Via Valeriana (lago d'Iseo)

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awretus
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Via Valeriana (lago d'Iseo)

Post by awretus »

Trovate le foto nel mio sito: http://www.cronoescursioni.it/escursion ... =valeriana

Ma cosa si è fumato chi ha prolungato la Valeriana fino a Ome? Roba più allucinogena del peperoncino del Quetzlatacatechenanmbo, senza dubbio, forse coltivata in quelle serre in disfacimento che costeggiamo ad un certo punto. Il percorso parte molto bene, passando accanto a un cinquecentesco maglio ad acqua ancora attivo, dove entriamo attirati dai colpi secchi che udiamo all'interno. Il maglio ha un piano di calpestio scavato un metro più in basso rispetto al terreno, per creare un salto sufficiente ad azionare la turbina Pelton che ne innesca il movimento. Il fabbro estrae la lama rovente dalla fornace, aziona il maglio e la martella con esso per donarle la forma desiderata. Ci mostra la base di partenza, pile di vari tipi di acciaio a diverso tenore di carbonio, che la lavorazione piallerà in lame per coltelleria di pregio. Non avendo prodotti finiti a portata di mano, il fabbro ce ne mostre le foto sul suo smartphone.

Il territorio

Poi però la Valeriana si perde tra negrarizzazioni, circonvallazioni trafficate, relitti agroindustriali riciclati in tavolozze dei writer e sterrate tra la boschina, dove sfrecciano le moto da cross in barba ai divieti. Ovverosia il lato oscuro della modernità italiana nata con il boom economico e l'urbanizzazione, che nulla ha da spartire con un tracciato di pretesa origine romana. Se volevano farne una vetrina della Franciacorta contemporanea, ha il fascino di un emporio di barriera piuttosto che della luccicante Times Square.
Solo quando ci affacciamo sul lago il paesaggio migliora, seppure tra luci e ombre. I dolci declivi nell'entroterra di buona parte della sponda bresciana in passato dovevano essere fittamente coltivati a oliveti. Assaporiamo il gusto molto delicato del loro extravergine in un ristorante ricercato, che è circondato da una coltivazione e ne produce di suo. Questa è la modalità odierna vincente per tenere in vita l'agricoltura su terreni marginali, aggiungendo valore con l'esperienza gastronomica, molto apprezzata dai turisti. Oggi molti oliveti sono ancora presenti ma in disarmo, mentre le villette in stile variabile da boom economico a millennial si sono arrampicate verso i monti dell'entroterra, contendendo loro lo spazio e inglobandoli a mo' di simulacri d'arredo. Così come hanno cinto d'assedio gli edifici preesistenti, come le numerose chiesette e i borghi dagli angusti vicoli. Gli edifici rurali isolati rimasti sono di solito in rovina, estinti con i vecchi contadini che li vivevano, insieme alla coltivazioni di cui restano i relitti: si è in genere preferito sostituirli con il nuovo, anziché riciclarli per i nuovi scopi. Un poco più a monte numerosi castagni da frutto sono tuttora in piedi, ma anch'essi abbandonati, segno che qui la loro coltura è durata fino a non molti decenni or sono.
Anche qui come da noi le precipitazioni sono scarseggiate negli ultimi anni. Già alla partenza notiamo che i rii sono al minimo, nonostante il giorno precedente fossero previsti acquazzoni. Impressione poi confermata dal resto del tragitto, dove solchiamo solo magri ruscelli e pressoché mai calpestiamo fango, anche nelle zone ombrose. La vegetazione sembra sostentarsi quasi con la sola rugiada, abbondante grazie all'umidità del lago, come nelle zone più aride della costa ligure. La proprietaria di un agriturismo a 900 m di quota ci racconta che lì la neve negli ultimi anni è latitata.
Come frattaglia della nuova occupazione del territorio, non più per viverlo modellandolo, ma per adoperalo come sfondo del proprio tempo libero, sono comparse anche qui le panchine giganti, nate nelle Langhe una decina di anni fa e poi proliferate per vie sotterranee nei territori eccessivamente calpestati dai turisti, come le infestazioni da carice rigida sui pascoli scalpicciati dal bestiame. Ne troviamo una presso un'antica torre. L'appezzamento intorno al manufatto è stato sommariamente disboscato, lasciando i moncherini degli alberi. Un cartello ne spiega a chiare lettere le finalità, ovverosia trasformare il territorio in uno spettacolo con lo scopo di attrarre turisti, per beneficiare economicamente della loro presenza. Sottolinea come tali monumenti facciano ritornare bambini, l'età in cui si è i migliori bersagli dei messaggi pubblicitari consumisti. Pochi anni fa il lago è poi stato teatro di un colossale opera di land art a fini promozionali, i pontili arancioni dell'artista bulgaro Christo, di cui ci sono ancora visibili i tazebao commemorativi, nel paese da cui partivano.
Incontriamo anche delle industrie. Un cameriere ci indica un'azienda rivierasca centenaria, con l'adiacente cava oggi dismessa e rimpiazzata da altre più all'interno. Produceva refrattari per le acciaierie e oggi si è adattata alla deindustrializzazione convertendo la sua produzione in ghiaia per vialetti. Suo gemello è un cementificio sulla riva bergamasca, con annessa cava ciclopica, che «ha prodotto il cemento per metà delle case lombarde», ci spiega sempre il cameriere.

La via

Il percorso si mantiene in genere a distanza dal lago, in quanto in passato le sponde erano paludose e magari malariche, restando un centinaio di metri più in alto. Quasi mai il fondo ha un aspetto antico, tranne che in pochi tratti, perché è stato recentemente rinnovato a beneficio dei camminatori, come del resto sono stati aggiunti lunghi steccati di legno sul margine a valle. Un poco più a monte corre una superstrada, che ha liberato la costiera dal traffico diretto alla val Camonica, ma con i suoi viadotti ha anche compromesso la viabilità tradizionale. Qui come nei paesi il sentiero si smarrisce nell'orrido; all'ingresso di un borgo ci tocca anche bordeggiare la rotonda di uno svincolo della superstrada, poco dopo essere transitati sotto i suoi viadotti, tra un po' di immondizia sparsa. Qualche volta, su consiglio di preziosi fonti locali, abbiamo percorso mulattiere tradizionali, che non sono curate né segnalate a beneficio degli escursionisti. Di alcune di queste mi ha colpito quanto fossero ripide. La cura dei sentieri al di fuori della Valeriana è limitata a quelli più in alto, che abbiamo seguito, in base al sacro principio secondo cui si va in auto nel punto più elevato possibile.
Abbiamo infatti introdotto qualche variante al volo al percorso prestabilito, in parte mossi da interessi nostri, in parte condizionati da contingenze. La principale è stata di salire l'ultimo giorno in cima alla Corna Trentapassi, una montagna dalle pendici di dirupi erbosi a picco sulla parte settentrionale del lago, chiaramente riconoscibile fin da Iseo. Nonostante una densa foschia aleggiasse sul capo meridionale del lago e nascondesse del tutto la bassa, il panorama, che si estendeva dal Rosa all'Adamello, è stato all'altezza delle aspettative. Dalla vetta siamo rientrati sulla Valeriana, per un bellissimo sentiero in traverso nei boschi, dapprima solatii di querce, poi ombrosi di faggi e abeti, uno dei tratti più piacevoli e vari del viaggio, movimentato anche dalla visione di uno profondo crepaccio nella roccia calcarea. Non abbiamo infine proseguito fino al termine della Valeriana, ma siamo tornati verso sud per un tratto, seguendo la dismessa strada costiera tra Toline e Vello, oggi trasformata in pista ciclopedonale. Si snoda in riva al lago in una zona dove bianche pareti calcaree scendono fin quasi sulle sponde e non c'è posto per abitati. È stato un modo molto gradevole di terminare il viaggio, alla luce del tramonto. La maggior parte dei suoi frequentatori non ha però il nostro piglio contemplativo, perché la usa piuttosto come palestra per svolgere sport sfreccianti, anche se privi di mezzi motorizzati.

I confidenti

Come anticipato, alcuni utili consigli ci sono giunti da gente del posto, di solito gestori dei locali dove ci siamo fermati a pernottare o anche solo per un caffè, che evidentemente erano soliti frequentare i sentieri della zona. L'albergatore della prima notte è stata una vera miniera. Già in fase di prenotazione ci ha suggerito una mulattiera storica per scendere da una chiesa al suo albergo in riva al lago, risparmiandoci dei tratti di strada asfaltata. Analogamente il giorno dopo, per riallacciarci, ci ha disegnato una mappa del tesoro con indicata un'altra mulattiera storica, che confluiva nel percorso segnalato, dopo essere transitata tra fenditure calcaree e ciglioni dismessi. Entrambi i percorsi non erano indicati né segnalati, né di dominio comune: un netturbino che conosceva la Valeriana, il secondo mattino ci ha guardati perplesso, mentre andavamo a imboccare la mulattiera suggerita dall'albergatore, in direzione divergente rispetto alla strada asfaltata, lungo cui avrebbe voluto spedirci.
All'albergo delle piramidi di Zone (i classici funghi di terra con un masso in cima, in un deposito morenico eroso), ci hanno suggerito i sentieri migliori per raggiungere la Corna Trentapassi e ci hanno anche indicato quali evitare, oltre a tessere le lodi della pista ciclopedonale. Il loro accento era sensibilmente diverso da quello dell'autista del bus preso a Brescia, che ci aveva indicato la fermata corretta a cui scendere e l'imbocco del sentiero. Questo infatti mi ricordava la parlata della Valpolicella veronese, mentre quelli avevano un'aspirazione marcatamente bergamasca. Infine all'agriturismo, dove abbiamo pranzato l'ultimo giorno con un detour, ci hanno indicato un vecchio sentiero nel castagneto, anch'esso non segnalato, per ritrovare il percorso ufficiale abbandonato per raggiungerlo.

La fauna

In effetti il sabato sulla Corna Trentapassi di escursionisti ne abbiamo incontrati davvero tanti, dopo che nei due giorni precedenti avevamo incrociato solo una manciata di persone, che rientrava da un percorso attrezzato, e un gruppetto di tedeschi. I camminatori tendevano però a concentrarsi sul percorso più breve per la vetta, secondo uno dei dogmi della disciplina, per scomparire invece da tutti gli altri sentieri. La vetta era affollatissima e abbiamo avuto il piacere di trovare un campionario simile a quello che affolla le nostre montagne, tra cui coloro che si complimentavano con sé stessi per il tempo impiegato e coloro che ponevano il Cervino accanto all'Adamello.
Quel sabato abbiamo incontrato anche tantissimi cacciatori. Fin dal mattino abbiamo udito i colpi di fucile dalla nostra stanza, che sono divenuti sempre più vicini e numerosi a mano a mano che ci inoltravamo nel bosco. Come anche dalle mie parti, salivano in auto fino all'appostamento, sparando quasi dal finestrino. La cosa incredibile, però, è che si erano costruiti un capanno a un crocevia di sentieri (un loro fuoristrada era parcheggiato in modo da occludere un imbocco) e sparavano come forsennati mentre passavano le frotte di escursionisti, che sgusciavano chini e intimoriti. Abbiamo anche trovato un tordo impallinato in mezzo al sentiero. Sparavano infatti ai volatili: polenta e osei è un classico di quelle parti, mentre di cervi o caprioli in tre giorni non abbiamo visto né orme né fatte, né udito bramiti. Qualche cinghiale invece ci deve essere, perché ne era in corso l'annuale sagra in un paese rivierasco. Gli ambientalisti nei decenni scorsi hanno dovuto combattere duramente, per far vietare almeno i metodi più crudeli di caccia, come le reti. Queste peraltro non erano usate solo lì (sul Beigua ci sono ancora i capanni che erano usati per questo scopo), ma l'usanza si è protratta più a lungo che altrove. Abbiamo anche visto un cacciatore infilarsi in moto con il fucile a spalla per il sentiero da cui provenivamo.
Un po' orchi anche a onnivori come noi ci sono sembrati anche al maneggio dove ci hanno proposto tagliata di puledro (d'altronde i ristoranti italiani come secondo offrono quasi solo carne, o pesce al mare e ai laghi). Invece all'agriturismo dell'ultimo pranzo tengono le capre per rasare i prati, ma le fanno morire di vecchiaia, perché non hanno cuore di macellare i capretti. Non possono neppure produrre formaggi, perché i costi di costruzione dei locali mungitura e stoccaggio sono spropositati, rispetto alla produzione di una manciata di capre.
I più numerosi erano però i turisti e gli automobilisti. Ci avevano avvisato che questo lago era ancora più affollato di altri analoghi, ma il traffico dei macchinoni lungo le strette stradine dirette nel nulla ci ha nondimeno impressionato, anche nei giorni feriali. L'ultimo giorno abbiamo fatto i turisti a Monte Isola, la grande isola al centro del lago (una delusione), per cui hanno coniato il primato di isola lacustre più alta d'Europa. Abbiamo assistito a battelli su battelli scaricare orde su orde a tutte le ore, nonostante fossimo in bassa stagione (la navigazione seguiva già l'orario invernale). D'altronde sin dai primi metri avevamo trovato un sacco di gente a spasso, nonostante fosse un giovedì mattina.
Abbiamo anche incrociato di striscio un matrimonio. Al bar del B&B di Zone, al mattino alle 8.30 era in programma un rinfresco con snack e panini, una tradizione del posto, motivata dal fatto che la cerimonia era prevista lontano in val Camonica e il pranzo a orari tardivi in Franciacorta (la baldoria è infine suggellata da una gallina bollita e farcita, da mangiare ormai a notte fonda). Il ritrovo aveva attirato ai tavolini anche i non invitati, attratti dallo struscio. Abbiamo scorto il nerboruto sposo aggirarsi per il paese con un tight nero, del tutto fuori luogo indosso al suo aspetto da contadino, come degli zoccoli ai piedi di un agente della City.

Conclusioni

Complessivamente sarei in dubbio se suggerire il percorso ad altri escursionisti. Lungo il tragitto, ci sono molti posti che vale la pena vedere, ma la bellezza è discontinua e frammentata, frammista a zone residenziali anonime e tratti di triste campagna in disarmo, già ai margini dei paesi. Il tratto da Ome a Bosine è da sconsigliare tout-court.
Il sentiero del Viandante, un analogo percorso lungo la sponda orentale del Lago di Como, mi è piaciuto decisamente di più.
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Re: Via Valeriana (lago d'Iseo)

Post by daniele64 »

Dopo aver visto le foto , non posso che condividere pienamente le tue conclusioni . Lungo il percorso ci sono diversi bei posti che vale la pena visitare , ma pure alcuni altri evitabilissimi , che fanno tristezza ... Comunque un giro del genere in buona compagnia dev'essere sempre una bella esperienza . : Thumbup : =D> =D>
:smt006
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Re: Via Valeriana (lago d'Iseo)

Post by awretus »

La mia amica è stata più sartoriale nella scelta dei soggetti: ha ritagliato il bello (impresa non facile con il grandangolare del cellulare), per conservare solo i ricordi migliori del viaggio. Come ho avuto già modo di scrivere, io sono invece interessato alla narrazione del territorio che attraverso e ne accolgo anche il malriuscito. E poi mia mamma ha commentato: «Ma che belle casette!» Una mia zia era rimasta delusa dalle Cinque Terre perché non ha trovato luoghi per lo shopping. A chi non cammina piace questo e modella il territorio a sua immagine e somiglianza.
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Re: Via Valeriana (lago d'Iseo)

Post by psiconauta »

awretus wrote:sono invece interessato alla narrazione del territorio che attraverso e ne accolgo anche il malriuscito
sei bravo in questo. son serio 8)
Image
...........non seguitemi, mi sono perso anch'io !
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Re: Via Valeriana (lago d'Iseo)

Post by awretus »

psiconauta wrote:sei bravo in questo. son serio 8)
Esiste un intero genere fotografico dedicato. Si chiama New Topographic (in italiano neotopografia), dal nome di una mostra degli anni '70 che lo lanciò. Il sottotitolo era "Man altered landscape" (paesaggio modificato dall'uomo), una definizione che ha poco senso in Italia, dove c'è una millenaria tradizione di paesaggio alterato dall'uomo a fini agricoli (tipo le fasce). La si capisce se si pensa alla realtà statunitense, dove era in contrapposizione agli spazi selvaggi dei parchi nazionali, soggetto prediletto dei fotografi. I padri nobili, tra coloro che esposero a quella mostra, sono due: Robert Adams (da non confondere con l'omonimo Ansel, quello delle foto in bn di Yosemite e dintorni) e Stephen Shore. Il primo era un appassionato di natura, colpito dallo sviluppo suburbano del Colorado, in cui viveva in quegli anni. Il secondo è invece un fotografo concettuale uscito dalla Factory di Warhol.
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