticato invita i passeggeri ad un comportamento civile.
Gradualmente le energie dei passeggeri si esauriscono, come le scorte di cibo e le chiacchiere, mentre le poltroncine si trasformano in scomodi bivacchi per la notte.
La trascorro appollaiato come un pappagallo, utilizzando come cuscino un giubbetto di salvataggio.
Mirko preferisce invece vagabondare tra ponte ed aree comuni fino all’emozionante momento del sorgere del sole, che immortalerà "chiaro come un’alba...fresco come l’aria..."