Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

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Andrea Bezimen
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Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

Fatto ad agosto 2014, e' uno dei tanti sentieri sui passi di San Francesco e ritengo sia probabilmente il piu' bello.
Si parte da Dovadola (Forli) e si procede per trecento km lungo la dorsale appenninica.
La prima parte e' paesaggisticamente superba, in particolare le tappe da Corniolo a La Verna.
Il parco del Casentino e il bioparco di Sasso Fratino in particolare sembrano scenari incantati da film.
Dopo LaVerna i peasaggi si fanno meno selvaggi e piu' antropizzati, ma si incontrano diverse piccole citta' e borghi affascinanti come: Caprese (paese natale di Michelangelo), Sansepolcro, Gubbio.
Non nascondo che la vista da lontano della Basilica e l'arrivo al suo cospetto mi strapparono qualche lacrimuccia.

Chi ha pazienza e ama leggere qui puo' trovare un resoconto dettagliato:
https://www.buonviaggioitalia.it/wp-con ... aPatri.pdf" onclick="window.open(this.href);return false;

Chi ne ha meno e alla lettura preferisce i video:
https://www.youtube.com/watch?v=kOEmb9WhxTk" onclick="window.open(this.href);return false;

Per domande e curiosita' sono a vostra disposizione
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lupo della steppa
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by lupo della steppa »

Minkia oh ....lo voglio fare anch'io ,giuro....cioè ,io vorrei ,in un futuro spero prossimo,partire da qui,da casa mia e andare a piedi in Umbria per bricchi,per la precisione a Terni da miei parenti a rifocillarmi dalle fatiche del viaggio :risataGrassa: ...adesso me lo guardo con calma e poi mi sa che ti chiederò qualche consiglio
...montagna vissuta,tempo per respirare... (Reinhard Karl)

"Quando le luci si spegneranno per sempre il mio popolo sarà ancora qui.Noi abbiamo le nostre antiche usanze.Sopravviveremo."
(Nuvola Rossa,capo Sioux)
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by lupo della steppa »

Ma chi è il folle che canta il pezzo di Battiato :risataGrassa:
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

lupo della steppa wrote:Minkia oh ....lo voglio fare anch'io ,giuro....cioè ,io vorrei ,in un futuro spero prossimo,partire da qui,da casa mia e andare a piedi in Umbria per bricchi,per la precisione a Terni da miei parenti a rifocillarmi dalle fatiche del viaggio :risataGrassa: ...adesso me lo guardo con calma e poi mi sa che ti chiederò qualche consiglio
Se hai tempo ne vale sicuramente la pena !
Dal Sassello potresti raggiungere l'AV, poi nei pressi della foce dei tre confini vai in direzione Berceto per prendere la GEA le cui ultime tappe si sovrappongono al Cammino di Assisi (Camaldoli, Badia Prataglia, La Verna, Caprese Michelangelo)
Sarebbe un itinerario meraviglioso.
E' un po' lunghetto, ma potresti anche scomporlo in due/tre periodi diversi come feci io per l'AV.
Se ti servono consigli chiedi pure.
Spero di essere in grado di risponderti : Thumbup :
Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

lupo della steppa wrote:Ma chi è il folle che canta il pezzo di Battiato :risataGrassa:
Il mitico Giovanni Lindo Ferretti che nel diario del Cammino cito un paio di volte.
E' stato front man, cantante e paroliere di CCCP, CSI, PGR con una parabola artistica che spazia dagli esordi punk in stile filosovietico (almeno nel look) al misticismo, con le vette (musicalmente parlando) del periodo CSI
Tabula rasa negli anni 90 fu un raro caso di musica indipendente arrivata in vetta alle classifiche.

Attualmente alleva cavalli a Cerreto Alpi...e se farai la GEA passerai davanti a casa sua :wink:
Ogni tanto fa ancora concerti con le vecchie canzoni (ne vidi uno a Genova 5 anni fa), talvolta invece fa spettacoli equestri o si esibisce accompagnato da un fisarmonicista.
Un personaggio
A molti inviso per la sua evoluzione musicale e politica, ma indiscutibilmente un personaggio
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by lupo della steppa »

Ti chiederò sicuramente consigli ,vorrei partire nella primavera 2021 ....se tutto va come sto pianificando...è una specie di voto che ho fatto e che vorrei fare tutto in una volta ma senza nessuna fretta ,prendendomi tutto il tempo che voglio,, senza tappe massacranti.Alta via,sentiero Italia,vedremo ...il cammino di Assisi mi verrebbe giusto bene quando arriverò in Umbria ,vedremo :risataGrassa:
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by lupo della steppa »

Andrea Bezimen wrote:
lupo della steppa wrote:Ma chi è il folle che canta il pezzo di Battiato :risataGrassa:
Il mitico Giovanni Lindo Ferretti che nel diario del Cammino cito un paio di volte.
E' stato front man, cantante e paroliere di CCCP, CSI, PGR con una parabola artistica che spazia dagli esordi punk in stile filosovietico (almeno nel look) al misticismo, con le vette (musicalmente parlando) del periodo CSI
Tabula rasa negli anni 90 fu un raro caso di musica indipendente arrivata in vetta alle classifiche.

Attualmente alleva cavalli a Cerreto Alpi...e se farai la GEA passerai davanti a casa sua :wink:
Ogni tanto fa ancora concerti con le vecchie canzoni (ne vidi uno a Genova 5 anni fa), talvolta invece fa spettacoli equestri o si esibisce accompagnato da un fisarmonicista.
Un personaggio
A molti inviso per la sua evoluzione musicale e politica, ma indiscutibilmente un personaggio
Ah ecco,mi pareva uno con un storia interessante alle spalle : Thumbup :
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

lupo della steppa wrote:Ti chiederò sicuramente consigli ,vorrei partire nella primavera 2021 ....se tutto va come sto pianificando...è una specie di voto che ho fatto e che vorrei fare tutto in una volta ma senza nessuna fretta ,prendendomi tutto il tempo che voglio,, senza tappe massacranti.Alta via,sentiero Italia,vedremo ...il cammino di Assisi mi verrebbe giusto bene quando arriverò in Umbria ,vedremo :risataGrassa:
Sarà un viaggio memorabile.
Anche e soprattutto dentro te stesso.
Per i consigli chiedi senza problemi, spero di essere in grado di risponderti ed esserti utile.
Fortunatamente il tuo itinerario segue percorsi importanti, ben segnalati e ben interconnessi.
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by psiconauta »

Andrea Bezimen wrote:A molti inviso per la sua evoluzione musicale e politica, ma indiscutibilmente un personaggio
eccomi ! :smt006 :mrgreen:

scherzi a parte, personaggio è un personaggio......io vidi 2 volte i CCCP dal vivo (entrambe a Genova, tra l'altro) e avevo tutta la loro discografia, non sono mai stato più comunista di tanto ma un po' punk sì, perciò mi piaceva il loro essere un po' fuori posto......................già come CSI li trovavo un po' troppo adagiati su se stessi (e più pallosi, sinceramente), poi dopo la sua svolta mistica (che ci sta, no problem x quello) ma soprattutto dopo l'appoggio alla lista antiabortista di Giuliano Ferrara anche apposto così, grazie

lo capisco, comunque, ho anche letto "Reduce" e leggerei qualcos'altro di suo a tema appenninico, e senz'altro passassi di lì gli farei un saluto e berrei un gotto alla sua.......l'appennino parmense in effetti dovrei esplorarlo, un poco........anche se cammini di più giorni non ne ho mai fatto (non che non mi piacerebbe l'idea) ma mai dire mai....diciamo che non sono particolarmente religioso e sono un pò allergico ai "cammini" (che ora vanno così di moda) creati da qualcun altro....tenderei a crearmene uno, magari, ecco 8)

grazie comunque per tutte le info : Thanks :
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...........non seguitemi, mi sono perso anch'io !
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

psiconauta wrote:
Andrea Bezimen wrote:A molti inviso per la sua evoluzione musicale e politica, ma indiscutibilmente un personaggio
eccomi ! :smt006 :mrgreen:

scherzi a parte, personaggio è un personaggio......io vidi 2 volte i CCCP dal vivo (entrambe a Genova, tra l'altro) e avevo tutta la loro discografia, non sono mai stato più comunista di tanto ma un po' punk sì, perciò mi piaceva il loro essere un po' fuori posto......................già come CSI li trovavo un po' troppo adagiati su se stessi (e più pallosi, sinceramente), poi dopo la sua svolta mistica (che ci sta, no problem x quello) ma soprattutto dopo l'appoggio alla lista antiabortista di Giuliano Ferrara anche apposto così, grazie

lo capisco, comunque, ho anche letto "Reduce" e leggerei qualcos'altro di suo a tema appenninico, e senz'altro passassi di lì gli farei un saluto e berrei un gotto alla sua.......l'appennino parmense in effetti dovrei esplorarlo, un poco........anche se cammini di più giorni non ne ho mai fatto (non che non mi piacerebbe l'idea) ma mai dire mai....diciamo che non sono particolarmente religioso e sono un pò allergico ai "cammini" (che ora vanno così di moda) creati da qualcun altro....tenderei a crearmene uno, magari, ecco 8)

grazie comunque per tutte le info : Thanks :
Sei ben informato : Thumbup :
purtroppo la sua "conversione" o "mutazione" è stata oggetto di discussioni, ma alcune sue canzoni rimangono pietre miliari della musica italiana degli anni 80-90 e questioni morali non intaccano il valore dell'artista, per me molto elevato
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by giobibo »

.....e io che pensavo che Bezimen fosse spam : WallBash : : WallBash :

=D> =D> =D>
“L’acqua esiste per la sopravvivenza del corpo. Il deserto esiste per la sopravvivenza dell’anima”
Proverbio Tuareg
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

giobibo wrote:.....e io che pensavo che Bezimen fosse spam : WallBash : : WallBash :

=D> =D> =D>
: No Spam : :risataGrassa:
No, non credo di essere spam…anche se il mio tardivo contributo al forum magari può essere un po' logorroico.
Ma quando si parla di escursioni, trail o semplicemente di viaggi faccio fatica a fermarmi.
Per questo ho preferito indicare links ai video o ai diari di viaggio piuttosto che fare post chilometrici.
Resto però a disposizione per rispondere (o provarci) ad eventuali domande e curiosità

PS: avrei da pubblicare qui anche un memoriale del Tour del Monte Bianco (agosto 2015) ma mi trovo all'estero ed ho gli appunti ormai impolverati a casa...meglio che li trascriva prima che li mangino i topi... :risata:
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by lupo della steppa »

Andrea Bezimen wrote:
giobibo wrote:.....e io che pensavo che Bezimen fosse spam : WallBash : : WallBash :

=D> =D> =D>
: No Spam : :risataGrassa:
No, non credo di essere spam…anche se il mio tardivo contributo al forum magari può essere un po' logorroico.
Ma quando si parla di escursioni, trail o semplicemente di viaggi faccio fatica a fermarmi.
Per questo ho preferito indicare links ai video o ai diari di viaggio piuttosto che fare post chilometrici.
Resto però a disposizione per rispondere (o provarci) ad eventuali domande e curiosità

PS: avrei da pubblicare qui anche un memoriale del Tour del Monte Bianco (agosto 2015) ma mi trovo all'estero ed ho gli appunti ormai impolverati a casa...meglio che li trascriva prima che li mangino i topi... :risata:
Siii 8) ,pubblica che lo voglio leggere....pensa che io il giro del Bianco l'ho fatto nel 1992 in mountain bike
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by lupo della steppa »

Andrea Bezimen wrote:
lupo della steppa wrote:Ti chiederò sicuramente consigli ,vorrei partire nella primavera 2021 ....se tutto va come sto pianificando...è una specie di voto che ho fatto e che vorrei fare tutto in una volta ma senza nessuna fretta ,prendendomi tutto il tempo che voglio,, senza tappe massacranti.Alta via,sentiero Italia,vedremo ...il cammino di Assisi mi verrebbe giusto bene quando arriverò in Umbria ,vedremo :risataGrassa:
Sarà un viaggio memorabile.
Anche e soprattutto dentro te stesso.
Per i consigli chiedi senza problemi, spero di essere in grado di risponderti ed esserti utile.
Fortunatamente il tuo itinerario segue percorsi importanti, ben segnalati e ben interconnessi.
...che voglia di partire ,partirei adesso :pensoso: ....speriamo dai che vada tutto bene e che possa farlo l'anno prossimo
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

lupo della steppa wrote: Siii 8) ,pubblica che lo voglio leggere....pensa che io il giro del Bianco l'ho fatto nel 1992 in mountain bike
In realta' prima di pubblicarlo dovrei scriverlo.
A casa in Italia, da qualche parte, dovrei avere gli scarni appunti presi durante le soste del cammino.
Magari potrei limitarmi ad un racconto piu' scarno ed essenziale di quanto sia abituato a fare :wink:
Sicuramente piu' facile ed immediato recuperare la cartella con le foto e creare uno slideshow del tour, cosa che potrei fare anche da qui.

Mediamente invidiavo i bikers, tranne nei punti in cui erano costretti a spingere o caricarsi a spalle i loro mezzi.
Va detto che nel 92 (in quel periodo ero piu' dedito alla MTB che al trekking o trail) le bici erano "leggermente" diverse da quelle di oggi.
Molto spesso degli autentici cancelli...la mia Olmo rigida in alluminio con shimano deore lx era gia' considerata una bici di livello medio alto.
Nel 2016 (quando feci il TMB) tutte le bici avevano sospensioni, telai super leggeri, rapporti piu' agili, e molte erano e-bike (che personalmente non amo)
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

lupo della steppa wrote: ...che voglia di partire ,partirei adesso :pensoso: ....speriamo dai che vada tutto bene e che possa farlo l'anno prossimo
Non disperdere questa energia e raccoglila con gli interessi tra un anno : Thumbup :
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by lupo della steppa »

....avevamo delle belle bici per l,'epoca,io una gt--all-terra e il mio amico una Gary Fischer..certo rispetto ad oggi dei cancelli..
Comunque anche una slideshow sarebbe interessante : Thumbup :
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

lupo della steppa wrote:....avevamo delle belle bici per l,'epoca,io una gt--all-terra e il mio amico una Gary Fischer..certo rispetto ad oggi dei cancelli..
Comunque anche una slideshow sarebbe interessante : Thumbup :
Belle davvero per l'epoca...praticavo cross country ma adoravo la "downhillista" Missy Giove che era fuori come un melone.
Slideshow caricato a tempo record e con musica pallosissima di default offerta dal tubo…
Per creare un topic dedicato al TMB aspetto di tornare in Italia e vedere se recupero gli appunti perché andando a memoria direi una vaccata di date, nomi, tappe...posso solo dire che i punti meno gradevoli del tour furono la partenza da Courmayeur e la deviazione (causa pioggia e rifugio sui monti pieno) a Chamonix: la montagna in Hogan… :evil1: sebbene in quei giorni si era in periodo di UTMB :skifree:

Per ora: https://www.youtube.com/watch?v=ohUyhzRAHDk" onclick="window.open(this.href);return false;
Giusto per riportare a galla un po' di ricordi a te ed altri che lo hanno fatto…e magari invogliare altri a seguirci
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

Ho aperto apposita scheda per il tour del monte Bianco.
Essendo bloccato all'estero, non sono riuscito a recuperare i miei appunti. Ho scritto quindi solo qualche annotazione generica e ripubblicato il link allo slideshow
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by lupo della steppa »

Visto la slideshow 👋
...sei bloccato per via della pandemia,come butta li dove sei ?....ci pensavo oggi ...chissa se qualcuno è rimasto bloccato su qualche "'cammino " ...certo,vista la situazione qui in Italia , è l'ultimo dei problemi purtroppo 😟 ;mi sa che a causa dei soliti furbetti qui vieteranno a breve anche l'attivita fisica all'aria aperta..speriamo di uscirne presto ✊
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

lupo della steppa wrote:Visto la slideshow 👋
...sei bloccato per via della pandemia,come butta li dove sei ?....ci pensavo oggi ...chissa se qualcuno è rimasto bloccato su qualche "'cammino " ...certo,vista la situazione qui in Italia , è l'ultimo dei problemi purtroppo 😟 ;mi sa che a causa dei soliti furbetti qui vieteranno a breve anche l'attivita fisica all'aria aperta..speriamo di uscirne presto ✊
Ciao Lupo. Mi trovo attualmente bloccato in Armenia.
Dovevo rientrare mercoledì ma mi hanno cancellato il volo. Al momento qui la situazione non è ancora degenerata, ma non mi fido molto della sanità locale...
Certo anche rientrando in Italia dovrei cmq farmi la mia bella quarantena e poi vivere comunque barricato in casa se le cose non migliorano...e non credo che mia moglie potrebbe venire con me. Situazione ingarbugliata.
Però sotto sotto sono ottimista e spero che la situazione migliori nelle prossime settimane, in modo da poter rientrare in Italia. Magari per Pasqua : Thumbup :
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

Visto che il "diario a tappe" della Via Dinarica ha riscosso un buon gradimento, provvedo ad inserire le tappe che mi portarono ad Assisi nel 2014.

Prologo

I passi si sommavano secondo una logica binaria, incapace di reggere la crescita esponenziale e le variazioni di ritmo delle chiacchiere che scandivano ed alleviavano la nostra ascesa lungo l’ombreggiato versante Nord, ricoperto da una fitta faggeta.
Più che il fiatone ad interrompere il nostro incedere fu l’emozione.
Al culmine di un ripido strappo in diagonale l’ospitale ma cupa foresta, appena rischiarata dalle prime luci di una frizzante mattina di inizio giugno, si aprì lasciando spazio ad un balcone naturale di viva roccia.
Questo, protendendosi per alcuni metri nel vuoto, ci mostrò, complice un cielo perfettamente terso, un’inaspettata quanto emozionante visione.
La vista, rivolta esclusivamente verso ponente, consentiva di abbracciare centinaia di chilometri spaziando dalle spiagge della Riviera Ligure alle vette innevate delle Alpi, passando per una serie infinita di cime e valli appenniniche. Ci veniva offerta in un solo colpo d’occhio una sorta di panoramico riepilogo del cammino lasciatoci alle spalle, non consentendoci tuttavia di scrutare quello che ancora ci attendeva a levante. Proprio come quando si riflette sulla propria esistenza, si possono redigere bilanci, archiviare rimpianti e rimorsi, celebrare successi e rinverdire i ricordi. Per quanto si ipotizzino scenari ed obiettivi, il futuro però rimane sempre un’affascinante incognita, intessuta di timori, speranze, sogni e cassetti in cui riporli di fronte ad ostacoli ed imprevisti insuperabili.
Il cammino come metafora della vita…una frase sicuramente inflazionata, ma tremendamente vera.

Io e Mirko ci conoscevamo da poche ore e sapevamo che entro sera ci saremmo separati, io diretto verso Ceparana (SP) lui verso Berceto (PR), ma discutevamo piacevolmente, senza forzature o infingimenti.
Come se fossimo vecchi compagni di scuola che si ritrovano dopo tanto tempo ma con immutata intesa.
A volte capita questa magia nell’ambito delle relazioni umane. Succede quando si incontrano persone sconosciute ma con ideali e passioni affini. E dire che avremmo potuto rimanere perfettamente estranei.
Stavamo entrambi percorrendo l’Alta Via dei Monti Liguri, un affascinante tracciato di oltre quattrocento Km che unisce Ventimiglia e La Spezia attraverso un panoramico percorso che si sviluppa in quota, lungo i crinali.
La sera prima, giungendovi separatamente, avevamo fatto tappa in un rifugio al Passo del Bocco.
Un angolo di Liguria con tanto di abetaia e laghetto che quasi sembra trapiantato lì dalle Alpi per quanto si discosta dallo stereotipo del territorio ligure fatto di lungomare con palme, terrazzamenti con ulivi, calette e macchia mediterranea aggrappata tenacemente a scoscese scogliere.
Vincendo la riservatezza che mi contraddistingue, mi accostai al tavolo dove stava ultimando la cena in compagnia di un signore francese dagli occhi vispi. Dall’abbigliamento era intuibile che anch’essi fossero escursionisti ed origliando i loro discorsi ne ebbi la certezza.
Dopo due giornate trascorse in solitudine, reduce da una notte in bivacco dentro una cappelletta sul Monte Ramaceto, ero felice di poter scambiare qualche opinione sulla strada fatta e su quella ancora da fare.
La mia intrusione venne accettata di buon grado. Anzi fu colta come l’occasione per un brindisi a tre.
Decidemmo così che la mattina seguente avremmo fatto colazione e saremmo partiti tutti insieme, ma quasi subito le nostre strade si separarono. Jean, uomo sulla sessantina con all’attivo innumerevoli pellegrinaggi ma ostile ai tratti impegnativi, proseguì sull’asfalto con l’obiettivo finale di raggiungere Assisi e la speranza, ben riposta come scoprimmo più tardi, di sfruttare qualche passaggio in auto.
Noi invece ci inoltrammo quasi subito nel fitto del bosco alle pendici del monte Zatta.
Fu lungo questa ascesa che parlando dell’itinerario di Jean e dei pellegrinaggi in generale, Mirko mi accennò alla sua recente esperienza lungo il Cammino di Assisi, esaltandone tracciato, luoghi ed ospitalità.

A distanza di poche settimane, iniziai a dedicarmi alla ricerca di ulteriori informazioni sul percorso, che in trecento chilometri da Dovadola, piccolo borgo nei pressi di Forlì, porta alla città del Poverello.
Determinanti furono i contatti a mezzo posta elettronica con Giordano Picchi, l’infaticabile Deus ex Machina del Cammino di Assisi.
Grazie ai suoi suggerimenti studiammo un itinerario personalizzato, in base ad esigenze personali e lavorative. L’obiettivo era quello di riuscire a percorrere tutto il tracciato in meno tempo rispetto alle canoniche tredici tappe. Scartai subito l’ipotesi di poter bypassare alcune tappe usando mezzi pubblici.
La mia insistenza per partire il due Agosto ed arrivare a destinazione entro il tredici dello stesso mese, mi consentì, il giorno prima della partenza, di festeggiare in famiglia quello che, sebbene nulla lasciasse presagirlo, sarebbe stato l’ultimo compleanno di mia madre.
Ricordo con un misto di commozione e soggezione come mamma, pochi mesi dopo, in un letto di ospedale raccontasse con orgoglio del mio Cammino al frate cappellano della struttura. Lo stesso che le avrebbe poi dato l’olio santo dell’estrema unzione e confortato me ed i miei famigliari nel momento del dolore.
Lei prendeva sempre visione dei miei appunti e diari di viaggio, ed a lei dedico queste memorie che non ha purtroppo avuto la possibilità di leggere.
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by psiconauta »

Ah, ottimo : Thumbup : mi leggo anche questo :D
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

psiconauta wrote:Ah, ottimo : Thumbup : mi leggo anche questo :D
Purtroppo tocca andare di vintage finché non si potrà circolare come prima...spero la lettura sia piacevole
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

Avevo scordato di inserire qualche foto
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Il traguardo...
Il traguardo...
Lo sguardo sul cammino passato in AV, salendo lo Zatta
Lo sguardo sul cammino passato in AV, salendo lo Zatta
Mirko, Andrea e Jean. Colazione al Passo del Bocco
Mirko, Andrea e Jean. Colazione al Passo del Bocco
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

2 Agosto: da casa a Dovadola e da qui all’azienda agricola Il Pratello di Modigliana (14km, 3 ore)

L’altoparlante della stazione di Alessandria scandisce l’attesa emettendo con cadenza regolare e voce distaccata gli annunci latori delle scuse di Trenitalia per il disagio arrecato ai viaggiatori.
Intanto il ritardo del mio Frecciabianca cresce, riducendo proporzionalmente l’intervallo a disposizione per prendere la coincidenza alla stazione di Bologna, dove arrivo appena in tempo.
Trafelato e color porpora sia per il caldo che per la corsa e l’agitazione, riesco a salire sull’Intercity per Bari pochi secondi prima che parta. E’ carico di giovani in viaggio verso il divertimentificio della Riviera Adriatica. Per un attimo ritorno con la mente ai miei diciassette anni ed alla prima vacanza con gli amici e senza genitori, proprio in quei lidi. Raggiungemmo Rimini dopo un movimentato viaggio ferroviario notturno.
Un po’ mi rivedo in quei ragazzi. Cambiano le pettinature, le mode, la musica e gli accessori, ma rimangono alcune costanti: la spensieratezza, la voglia di divertirsi, le speranze, i timori. Le gioie e le delusioni dell’adolescenza trapelano dai loro discorsi e dai loro visi. Scevri dei freni inibitori e delle finzioni tipiche dell’età adulta i giovani sono facilmente leggibili, quasi come libri aperti.

A Forlì siamo in pochi a scendere. Essenzialmente quasi solo abitanti del luogo che uscendo dalla penombra dell’ingresso della stazione fendono la luce abbacinante di un mezzodì agostano. Si dirigono senza le esitazioni del forestiero alla ricerca della propria auto, di un bus o di una faccia amica che li porti a casa.
Il mio incedere è decisamente più incerto, ma anche io, seppur immerso in una realtà aliena, sono alla ricerca di un volto conosciuto.
Mirko, con cui sono rimasto in contatto dopo la giornata trascorsa camminando insieme sull’Alta Via, mi ha dapprima consigliato nella preparazione del viaggio e si è poi offerto di accogliermi all’arrivo a Forlì per portarmi a Dovadola e percorrere con me parte della prima tappa.

Prima però, dopo i saluti e gli abbracci, decidiamo di concederci un pieno di energie con una piacevole sosta al ristorante. Il mio nuovo amico, ravennate e romagnolo purosangue, è un buongustaio e conosce bene il territorio forlivese: non posso che affidarmi alla sua competenza.
Fiducia ben riposta visto che la scelta cade su uno di quei locali informali, con pochi fronzoli ma solide basi di cucina del territorio a prezzi accessibili.
Siamo nei pressi di Castrocaro ma le gole sono troppo impegnate a deglutire per poter cantare…
Il Cammino sarà caratterizzato da pause pranzo veloci e leggere, colgo quindi l’occasione di gustare alcune delizie romagnole. Tra le tentazioni a cui cedo con dissolutezza meritano menzione la vera piadina romagnola con lo squacquerone ed il prosciutto crudo, ma soprattutto una monumentale porzione di cappelletti che, non fosse stato agosto, avrei sicuramente gustato in brodo.
La celebrazione del rito dell’amicizia prevede anche ripetuti brindisi, ovviamente a base di Sangiovese, incuranti del fatto che tra poco dovremo affrontare i primi chilometri del percorso.
Anzi, il cibo fornirà prezioso carburante ed il vino quella vena di intraprendenza utile a mettersi in cammino con entusiasmo. Tra sferragliare di posate e alzate di calici il tempo passa piacevolmente, ma rapidamente. Devo quindi avvisare telefonicamente Don Alfeo che non arriverò puntuale all’appuntamento prefissato.

Il ritardo accumulato si rivela provvidenziale perché anche l’anziano ma vitale Parroco di Dovadola ha avuto un contrattempo e non avrebbe potuto ricevermi all’orario concordato per la consegna della Credenziale di pellegrino. Si tratta di un documento nominativo che, corredato dai timbri delle strutture di accoglienza convenzionate lungo il Cammino, servirà a testimoniare lo svolgimento ed infine il compimento del pellegrinaggio e poter così ricevere la pergamena Assisiana all’arrivo nella Basilica.
Giunti a Dovadola, dopo i convenevoli di rito si procede alla registrazione, al ritiro della credenziale e della pratica ed utile guida. Questa è costituita da una serie di pieghevoli che, tappa per tappa, accompagnano il cammino del pellegrino. Lo informano su alcune curiosità storiche, sulle bellezze paesaggistiche ed architettoniche, ma anche e soprattutto sulla direzione da seguire e sulla presenza di fonti e luoghi di ristoro in itinere.
E’ giunto il momento di trasformare i pensieri in passi, le intenzioni in azioni.

Il punto iniziale del Cammino, all’ingresso del paese, è segnalato da una targa che riporta la meta finale e la distanza da percorrere. Si sale subito ripidamente tra la vegetazione che offre un po’ di riparo da un sole implacabile. Uno stretto sentiero lascia il passo ad un’ampia carrabile e poi all’asfalto che in breve porta ad un grande edificio. Un tempo fu colonia e oggi pare ospiti le riunioni dei membri di un ordine oscuro, forse associato all’esoterismo ed alla massoneria.
Il caldo, il vino bevuto a pranzo, la costruzione resa un po’ lugubre dall’assenza di segni di vita e vitalità al suo interno, ci spingono a fantasticare su esperimenti da fantascienza e comunità aliene.
Mentre ci immaginiamo imprigionati, imbozzolati e ibernati in attesa di diventare cavie umane, raggiungiamo il santuario di Montepaolo, con una breve deviazione rispetto all’itinerario per Assisi.

Attempate signore, intente a sferruzzare ed a chiacchierare, ma con l’occhio vigile tipico delle nonnine di paese, siedono nella penombra cercando un po’ di sollievo dalla calura estiva. Nel mentre un paio di ciclisti fanno rifornimento idrico e si riposano dopo la breve ma ripida salita.
Per richiedere l’apposizione del primo timbro cerchiamo il parroco, ma non trovandolo nè in chiesa nè in canonica, rinunciamo a questo incontro e la mia Credenziale rimane immacolata.
Torniamo pertanto indietro fino al punto in cui la mia strada si separa da quella di Mirko che torna verso casa dopo i saluti, un abbraccio e l’ormai inevitabile selfie a suggellare sacralmente il momento dell’addio, con la speranza che si tratti di un arrivederci a presto.

Gli splendidi scorci delle morbide colline romagnole fanno da cornice ai miei passi solitari, che si fanno più lenti e faticosi lungo il ripido tratto asfaltato che porta al Monte Trebbo dove si trova un monumento al ciclista. Mi trovo sulle strade e sui tornanti che hanno forgiato i polmoni ed i polpacci di Marco Pantani.
Un campione capace di fare sognare milioni di appassionati con imprese rese ancora più eroiche dall’ accanirsi della sorte nei suoi confronti, fino al tragico epilogo.
Un giovane la cui vita, sportiva e non, è stata segnata da trionfi emozionanti e cadute dolorose.
Un guerriero capace di affrontare mille battaglie l’ultima delle quali lo ha visto soccombere.
Un moderno San Sebastiano entrato a pieno titolo nella mitologia del ciclismo.

Gran parte del percorso odierno si svolge su strada asfaltata, compreso l’arrivo al mio posto tappa.
Normalmente i pellegrini, dopo aver pernottato al rifugio Benedetta, iniziano di mattina il cammino da Dovadola per giungere a la “Capannina”, la prima struttura convenzionata, dopo circa 22 chilometri.
Io avendo meno giorni a disposizione, ho dovuto optare per una soluzione alternativa.
Inevitabilmente ho dovuto mettermi subito in cammino, ma essendo partito nel pomeriggio non avrei mai potuto raggiungere il primo posto tappa ufficiale, se non forse a notte fonda.

L’azienda vinicola “il Pratello” di Modigliana normalmente si limita ad offrire ai pellegrini un servizio di ristoro ma non è attrezzata per il pernottamento.
In seguito a contatti con il gentilissimo proprietario, al quale mi dico disponibile a dormire anche in un giaciglio di emergenza, ottengo la garanzia di una sistemazione per la notte.
Quando arrivo, il sole ha già iniziato la sua discesa sulla linea dell’orizzonte.
I cagnoloni di casa mi accolgono con una certa aggressività. Questa si tramuta in affettuosità quando, fatto il loro dovere di guardiani, il signor Emilio li richiama all’ordine ed io, tranquillizzato, concedo loro un po’ di coccole.
Ho il tempo per una doccia spartana e rinfrescante all’aria aperta, prima di mettermi a tavola per una semplice ma deliziosa cena in cui le verdure dell’orto ed i vini dell’azienda fanno la parte del leone.

La notte inizia a calare sulla tenuta, amplificando il senso di pace e silenzio che la avvolge.
Emilio mi dice che sta per uscire con la moglie e che per qualche ora sarò padrone di casa.
Non mi sembra vero, soprattutto in una civiltà colma di diffidenza come quella in cui viviamo, ma accetto di buon grado e mi siedo nella penombra del cortile appena rischiarato dalle soffuse luci del portico.
Sul tavolo sono presenti alcune bottiglie, già aperte, di vini della casa tra i quali, più del celebrato sangiovese pluripremiato dalle guide di settore, apprezzo il Becugiano. Si tratta di un vino rosso passito da meditazione che si presta perfettamente alla situazione ed al momento che sto vivendo.

Pensieri, riflessioni e silenzio sono interrotti saltuariamente dall’abbaiare nervoso dei cani, che ogni tanto partono come saette e spariscono nel buio alla ricerca di qualche presunto intruso. Probabilmente si tratta di ungulati o magari tassi, sicuramente esemplari di fauna selvatica locale.
Il sonno mi vince prima che i padroni di casa facciano ritorno. Mi sistemo così nella confortevole soluzione di emergenza preparatami: una comoda sdraio da piscina collocata all’interno del salone delle degustazioni. Mi stendo dentro al sacco a pelo e le mie membra si godono il meritato riposo dopo una lunga giornata.
Non so quanto tempo dopo, vengo svegliato dall’attrito degli pneumatici di un’auto sulla ghiaia del cortile. Il silenzio dei cani mi fa intuire che si tratta dei padroni di casa e riprendo beatamente a dormire.
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Pronti, ai posti, via...
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

3 agosto: dall’azienda agricola Il Pratello a Premilcuore (28km, 7 ore)

La colazione è riccamente farcita con marmellata, burro, miele ed interessanti discussioni enologiche.
L’azienda che mi ospita segue i dettami dell’agricoltura biologica e, da appassionato di vini, ho modo di imparare alcune nozioni sull’argomento. Nel chiacchierare ci soffermiamo in particolare sulla incipiente moda di vinificare alla maniera tradizionale georgiana. Utilizzando grosse otri di terracotta spesso interrate, dette qvevri, il mosto viene lasciato a fermentare con bucce e vinaccioli che poi si depositano sul fondo.
Il vino così prodotto dalle aziende della zona, riunite in un consorzio, viene poi imbottigliato in costose confezioni con etichetta in ceramica. Il prodotto finale a mio modesto parere, viene così destinato più ad essere conservato come oggetto da collezione che ad essere bevuto.
La squisita ospitalità ricevuta e la bontà dei prodotti assaggiati mi invoglierebbero a fare acquisti, ma la mia condizione di oplita in marcia, già oberato da circa nove kg sulle spalle me lo impedisce.
Dopo gli ultimi convenevoli e le indicazioni su come riprendere il cammino, saluto il signor Placci.

Al termine di una ripida salita iniziale, mi godo le luci del mattino in lontananza. Rischiarano la riviera romagnola e l’incedere stanco, spesso incerto, di migliaia di giovani reduci da notti brave, concluse di frequente con abbondanti colazioni. Tra poco le famiglie con bambini si riverseranno in spiaggia, in una sorta di turn-over generazionale che garantisce continua linfa vitale al turismo di Rimini e dintorni.
A pochi metri da me, invece i raggi del sole si riflettono su un santino di S.Antonio appeso ad un ramo. Probabilmente lo avrà lasciato qualcuno che ha effettuato il cammino che da Padova conduce a Montepaolo, per poi proseguire fino a La Verna, sovrapponendosi al mio itinerario francescano.

Sono sul mio terreno ideale: poco antropizzato e piuttosto selvaggio.
Anche la segnaletica è abbastanza rada, ma questo si rivelerà una costante del Cammino e penso che sia una cosa voluta. Nella maggior parte dei casi è difficile sbagliare strada, mentre nei casi più complicati a dissipare i dubbi, come per magia, appare una delle frecce verdi a vernice, un adesivo o ancora una piccola indicazione in legno.
Sembra quasi che l’ideatore del percorso abbia consapevolmente scelto di indicare la via e di lasciare il pellegrino libero di seguirla, ma senza prenderlo costantemente per mano. Quasi come un buon genitore che indica la retta via ai propri figli senza però poterli necessariamente accompagnare in ogni loro scelta.
Proprio come un buon genitore, prodigo di consigli ma capace di lasciare libertà di azione, è il carismatico organizzatore di questo Cammino. Persona schiva ma disponibilissima, Giordano Picchi ha uno stile comunicativo tutto suo. Numerosi punti interrogativi e puntini di sospensione lasciano un pizzico di dubbi enigmatici sulla interpretazione dei messaggi che vi scriverà, rispondendo tempestivamente alle vostre richieste di aiuto e di informazioni quando lo contatterete, apprestandovi ad affrontare il Cammino.
A volte può capitare di procedere anche per mezzora senza vedere indicazioni, cosa che in epoca di GPS e di costante monitoraggio può apparire allarmante e generare un senso di smarrimento.
Dal mio punto di vista invece queste incertezze aiutano ad avvicinarsi idealmente allo spirito se non alle paure ed incertezze che potevano albergare nell’animo del pellegrino medievale. Coraggio, fede e buon senso, allora come oggi, aiutano ad affrontare il percorso della vita ed a non smarrire la strada.
Nel caso del Cammino anche le guide pieghevoli ricevute a Dovadola sono concreti aiuti.

Il mancato utilizzo di diavolerie tecnologiche inoltre stimola la voglia di cercare il contatto umano con la gente che si incontra lungo il cammino senza limitarsi ad un banale ed affrettato saluto.
Spinge ad annusarsi un po’ ed a lasciarsi andare per raccontare qualcosa di se stessi ed ascoltare in cambio preziosi suggerimenti, aneddoti divertenti o magari leggende locali.
Qualora dovesse capitare di incontrare un interlocutore un po’ noioso non cercate di tagliare la discussione in modo affrettato. Potrebbe trattarsi di una persona sola, a cui regalate un momento di compagnia.
Inoltre il viandante stimola inevitabilmente la curiosità altrui, quando non la diffidenza, in un’epoca in cui si utilizza l’automobile anche per gli spostamenti più brevi.
Mettete pertanto in preventivo anche la possibilità di essere accolti in modo non proprio amichevole.
In questo caso un sorriso, una risposta educata e la descrizione del proprio cammino solitamente generano quasi un senso di colpa in chi potrebbe avervi approcciato in modo ostile.
Probabilmente ne seguirà un repentino mutamento di atteggiamento nei vostri confronti.

Dove verrete sempre accolti con calore e sorrisi sono invece le strutture di accoglienza pellegrina.
A fronte di un modesto obolo, talvolta una semplice offerta libera, riceverete ospitalità genuina e magari avrete anche modo di fare amicizia incontrando altre persone che stanno percorrendo il vostro stesso itinerario. Capacità fisiche diverse raramente consentono di camminare a lungo insieme ad altri pellegrini e, personalmente, ritengo che la solitudine possa anche lasciare maggior spazio alla ricerca introspettiva. O semplicemente al rilassarsi, seguendo esclusivamente i ritmi imposti dal nostro fisico e dalla nostra mente. Alla sera però è bello ritrovarsi, chiacchierare, conoscersi o commentare magari il cammino effettuato e fare supposizioni su quello che verrà.
Conversare stanchi ma sorridenti, tutti insieme attorno alla tavola, trasforma anche un semplice piatto di pasta al pomodoro in un menu da ristorante stellato.

Raggiunto un tratto asfaltato passo proprio accanto ad un paio di queste strutture, dove di solito effettuano la prima sosta i pellegrini partiti la mattina da Dovadola. Io invece per recuperare il ritardo accumulato, devo accelerare i tempi e proseguo a camminare. Purtroppo in questo tratto prevale l’asfalto, ma la strada è poco trafficata e ho comunque modo di apprezzare il paesaggio collinare e poco civilizzato.
Nei pressi di una curva della strada che da Tredozio conduce a Portico di Romagna, si trova un rudere con una scritta, un po’ misteriosa e poco invitante, indicante il “buco del Diavolo”.
Niente paura, non si tratta di un casale utilizzato per riti macabri, ma semplicemente come evidenziato da una scritta più sbiadita, viene indicata la presenza del “vulcanino” del monte Busca.
Si tratta di una piccola fuoriuscita di gas metano dal terreno. Se non fosse che esiste da secoli, si potrebbe quasi pensare al guasto di qualche metanodotto. Fatto sta che questa fiammella, grande all’incirca come un piccolo falò da spiaggia, viene simpaticamente definita come il vulcano più piccolo d’Italia.
Il pellegrino o il viandante, senza rischi di eruzioni e lapilli, potrebbe anche provare ad utilizzarlo per riscaldare il proprio bivacco o per cucinare qualche piatto caldo.
Talvolta a causa di eventi atmosferici avversi, come vento forte o abbondanti precipitazioni, il fuoco si spegne, ma basta un fiammifero per riattivarlo e sentirsi un po’ dei novelli Prometeo.

Un piccolo allevamento di struzzi aggiunge un tocco di esotismo a quest’angolo di appennino.
Scendendo su strada sterrata raccolgo un paio di mele, ancora acerbe ma utili per combattere la sete ed i primi morsi della fame. Poco dopo, in prossimità dell’agriturismo “La Montanara”, raggiungo e sorpasso i primi pellegrini incontrati lungo il mio cammino.
Si tratta di una canuta donna di mezza età e di una ragazza più giovane dai capelli corvini che si riposano all’ombra di un albero. La prima è alta e asciutta, la seconda brevilinea e tarchiata. Già al primo sguardo sembrano una l’opposto dell’altra. Non mi fermo e ci limitiamo ad un cordiale saluto.
Mi aggiro per le vie di Portico di Romagna con sguardo concupiscente, ma purtroppo non è giornata e non trovo la mia Beatrice. Dovrò pertanto rassegnarmi a non divenire mai un sommo poeta.
In questo piccolo borgo, fino agli anni venti del secolo scorso appartenente alla Toscana, pare infatti che sia avvenuto l’incontro tra Dante Alighieri e Beatrice Portinari, il cui padre possedeva un palazzotto ancora esistente e nel quale la famiglia era solita trascorrere il periodo estivo.

Oggi non ci sono più nobili famiglie a soggiornare, ma un discreto numero di turisti d’elite, anche e soprattutto stranieri. Costoro affascinati dalla storia e dalla tranquillità di questo piccolo centro molto ben conservato, possono godere dell’ospitalità offerta da strutture di albergo diffuso.
Portico vanta anche un bel ponte medioevale in pietra, dedicato alla Vergine Maria.
Altra peculiarità è, durante il periodo natalizio, l’esposizione di innumerevoli presepi, realizzati in modi svariati ed originali, negli angoli più suggestivi del centro storico.
Faccio sosta al ristorante “Vecchio Convento” dove mi riposo e recupero energie con una ricca insalatona. Poi attraversato il summenzionato ponte, costeggio il torrente Tramazzo per iniziare infine una ripida risalita verso il Monte Orlando camminando in un’alternanza di pascoli, boschi cedui e calanchi.
Lungo la seguente discesa nel bosco, il fondo smosso indica inequivocabilmente la presenza di cinghiali od altri ungulati, ma le uniche forme di vita in cui mi imbatto sono due bipedi antropomorfi della sottospecie “cercatori di funghi”. Sono stranieri, forse tedeschi dall’accento del loro saluto.

Un ultimo tratto su asfalto conduce all’ingresso nel paese di Premilcuore, paese dal nome evocativo.
Affacciata sulla strada maestra si trova una casa. Il profumo di boleti affettati e stesi al sole a seccare, il sorriso genuino di due persone anziane, l’offerta di un bicchiere d’acqua, la telefonata alla figlia.
Prima ancora che aprissi bocca avevano già chiaro chi fossi e dove fossi diretto.
Infatti mi ero appena imbattuto nei genitori di Carla, l’hospitalera di Premilcuore. Un vulcano di simpatia, gentilezza e disponibilità non solo nei confronti dei pellegrini ma anche dei meno fortunati al Mondo, essendo attivamente impegnata con progetti di volontariato in Africa.

Il posto tappa si trova dall’altra parte del paese: un bell’appartamento con terrazzino, cucina attrezzata, un adeguato numero di posti letto e due bagni con doccia.
Prima di me sono già arrivati una coppia marchigiana, con amica al seguito, ed un ragazzo di Sassuolo.
In seguito ci raggiungeranno, zuppe d’acqua per un improvviso e violento temporale, le due donne che avevo incontrato poco prima di Portico. Si tratta di un’insegnante tedesca e di una ragazza sudamericana. La prima è una pellegrina dura e pura che pretende di fare il Cammino senza utilizzare denaro, la seconda sembra più dolce ma è debole e succube della prima. Pare si sia anche lasciata andare ad una crisi di pianto, forse per la stanchezza o forse per la rigidità della sua compagna di viaggio. L’impressione che fossero agli antipodi, ricavata da una semplice osservazione e constatazione fisica, viene purtroppo confermata.

Capisco l’intenzione, in realtà molto francescana, di viaggiare in povertà facendo affidamento sulla provvidenza e sul buon cuore delle persone incontrate lungo il cammino, ma non approvo molto la modalità con cui la signora in questione la metteva in pratica.
Ostentava un atteggiamento di chiusura e privo di sorrisi, come se tutto le fosse dovuto.
Quasi come se lei non fosse in francescana armonia, bensì in guerra con il mondo.

Non è bello giudicare, probabilmente avrà avuto le sue buone ragioni per agire in quel modo ed in ogni caso non faceva male a nessuno, se non forse a se stessa ed alla sua sfortunata compagna.

Fatto sta che alla sera, su proposta della Carla, tutti andiamo a mangiare alla sagra del cinghiale.
Tutti tranne loro due, che rifiutano e restano da sole in casa a sbocconcellare un tozzo di pane, inumidito dalla pioggia, accompagnato da un poco invitante formaggio.
Si perdono così oltre ad una ghiotta proposta gastronomica anche un bel po’ di calore umano.
La perturbazione è terminata e la serata trascorre piacevolmente in compagnia.
Una piadina con prosciutto crudo di cinghiale ed un piatto di fumante polenta con spezzatino, si mescolano a bicchieri di vino, chiacchiere, riflessioni, battute, confessioni e aneddoti.
L’aria, complice il temporale pomeridiano, è frizzantina così nel dopo cena evitiamo le danze.
Ci concediamo solo un veloce giro per le stradine del Borgo, rischiarato da una ben augurante mezza luna che fa capolino tra ampi squarci di nubi strappate.
Una volta a casa abbiamo il tempo di asciugare con il phon i vestiti, lavati dopo il nostro arrivo ed ancora leggermente umidi, e di preparare gli zaini per l’indomani.
Quando mi corico a letto qualcuno sta già dormendo profondamente e purtroppo russa come un mantice, ma per fortuna ho portato con me i tappi per le orecchie.
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Segnavia mistico...
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Il genio...
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Panorama collinare romagnolo
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Accesso al Vulcanino
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Ponte Medievale di Portico
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La luna sopra Premilcuore
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Pellegrini e Hospitalera a Premilcuore
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il momento del ristoro...
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

4 Agosto: da Premilcuore a Campigna (30km, 7h15’)

Orari di partenza diversi, scelti e concordati in base al proprio ritmo ed alle proprie esigenze, ci consentono di utilizzare bagni e cucina senza attese o sovrapposizioni.
Io ed il giovane Tommaso siamo i più sportivi del gruppo e decidiamo di prendercela comoda, lasciando Premilcuore ed il rifugio per ultimi dopo un’abbondante colazione. Metà dei biscotti comprati ieri restano a disposizione di chi ci sostituirà al rifugio. Sono le ore otto e la giornata è soleggiata.
Le nostre strade però si dividono subito in quanto il mio compagno di cammino decide di fermarsi al bar per sorseggiare un caffè e sfogliare un quotidiano sportivo. E’ il periodo del calciomercato e lui, acceso tifoso romanista, sogna qualche colpo grosso capace di regalare il tricolore ai giallorossi.
Affronto quindi da solo il Cammino che lascia l’asfalto e si inoltra nel bosco, costeggiando il torrente Rabbi.

La vegetazione piuttosto fitta crea un ambiente estremamente adatto al proliferare degli ungulati e non stupisce che con le loro carni vengano preparate le succulente portate della sagra paesana.
Qui gli abbattimenti, selettivi o meno, devono essere inevitabili quanto numerosi.
Ad un certo punto il sentiero si impenna e la salita diventa costante, mentre la vegetazione cambia, diventando più rada e lasciando il posto anche a pini ed abeti.
Un paio di ruderi nel fitto del bosco potrebbero prestarsi ad un bivacco di emergenza per i più avventurosi, ma segnalo che non ho trovato fonti o sorgenti nelle vicinanze dei medesimi.
A metà salita affianco i marchigiani e li saluto, lasciandomeli ben presto alle spalle anche perché il mio posto tappa è previsto diversi chilometri più avanti rispetto al loro e devo quindi procedere spedito.
Raggiunta la cima panoramica del Monte della Fratta è il momento per uno spuntino e per una crisi di panico: non trovo infatti il carica batterie della macchina fotografica e sono convinto di averlo lasciato al rifugio. Ormai rassegnato, mentre sto per ripartire, lo ritrovo in mezzo all’erba non lontano dallo zaino.
Sarà stato qualche elfo cattivo dei boschi a nasconderlo o, più prosaicamente, la mia dabbenaggine…

Dopo un tratto di crinale, caratterizzato da morbidi saliscendi, inizia la lunga discesa verso Corniolo.
Alcuni tratti su larga carrareccia invitano ad accelerare il passo e tramutarlo in una corsa leggera.
Un pellegrino non dovrebbe correre, diranno i puristi, ma io ritengo che ognuno debba affrontare il cammino come meglio preferisce, in armonia con le proprie sensazioni ed abitudini.
La corsa mi rilassa, la tappa di oggi è lunga, perché non approfittarne?
Tiro al massimo le cinghie dello zaino per limitarne gli sballonzolamenti sulla schiena e seguo l’istinto.

Colgo l’occasione per una breve digressione sull’attrezzatura utilizzata.
Dopo aver richiesto consigli all’amico Mirko e consultato la pagina Facebook del Cammino valutando anche il percorso grazie alle numerose foto in essa presenti, ho abbandonato l’idea di utilizzare i miei soliti scarponi da trekking in luogo di più comode e leggere scarpe da trail running.
Terreni sconnessi e pietrosi sono piuttosto rari, mentre abbondano strade bianche carrabili dal fondo compatto e molti tratti sono addirittura asfaltati.
Rimpiangerò le scarpe alte solo in occasione di una distorsione alla caviglia, imputabile però più ad una mia disattenzione che alle calzature utilizzate.
Per chi dovesse affrontare il Cammino non in piena estate ma in una stagione più piovosa e fangosa invece l’utilizzo di scarponcini ritengo possa essere preferibile.
Per quanto riguarda lo zaino suggerisco di sceglierne uno con capienza tra i trenta ed i quaranta litri.
Io ho optato per la seconda soluzione in quanto non seguendo le tappe canoniche avrei potuto avere, come poi è successo, l’esigenza di bivaccare in rifugi di emergenza. Si tratta di una situazione che richiede inevitabilmente di portare con se un tappetino, o un materassino isolante, ed un sacco a pelo.
Considero pressoché indispensabili: almeno un litro di acqua, qualche scorta alimentare, una mantella in caso di pioggia, un paio di sandali o di scarpe leggere da indossare a fine giornata, un pile o una maglia termica in caso di bruschi cali della temperatura, calze, pantaloncini e magliette di ricambio, sapone, macchina fotografica, cellulare e relativi carica batterie.
I più zelanti potrebbero aggiungere oltre a sacco a pelo e materassino qualche medicinale, una pila a dinamo, filo per stendere e mollette, un coltellino multiuso o ancora altri accessori.
A voi la scelta se rinunciare a qualcosa ed essere più leggeri o rischiare di portare qualche oggetto che si rivelerà magari superfluo ma che avrebbe potuto essere utile e rimpianto in situazioni di emergenza.
Seguendo queste indicazioni il peso dello zaino dovrebbe oscillare tra i sette ed i nove chilogrammi.
Diverse teorie suggeriscono in ogni caso di non superare il 10-15% del proprio peso corporeo.
E’ consigliabile infine avere alcune buste di plastica in cui riporre il contenuto dello zaino, proteggendolo ulteriormente da eventuali piogge. Fine dell’excursus tecnico.

Il corniolo è un umile arbusto, produce piccoli frutti rossi che vengono utilizzati per ricavare marmellate e succhi di frutta o per aromatizzare bevande alcoliche come la grappa.
Come tutti gli arbusti è tenace ed il suo legno è considerato il più duro in Europa, l’ideale per ricavarne bastoni, pipe e, in passato, addirittura pezzi di macchinari soggetti a forte usura.
Corniolo è anche una piccola località appenninica dove si trova la struttura che ospita i pellegrini al termine della terza tappa ufficiale del Cammino di Assisi.
Si potrebbe dire che gli abitanti abbiano caratteristiche simili a quelle della pianta in questione: una scorza dura e radici resistenti, che consentono loro di non cedere al richiamo del fondovalle e delle sue comodità. Ma anche dolci frutti da offrire ai pochi passanti, come la calda ospitalità concessa ai pellegrini.

L’avvicinamento al paese è segnalato dall’infittirsi di indicazioni pubblicitarie affisse agli alberi.
Suggeriscono la sosta in un ristorante-pizzeria che offre un menu speciale per i pellegrini.
Il buon Gigino pare sia un personaggio molto interessante e sembra che i piatti da lui preparati, soprattutto gli zuccherini spiritosi a fine cena, riscuotano un ampio consenso, ma personalmente ritengo che abbia sicuramente esagerato con queste segnalazioni commerciali.
Il rintocco delle campane di mezzogiorno precede di poco il mio arrivo.
Accompagnato da echi di aia emessi da animali da cortile, costituisce una sorta di segnavia sonoro.
Ancora pochi minuti e, in prossimità di un tornante ad inizio paese, trovo il rifugio ed il suo gestore. Immagino sia già lì per attendere e ricevere il gruppo che sa essere in arrivo da Premilcuore.
Sono certo di essere il primo ad arrivare, così specifico subito che non mi fermerò e chiedo indicazioni in merito al cammino che ancora mi attende.

Poi mentre chiacchieriamo del più e del meno, arriva Tommaso. Anche lui in alcuni tratti si è lasciato andare alla corsa. E’ piacevole incontrarsi ancora e ne approfittiamo per fare uno spuntino insieme.
Considerando che abbiamo tempi di percorrenza simili, provo a suggerirgli di proseguire con me e fermarsi più avanti. Entrambi poi siamo appassionati di sport e di calcio in particolare, per cui avremmo abbondanti argomenti di conversazione visto che, come ho già detto, è in corso il calciomercato, quella fase in cui i tifosi di ogni squadra sono legittimati a sperare e a sognare.
Lo vedo tentato dalla mia proposta, ma alla fine decide di restare a Corniolo e riposarsi nella quiete di questo piccolo borgo che è conosciuto sia per la bella parrocchiale che per le memorie partigiane della brigata Garibaldi.

Riempita la borraccia, io invece riprendo il cammino.
Qualche cane abbaia per segnalare la presenza di uno sconosciuto, dalle finestre aperte giungono rumori di stoviglie, molti hanno appena pranzato, alcuni si apprestano a farlo, altri ancora si staranno godendo una bella pennichella. I vicoli sono deserti, o quasi. Infatti un saluto cordiale interrompe il mio cammino.
Si tratta del già citato Gigino che mi offre l’apposizione del suo timbro speciale sulla mia credenziale.
Poco lontano dal paese raggiungo e supero un gruppo di boy-scout la cui presenza mi fa sentire un po’ meno strano e solitario.
Il cammino prosegue dapprima su asfalto, poi si passa per un lungo tratto su larga carrareccia sterrata.
Una costante invece è il sole implacabile che non mi concede tregua. Stanchezza, caldo, sete, i primi piccoli problemi di vesciche sono una combinazione di fattori che potrebbero scatenare una crisi.
Ad accrescere tale pericolo ci si mette anche il diradarsi delle indicazioni lungo il cammino.
La strada inoltre ad un certo punto si impenna, ma per fortuna passando nel bosco posso godere di una rinfrescante ombra che mi rigenera. Arranco sugli ultimi strappi che conducono ai quasi 1100 metri di Campigna, superando così seicento metri di dislivello in circa nove chilometri e lasciandomi alle spalle i primi sintomi di una leggera crisi, più mentale che fisica, che si stava impossessando di me.

Sono da poco passate le sedici quando entro nell’albergo “Scoiattolo”. Non si tratta di una delle strutture convenzionate, ma grazie all’interessamento della Carla di Premilcuore riesco comunque ad ottenere un piccolo sconto rispetto al prezzo pieno previsto per il trattamento di mezza pensione.
Prima di concedermi un meritato riposo è il momento di fare una bella doccia e di lavare calze, maglia e shorts. Ancora una volta dovrò però fare ricorso al calore del phon per completare l’asciugatura del bucato.
Mentre attendo l’ora di cena faccio due passi nei dintorni per studiare il percorso. Da Campigna partono molti sentieri e non vorrei prendere quello sbagliato, complice l’occhio ancora assopito, l’indomani mattina.
La passeggiata è anche volta alla ricerca, purtroppo infruttuosa, del segnale telefonico che mi consenta di avvisare del mio arrivo la struttura scelta come prossimo terminale di tappa, in quel di Badia Prataglia.
Il salone del ristorante è abbastanza gremito, ma ogni forma di comunicazione è ostacolata non solo dalla distanza ideologica tra pellegrini/escursionisti e villeggianti ma anche dalla volontà di soddisfare i rispettivi appetiti più che la reciproca curiosità. Mi gusto così un ricco minestrone e l’arista con spinaci in silenzio, mentre osservo la variegata umanità seduta ai tavoli: anziani, coppie, famiglie con pargoli rumorosi.
Tutti invariabilmente sembrano “cittadini” in trasferta, poco inclini alla conversazione con lo sconosciuto.
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ruderi salendo verso la Fratta
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vista dal monte della Fratta
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parrocchiale di Corniolo
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su passi antichi
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

5 Agosto: da Campigna a Badia Prataglia (20km, 5h)

Le luci della sala da pranzo sono ancora spente. Furtivamente, in anticipo sull’orario ufficiale di apertura, mi muovo nella penombra per occupare il mio tavolo ed apprestarmi ad un pieno di calorie.
Come un ninja maldestro urto uno spigolo del tavolo. Non riporto considerevoli danni fisici, ma moralmente mi sento un po’ come Wile Coyote, anche se per fortuna nessuno ha assistito alla mia goffa manovra. Quando il ristorante entra in piena attività chiedo ed ottengo anche la preparazione di un panino con prosciutto e formaggio da mangiare a pranzo e, saldato il conto, mi metto in cammino.

Forte della perlustrazione effettuata il giorno precedente muovo senza esitazione i primi passi.
Va detto che occorre prestare attenzione perché subito dopo la partenza il sentiero da seguire (n.247) devia rispetto a quello che sembrerebbe essere il principale (n.245).
Entrambi transitano di fronte all’albergo sovrapponendosi per un tratto.
Si segue una vecchia mulattiera nel fitto del bosco e dopo circa trenta minuti si raggiunge il Passo della Calla (1295mt). Qui incontro per l’ultima volta la tedesca e la colombiana. Stanno facendo colazione.
Non essendosi creato un rapporto di simpatia ed empatia reciproche non mi fermo, limitandomi ad un sorriso stiracchiato ed un saluto. Sembra che si siano appena alzate e credo abbiano trascorso la notte bivaccando lì al passo, accanto ad un rifugio chiuso dove è però possibile abbeverarsi e fare scorta d’acqua per il prosieguo del cammino. Chissà se avranno poi raggiunto Assisi. Me lo auguro di cuore, soprattutto per la giovane sudamericana.

Abbandonato l’asfalto si segue il sentiero di crinale (segnavia 00) che si dipana sulla sinistra su ampia carrareccia in leggera ma costante salita, inoltrandosi nel bioparco di Sasso Fratino. Sembra quasi di camminare in uno scenografico set cinematografico da foresta incantata. Nel bioparco infatti la cura e la preservazione del bosco sono maniacali fin dal 1959. Non solo sono vietate il taglio di legna e la raccolta di fiori e funghi, ma sono addirittura previste sanzioni per chi dovesse essere sorpreso a camminare al di fuori del percorso tracciato e segnalato. La natura è protetta nella sua totalità e non vi è praticata alcuna attività forestale in modo da ricondurla ad uno stato di foresta vergine. Faggi ed abeti bianchi fanno la parte del leone, ma sono affiancati anche da numerose altre specie autoctone. Muschi di un intenso verde irlandese ricoprono tronchi caduti, un tempo possenti ed ora in lenta decomposizione.
Quasi ci si aspetterebbe l’apparizione di Robin Hood da un momento all’altro, ma per fortuna nei pressi non ci sono forse ricchi da derubare…sicuramente non lo sono io, umile pellegrino.

Sfioro la vetta di Poggio Scali dalla quale si dovrebbe riuscire a vedere Rimini ed il suo mare. Oggi la giornata è quasi autunnale e la visibilità limitata. Rinuncio quindi alla seppur breve deviazione (consentita anche dalle rigide norme del Parco) che in poche decine di metri porta alla vetta in questione.
Il cielo già plumbeo e minaccioso fa calare una densa nebbiolina che non provoca difficoltà di orientamento ma che fa temere imminenti burrasche. Pertanto quando incontro un escursionista in direzione contraria alla mia ci limitiamo ad un veloce scambio di informazioni sui rispettivi percorsi e sui relativi tempi di percorrenza.

In breve raggiungo Prato al Soglio dove, al bivio, si prende il sentiero a destra, contraddistinto dal segnavia n.68, che in circa trenta minuti conduce all’eremo di Camaldoli. Non si tratta però di un cammino agevole.
Il tratto in questione è in discesa ma piuttosto ripido e caratterizzato da un fondo irregolare e ricco di sassi, talvolta coperti da fogliame, che mettono a dura prova caviglie e ginocchia.
Sono nei pressi della cinta muraria del complesso, la strada è ormai quasi pianeggiante, quando nella radura intravvedo un gruppo di persone intente ad esercizi fisico-spirituali. Dall’alto della mia ignoranza immagino che stiano esercitando pratiche yoga. I miei sospetti sono confermati quando, su uno dei muri perimetrali, noto una locandina che fa riferimento ad un raduno di appassionati di tale disciplina.
Scoprirò poco più tardi che i frati Camaldolesi apprezzano tutte le forme meditative e quella in particolare. In quei giorni i partecipanti a tale iniziativa erano ospitati proprio nella foresteria della struttura.
In tempi di frequenti atteggiamenti settari e di integralismi isterici, è bello vedere come istituzioni religiose possano collaborare con associazioni secolari, con il fine comune del raggiungimento del benessere psico-fisico delle persone.

Sono da poco passate le dieci e mezza, devo quindi attendere il successivo turno d’ingresso per i visitatori.
Ne approfitto per rifocillarmi e riposare su una panca di pietra. Una fonte di acqua gelida invita alla sosta anche un gruppo di ciclisti un po’ rumorosi e poco rispettosi della quiete e dell’atmosfera del luogo.
Fisici caratterizzati da una certa pinguedine, chiome incanutite od irrimediabilmente svanite e sostituite da luccicanti calotte craniche, il cameratismo, l’accento e l’arguzia fortemente toscani mi fanno pensare al loro fare goliardico come se si trattasse di una scenetta tagliata del film “Amici Miei”.
Me la gusto con il sorriso sulle labbra per le loro battute, ed una barretta energetica tra i denti.
Non ricordo con esattezza se fosse richiesto in modo esplicito, ma per accedere all’eremo, con un gesto di spontaneo rispetto, indosso un paio di pantaloni lunghi sopra ai miei pantaloncini corti da trekking.

Alle undici in punto il portone si spalanca concedendo l’accesso ad una vera oasi di pace e spiritualità.
La visita si effettua in piccoli gruppi e si svolge alla presenza di una guida competente, ma va detto che gran parte dell’eremo è interdetto ai visitatori.
Le celle dei monaci, con i loro vialetti lastricati e gli ordinati pratini color smeraldo, rimangono visibili solo da lontano. Dietro ad una spessa cancellata sulla quale sono affissi inviti a rispettare il silenzio.
Per fortuna tutti osservano questa norma. La pace e la suggestione sono tali che perfino i rumori della vicina strada sembrano come segregati all’esterno da un’invisibile barriera fonoassorbente.
Visitiamo la cella di San Romualdo, fondatore dell’eremo e della congregazione Camaldolese.
Poi accediamo alla chiesa che, oltre ad un semplice ma vetusto coro risalente al XIV secolo, vanta alcune sculture e dipinti di pregio ad opera del Bronzino e del Della Robbia.
Concludo la permanenza visitando l’antica farmacia dove oltre a medicamenti ed erbe officinali si possono acquistare anche alimenti ed altri articoli, sicuramente di qualità ma a prezzi non proprio popolari.

A Camaldoli, poco lontano dall’eremo, si trova il rifugio della Forestale, struttura convenzionata dove fa tappa la maggioranza della gente che effettua il Cammino. In alternativa ci sono anche un paio di locande.
Come ormai noto io invece devo accelerare il passo e continuare il cammino per almeno altre due o tre ore, seguendo dapprima il segnavia 74 fino al passo Fangacci e poi il 72.
Sto seguendo una via alternativa e ad un certo punto perdo di vista il segnavia ma non perdo la fede e la calma. Continuando a seguire istinto di sopravvivenza, orientamento e logica giungo infine sull’asfalto e, come previsto, in località Capanno. Qui la buona sorte mi è amica ed il fato decide di premiarmi.

Mi imbatto in un giovane intento a riporre gli scarponi nel bagagliaio dell’auto. Si tratta del ragazzo che avevo incrociato poche ore prima e che procedeva in direzione opposta alla mia. Scambiamo quattro chiacchiere e ne approfitto per chiedergli se sappia dove si trova la locanda “il Carbonile”.
Non solo saprebbe indicarmi la direzione, ma vi ha soggiornato la sera prima e si dice disponibile a darmi un passaggio fin là, evitandomi alcuni noiosi chilometri su asfalto.
Durante il tragitto inizia pure a piovere, ma ormai sono al riparo nella sua automobile e prossimo a raggiungere il mio posto tappa dove arrivo intorno alle ore 14.
La locanda è piuttosto lontana dal paese di Badia Prataglia e considerando che la pioggia continua a cadere mi preparo psicologicamente ad un pomeriggio di relax e riposo all’interno della struttura, sperando che non ci siano compagnie troppo rumorose in camerata.

Quello a cui non posso invece essere preparato è il fatto di essere l’unico ospite della struttura che pure avrà una quarantina di posti letto. Il gestore poi ha modi un po’ burberi e un fisico massiccio che li asseconda. In breve mi vedo proiettato in una sorta di film horror, anche perché la scala che porta alla camerata emana un forte odore di umido. Sarà per stagionare meglio i salumi fatti con le carni degli sventurati ospiti? Ma no…il ragazzo gentile che mi ha dato un passaggio è sopravvissuto…oppure forse è un complice…come i due svitati del film “Pulp Fiction” che catturano e seviziano Bruce Willis e Marcellus Wallace…

Bagni, docce e letti in abbondanza: non ho che l’imbarazzo della scelta e decido di allargarmi occupando un paio di brande, una delle quali la utilizzo come guardaroba. Ottenuta l’approvazione degli ospiti fantasma, sistemo poi un paio di corde alle quali appendere il bucato e provvedo a lavare me ed i vestiti sporchi.
Sarà che l’acqua delle docce non è proprio caldissima, sarà per via della stanchezza, sarà che fuori piove, sarà questo scenario un po’ lugubre, ma vengo improvvisamente assalito da brividi di freddo.
Cerco di combatterli avvolgendomi nel sacco a pelo e cercando di riposare membra e mente.
Nel frattempo i carica batterie riportano in piena efficienza il cellulare e la macchina fotografica.
Dopo un paio di ore di incubi splatter (scherzo, o forse no…non ricordo quasi mai i sogni) mi ridesto.

Sono ancora vivo ed integro. Studio il cammino che mi aspetta l’indomani. Scrivo qualche appunto su quanto visto e vissuto oggi. Passo in rassegna tutte le foto nella memoria della macchina fotografica. Procedo a selezionare quelle da conservare ed eliminare quelle doppie o venute male.
Insomma faccio qualunque cosa pur di rinviare l’incontro con l’oste…ma intorno alle diciotto non posso fare altro che scendere di sotto ed andare incontro al mio destino.
Il telefonino ora è carico ma il segnale è debole dentro alla struttura…non ho via di scampo…
Alla fine scopro che il proprietario, Franco di nome e di fatto, dietro l’apparenza scontrosa e burbera nasconde un animo artistico con spiccate venature di timidezza.
E’ un bravo fotografo, come testimoniato da alcuni notevoli scatti esposti nella locanda, ma per incrementare le entrate deve dedicarsi anche all’attività di ristorazione.

Inutile dire che spero di essere capitato in una giornata storta e che di norma ci siano molte più persone a soggiornare o cenare, ma anche a giudicare dalla trascuratezza dell’edificio temo che non sia così.
Chiedo che mi venga servito quello che avrebbe cucinato per se stesso, poiché mi sembrerebbe uno stupido spreco fare due menu diversi per due sole persone. Avrei volentieri anche cenato in sua compagnia per scambiare quattro chiacchiere, ma tenendo fede alla prima impressione preferisce mangiare da solo in cucina. Resto così in compagnia soltanto dei miei pensieri ma ammazzo la solitudine con porzioni ottime ed abbondanti di gnocchi di patate al ragù e di salsiccia con pomodori in insalata.

Domani mi aspetta una tappa molto lunga e la partenza è prevista prima che Franco apra la cucina.
Chiedo ed ottengo la preparazione di una sorta di cestino da viaggio al posto della colazione.
Pago infine il conto, ricevendo in cambio l’apposizione del timbro sulla mia credenziale.
L’assenza di altri avventori od ospiti e di distrazioni (niente wifi, niente TV) asseconda la mia esigenza di riposo in vista della lunga giornata di domani.
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Forme di vita intelligente al Passo della Calla
Forme di vita intelligente al Passo della Calla
L'incantevole foresta di Sasso Fratino
L'incantevole foresta di Sasso Fratino
Esercizi fisico-spirituali accanto all'eremo
Esercizi fisico-spirituali accanto all'eremo
Le celle dei monaci e l'invito al silenzio
Le celle dei monaci e l'invito al silenzio
Cella di S.Romualdo
Cella di S.Romualdo
Eremo di Camaldoli
Eremo di Camaldoli
Segni o scherzi del destino ?
Segni o scherzi del destino ?
Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

romanoflavio wrote:
Andrea Bezimen wrote:
lupo della steppa wrote: ...che voglia di partire ,partirei adesso :pensoso: ....speriamo dai che vada tutto bene e che possa farlo l'anno prossimo
Non disperdere questa energia e raccoglila con gli interessi tra un anno : Thumbup :
Perché aspettare così a lungo? :risata: :risata: :risata:
In effetti...facciamo due...
Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

6 Agosto: da Badia Prataglia a Eremo della Casella (28km, 7h45’+ sosta a La Verna)

L’adunata suona poco dopo le ore sei. In breve tutti gli occupanti della camerata, vale a dire solo io, sono pronti per la prima colazione, che viene consumata a letto. Non si tratta però di un trattamento esclusivo da resort di lusso. La frugale colazione preparata la sera prima dall’oste è resa ancora più penitenziale dalla assenza di una tazza di the caldo o di latte fresco.

Senza tanti rimpianti lascio la locanda ed imbocco la discesa su asfalto verso Badia Prataglia.
Talvolta, seguendo scorciatoie già impresse, passo attraverso la boscaglia tagliando i tornanti.
Così facendo accorcio il percorso, aumento lo sterrato a scapito dell’asfalto e mi tengo lontano dalle rare automobili che passano per la strada.
Una volta nell’abitato, integro la magra colazione del rifugio facendo acquisti in un negozio di alimentari appena aperto. Mi concedo pure il lusso di un cappuccino al bar.
Il paese è una grossa frazione del comune di Poppi, in provincia di Arezzo. Circondato dal parco delle foreste casentinesi, ha vocazione turistica e fu sede di una importante abbazia.
Vorrei visitare la bella chiesa, unico resto del suddetto complesso, ma sono da poco passate le sette ed il portone d’ingresso è purtroppo ancora chiuso.
Uscendo dal paese si seguono i segnavia bianco-rossi del CAI ed in particolare quelli del sentiero n.73 che porta in direzione di Frassineta.

Badia Prataglia è l’epicentro di una zona ricca di sentieri escursionistici ed ospita anche importanti gare di trail running. Non stupisce quindi che io trovi il percorso piuttosto impegnativo, anche per la carenza di fonti e sorgenti. Il rifornimento idrico è possibile a circa quattro chilometri e mezzo da Badia, più precisamente a Frassineta, borgo semideserto da dove inizia una discesa spacca gambe.
Proprio dentro al paese, seguendo le solite frecce in vernice verde, prendo inconsapevolmente il nuovo sentiero che non corrisponde a quello indicato sui miei pieghevoli.
Quando mi fermo a consultarli, l’incongruenza genera un momento di leggero smarrimento e confusione, però non mi scoraggio e nel dubbio decido di seguire le indicazioni che trovo lungo il percorso.
Paradossalmente capita di sbagliare percorso più facilmente quando ci si trova in luoghi abitati, anche per la presenza di strade alternative ed elementi di distrazione. In ogni caso qui più che di errore si è trattato di scelta alternativa, non ancora consolidata al momento del mio passaggio. Immagino che ora ci sia perfetta congruenza e corrispondenza con quanto indicato sulle nuove guide pieghevoli del Cammino.
Giungo nel centro del piccolo borgo di Biforco intorno alle dieci.

Seduti al tavolo eleganti turisti stranieri fanno colazione all’ombra del dehors di un bar.
Gli immancabili ciclisti si fermano per una pausa: alcuni riempiono le borracce, altri sfiorano il doping, se non sportivo quantomeno calorico, con caffè e brioches rigonfie di crema e grondanti zucchero a velo.
Io mi limito a fare rifornimento alimentare: pane con formaggio e prosciutto, una tavoletta di cioccolata e una mela saranno il carburante per fare ruggire il mio motore lungo la dura salita che mi aspetta.
I pellegrini partiti da Camaldoli normalmente fanno tappa qui prima di raggiungere, l’indomani, il crudo sasso tra Tevere ed Arno. Io invece devo continuare a seguire il mio itinerario personalizzato e mi aspettano ancora parecchie ore di cammino.
Scendo pertanto su asfalto verso Rimbocchi, un nome che evoca riposi infantili impreziositi da scrupolose attenzioni materne, fino a trovare il segnavia CAI n.53.
Il ruscello Corsalone in estate è solitamente ridotto ad un rigagnolo, ma questo luglio è stato più piovoso del solito. Mentre cerco il posto migliore in cui attraversarlo pongo poca attenzione a dove metto i piedi, con il risultato di procurarmi una dolorosa distorsione.
Proprio appena prima di uno dei tratti più duri dell’intero cammino.

Avendo una certa esperienza in fatto di infortuni ritengo che la cosa migliore sia forzare il ritmo fino a quando la caviglia è calda e quindi meno dolorante. Arranco spingendo al massimo, anche con i bastoncini, sulla ripida e sassosa erta, piuttosto soleggiata, che sale di circa seicento metri in quattro chilometri.
Il ritmo intenso ed il caldo opprimente di inizio agosto, con la collaborazione di un leggero ma persistente dolore alla caviglia, impongono una sosta ai box con rifornimento, prima di evitare pericolosi “fuorigiri” che potrei poi pagare a caro prezzo. Pertanto a due terzi della salita, in località Poggio Montopoli, proprio dove il sentiero spiana leggermente, mi concedo un po’ di riposo.
E’ importante conoscere il proprio fisico e le sue esigenze quando si affrontano lunghi trekking.
Pur non sentendo ancora i morsi della fame, so che ho consumato molte energie.
Mi conviene mangiare e reidratarmi, mentre verifico le condizioni della caviglia che inizia a gonfiare.
Dopo quasi trenta minuti riprendo il cammino a passo spedito divorando gli ultimi duecento metri di dislivello. Supero non appena possibile i gruppi più o meno numerosi che affollano la parte terminale del sentiero e patisco un po’quando il single track mi costringe a rimanere alle loro spalle rallentando il ritmo.

Per la prima volta dalla partenza provo una sensazione di disagio dovuta alla presenza di troppe persone.
Il patimento non è solo dovuto al rallentamento involontario da queste imposto, né alla caviglia malconcia. Inevitabilmente i gruppi sono rumorosi e finiscono con il rompere un po’ l’incanto di questo tratto di foresta, dove agli alti alberi si frappongono enormi sassi. E’ naturale ed immediato immaginarsi Francesco e i suoi seguaci intenti a cercare la pace e meditare in silenzio in questo luogo.
Mi trovo a pensare che forse non potrei mai affrontare il Cammino di Santiago. Sicuramente lungo quelle strade e sentieri si possono fare molti incontri interessanti, ma il rovescio della medaglia è che spesso ci si trova incolonnati quasi come in una sorta di processione e rari sono i momenti di quiete ed intimità.

Quando si arriva ai piedi della rupe su cui sorge il complesso monastico, se si alza lo sguardo al cielo si viene colti da un misto di stupore ed estasi; ci si sente fanciulli al cospetto di un qualcosa sognato e agognato.
Come per incanto il fastidio, il chiacchiericcio, le risate vengono cancellati dalla magia e dall’emozione.
Con un ultimo ripido strappo si raggiunge il portone d’ingresso, varcato il quale si accede alla terrazza che affaccia sulle campagne circostanti invitando all’osservazione del paesaggio ed alla meditazione.

Sono le ore tredici e purtroppo nell’ora di pranzo una comitiva esageratamente rumorosa offre il peggio di se. Il gruppo è drammaticamente trascinato da un giovane e piacente sacerdote.
Don Anthony, così almeno lo chiamano i suoi parrocchiani ma potrebbe essere anche Don Lurio o Don Backy, viste le sue doti di intrattenitore, è scatenato.
Officia il rito della spartizione dei cibi e propone scambi fra tranci di pizza e panini con la mortazza.
Con un po’ di musica commerciale e qualche tormentone in sottofondo sembrerebbe quasi di essere testimoni non invitati ad una scampagnata sui prati il giorno di Pasquetta.
Ovviamente sto esagerando, ma ritengo che la sacralità del luogo imporrebbe ben altri comportamenti.
Purtroppo questo è il prezzo da pagare per i siti famosi ed abbastanza facilmente raggiungibili.
I visitatori sono molto più numerosi e rumorosi che a Camaldoli. Persino dentro la grotta in cui Francesco dormiva devo incenerire con lo sguardo un signore che mantiene un atteggiamento più consono ad un parco divertimenti che ad un luogo sacro.

A dispetto di queste presenze invadenti e fastidiose la magia dell’eremo è comunque palpabile.
Che emozione l’ingresso alla grotta del Santo: il varco di accesso angusto e lo zaino sulle spalle che aumenta il mio ingombro, mi costringono quasi ad una umile e rispettosa genuflessione per entrare.
Il giaciglio su cui riposava Francesco è protetto da una spessa e vetusta grata in ferro. Forse già prima dell’imbarbarimento culturale da “selfie e social networks” molti fedeli o supposti tali lo utilizzavano per sedersi e magari farsi anche una foto ricordo o semplicemente per riposare un po’ al fresco.
Trovo meno profonda ed intima l’atmosfera della stanza delle stimmate trasformata in una elegante e preziosa cappella con scranni lignei, decorazioni in ceramica ed un pregevole altare che rendono l’ambiente meno francescano. Per fortuna però qui tutti i presenti sono raccolti in religiosa preghiera o in meditazione.

La ieraticità di un frate immerso nei suoi pensieri mentre osserva il paesaggio, incurante del passaggio continuo di gente, rimarrà una delle immagini simbolo di questo mio Cammino.
La Basilica vanta una vasta collezione di ceramiche dei Della Robbia ma su di me è molto più magnetica l’attrazione esercitata dalla umile veste di S.Francesco esposta all’interno della struttura.
Tra il sacro ed il profano, rappresentato dal negozio di souvenir, trascorro all’eremo un paio di ore.
Quando mi incammino verso Chiusi la caviglia è vistosamente gonfiata e decisamente dolorante, costringendomi ad una evidente zoppia nella discesa verso il centro abitato.

Molti pellegrini fanno sosta alla foresteria dell’eremo, altri in strutture ricettive di Chiusi, io per l’ultima volta ho una destinazione alternativa e mi aspettano ancora quasi tre ore di cammino.
Raggiungo la fontana “Campari”. Non eroga bitter, ma faccio rifornimento d’acqua e prendo a seguire il segnavia 50. Dapprima si scende tra orticelli e campi su un fondo sassoso decisamente ostile alla mia articolazione lesa, poi dopo un breve tratto su asfalto si riprende il sentiero n.50 attraversando un ruscelletto.
Da lì la strada riprende a salire, spesso in pieno sole, aggiungendo ulteriore sofferenza al mio cammino già avversato da sete, caldo, stanchezza e problemi fisici.
Quando raggiungo l’eremo della Casella sono le diciassette e trenta. Nel frattempo il dolore alla caviglia è sensibilmente diminuito. Con poco più di due ore di cammino su strada in gran parte in discesa potrei raggiungere Caprese e ritornare alla “civiltà” ed alle sue comodità. Tuttavia, vuoi per la stanchezza di una tappa già molto lunga, vuoi per un’ispirazione francescana, decido di passare la notte all’eremo, dove si trova un bivacco sempre aperto.

L’edificio presenta numerose stanze che, a dispetto della penombra, lasciano intuire i segni del passaggio di alcune persone con scarso senso civico e poco rispettose dei beni comuni.
Do una sommaria spazzata con frasche al pavimento di uno stanzino dotato di finestrella.
E’ più pulito e più luminoso della media della struttura, e quindi preparo il giaciglio per la notte.
Quando me ne esco per approfittare delle ultime luci del giorno, a farmi compagnia ci sono solo il silenzio ed un daino solitario che nell’attiguo prato pascola beato fino a quando mi scorge.
Più infastidito che spaventato ripara allora pigramente, con movenze eleganti, nella boscaglia.
Mi cambio e stendo a prendere aria i pantaloncini e la maglietta ancora intrisi di sudore.
Non trovo alcuna fonte ne dentro ne nei pressi dell’eremo quindi devo rinunciare al bucato mentre io mi rinfresco sommariamente con delle salviettine umide. Dedico inoltre cure ed attenzioni alla caviglia, massaggiandola a lungo con una crema antidolorifica che con lungimiranza avevo portato con me.
A Chiusi avevo rabboccato le borracce ma durante la salita all’eremo le ho parzialmente svuotate.
Mi resta poco più di mezzo litro d’acqua da centellinare per la cena, la notte e la colazione di domani.
Da mangiare ho solo una scatoletta di tonno e fagioli, della frutta secca ed una razione di miele.

Sono solo, stanco, affamato, assetato, dolorante. Eppure per me quella rimarrà la sera più bella ed indimenticabile di tutto il Cammino, forse perché affrontata con spirito francescano, facendo fronte a tanti problemi solo con la forza di volontà e lo spirito di adattamento.
Il cielo mi concede un emozionante tramonto e all’imbrunire, prima che una coperta di stelle si stenda sulla Casella. Io stendo le mie stanche membra sul pavimento della stanza dove mi appresto a passare la notte.
Inutile dire che oltre all’acqua nell’eremo manca anche la luce elettrica ma le mie batterie sono ben più esauste di quelle del telefono ed ormai privo di energie mi addormento beatamente intorno alle ventuno.
Il sonno viene spesso interrotto dalla scomodità della sistemazione. Sono abituato a dormire su un fianco e tra un sottile tappetino poggiato sul pavimento ed un vero materasso la differenza è facilmente intuibile.
Nel cuore della notte poi benedirò la scelta di aver portato con me la torcia frontale quando, per esigenze fisiologiche, dovrò alzarmi ed uscire dall’edificio un po’ labirintico in cui mi trovo.
All’esterno della costruzione oltre al buio fittissimo mi accoglie un cielo meravigliosamente stellato.
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Al cospetto dell'Eremo
Al cospetto dell'Eremo
Il saio di Francesco
Il saio di Francesco
il giaciglio del Santo
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Stanza delle stimmate
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Ieraticità
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Il mio umile (e scomodo) bivacco
Il mio umile (e scomodo) bivacco
Il tramonto si avvicina
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

7 Agosto: da Eremo della Casella a Caprese Michelangelo (10km, 2h15’)

L’emozione per lo spettacolo della natura si ripete quando questa si ridesta, poco dopo di me.
Esco infatti quando l’oscurità e le tenebre stanno gradualmente lasciando spazio alla luce. Nel momento in cui il disco del sole si alza fino a irradiare il mio corpo e l’ambiente circostante, si compie la magia.
Socchiudo gli occhi abbagliato dal sole, ne sento la forza del calore e della luce e mi pare che un brivido di energia percorra non solo il mio corpo ma tutto quello che mi circonda, facendolo fremere di vitalità.
Gli uccellini cinguettano come se stessero esultando e sembrano confermare questa mia impressione.

Ebbro di queste sensazioni diventa difficile tornare a coricarmi, ma la tappa di oggi sarà molto breve.
Dopo la faticaccia di ieri mi aspettano poche ore di cammino e tante di riposo, che saranno particolarmente gradite soprattutto dalla mia caviglia slogata.
Finalmente infatti potrò seguire le tappe canoniche del Cammino di Assisi. Il posto tappa odierno sarà Caprese Michelangelo, raggiungibile in soli dieci chilometri, per cui sarebbe inutile partire all’alba.
Rientro così nel tepore del sacco a pelo senza sprofondare nel sonno ma cercando di rivivere nei pensieri quell’emozionante risveglio e caricandomi di energie positive.

Poco prima delle otto mi metto in cammino, dopo una breve sosta nella cappelletta dell’eremo.
Scendo verso la mia meta, e dopo circa quindici minuti trovo una piccola sorgente che tanto mi avrebbe fatto comodo la sera precedente. Sono comunque a corto d’acqua e ne approfitto per fare rifornimento sebbene oggi non abbia particolari esigenze idriche.
Il sentiero si snoda in ripida discesa nel fitto di uno splendido bosco di castagni e non posso fare a meno di notare la presenza di alcuni cercatori di funghi. Mi unirei volentieri a loro ma, temendo di trovarmi in una riserva, al fine di evitare spiacevoli sanzioni preferisco non abbandonare la strada e procedere fino a raggiungere il piccolo abitato di Lama.
Sono circa le nove e mezza, trovo un negozio di alimentari e ne approfitto per comprare una confezione di latte e una brioche con cui fare colazione. All’eremo della Casella praticamente non avevo mangiato nulla.
La strada è quasi tutta in discesa fino ad un piccolo strappo poco prima di giungere a Caprese ed il fondo è dapprima su carrabile sterrata e poi su asfalto: la caviglia gradisce il fondo regolare.

Senza forzare il ritmo giungo a destinazione a metà mattinata, intorno alle dieci e trenta.
Immediatamente mi reco al posto tappa convenzionato. Si tratta di un residence che per il servizio ristorazione si avvale di un ottimo ristorante in centro. Mi viene assegnata una matrimoniale ed a mia disposizione c’è pure un cucinino dove più tardi pranzerò e dove potrò fare colazione domattina.
Il bagno privato è una bella comodità e ne approfitto per regalarmi una doccia e fare un po’ di bucato a mano. Oggi non avrò problemi a fare asciugare i miei vestiti: ho tanto tempo e fuori splende il sole.
Prima di concedermi un po’di meritato riposo esco in cerca di un negozio dove comprare qualcosa da mangiare a pranzo.

Poco lontano dal rifugio si trova un minimarket abbastanza fornito.
Il titolare si dimostra ciarliero ed avvezzo ai pellegrini tanto che mi identifica subito in quanto tale, sebbene non avessi più sulle spalle lo zaino. O mi ha visto passare prima oppure deve essere un attento osservatore. Abbigliamento sportivo ed una discreta abbronzatura sono indizi a mio carico, ma la prova schiacciante è una collanina presa alla Verna, dalla quale pende un minuscolo tau francescano in legno.
La spesa passa quasi in secondo piano e finiamo per conversare a lungo. Quando gli racconto del mio itinerario il signore si dimostra profondo conoscitore dei sentieri locali. Poi, sollecitato dalla mia curiosità, inizia a raccontare aneddoti sui personaggi più curiosi che ha visto affrontare il Cammino di Assisi.
Tra questi mi ha colpito l’immagine di una suora avanti con gli anni e partita dal Belgio senza altro che la sua veste ed il breviario per le preghiere. Quasi grottesco invece un italiano che per espiare i suoi tanti peccati camminava portando sulle spalle il fardello di una grossa croce, consunta dove il legno strisciava in terra. Personalmente ritengo che la fede sia una materia molto personale e molto privata e che certe ostentazioni possano rientrare più nel folklore o nella voglia di protagonismo, ma se tale penitenza è servita ad alleviare il suo senso di colpa, ben venga quella manifestazione esteriore.

Il mio gentile e loquace interlocutore sfoggia una evidente cicatrice all’occhio destro che, abbinata a tratti decisi del volto, me lo fa immaginare come la reincarnazione di un guerriero medievale.
Non ricordo nemmeno in quale modo si sia arrivati a tale argomento, ma ad un certo punto si mette a parlare del dipinto di Leonardo da Vinci “La battaglia di Anghiari”. Inizia ad infervorarsi proprio come se lui fosse stato presente all’evento ed avesse vissuto la scena in prima persona.
Quasi mi convinco che la mia sensazione fosse giusta e che viaggiare nel tempo sia forse possibile…
Sembra un fiume di parole, inarrestabile, ma l’ora di pranzo si avvicina e così per accomiatarmi chiedo di poter pagare. Uguccione sornione mi chiede 5 fiorini…mi sento sempre più dentro alla trama di “Non ci resta che piangere”. Prima che io venga in qualche modo teletrasportato come soldato di ventura nel “1400 quasi 1500”, saldo il conto e mi dileguo.
Torno al mio residence ed agli anni duemila, come confermato dal cibo in scatola che mi appresto a consumare. Al manzo in gelatina accompagno piselli ed una morbida pagnotta, prima di concedermi finalmente un rigenerante riposino post prandium sul confortevole letto matrimoniale.

Caprese Michelangelo deve parte del nome al suo più illustre figlio: Michelangelo Buonarroti che qui nacque il 6 marzo del 1475. Purtroppo il museo a lui dedicato è chiuso per lavori di manutenzione, devo così limitarmi a visitare il bel borgo arroccato con le vie strette e le case in pietra. Trovo anche quella che dovrebbe essere la chiesetta in cui pare questo sommo artista sia stato battezzato.
Il prezzo convenzionato per i pellegrini che sostano al residence comprende la cena presso la Buca di Michelangelo, ristorante specializzato in cucina toscana e piatti del territorio.
Scopro di essere l’unico pellegrino di passaggio oggi e quindi cenerò da solo nella bella terrazza del locale.
Ovviamente la proposta gastronomica per il pellegrino è meno invitante di quella riservata a chi mangia alla carta, tuttavia gusto ogni boccone del semplice menu che comprende pasta al ragù e salsiccia con insalata.

Il caffè lo prendo al banco e, mentre sfoglio un quotidiano locale, attacco bottone con un’anziana signora che scopro essere la madre del titolare del ristorante, nonchè gestore del rifugio.
La conversazione parte dalle previsioni meteo come spesso accade tra sconosciuti.
Del resto sarà anche un argomento generico e banale, ma è di concreto interesse per chi si sposta a piedi, esposto agli agenti atmosferici. Domani e nei giorni successivi dovrebbe essere bello, ma luglio è stato insolitamente piovoso ed il passaggio all’argomento funghi, nati in abbondanza, avviene puntuale.
Si arriva infine al confronto dialettico tra tempi moderni e passati.
Gli ultimi finiscono con il prevalere, ma per un vero e proprio contraddittorio sarebbe stata necessaria la presenza anche di un giovane, in modo da avere tutte e tre le fasce d’età coperte.
Visto che io, figlio dei primi anni settanta, sono già entrato nell’ottica della nostalgia dei tempi andati, probabilmente i ricordi sbiaditi, magari in bianco e nero su pellicola, avrebbero comunque prevalso due ad uno sui colori accesi e vivaci, da foto digitale, celebranti la contemporaneità.

Rientrando verso il residence passo di fronte al supermarket. E’ notte fonda, il negozio è chiuso ed Uguccione sferzando il suo destriero sarà ormai tornato alla sua epoca ed alle sue epiche battaglie.
Sorrido e penso che in fondo, dopo sei secoli, le rivalità campanilistiche tra comuni sono rimaste, in compenso è sparita la ricerca del bello che ha caratterizzato quell’epoca.
Chissà, forse avessi avuto più tempo a disposizione, avrei potuto confrontare con lui, viaggiatore nel tempo, il Rinascimento di fine medioevo con l’attuale decadimento artistico e culturale.
Altro che “anziani” contro “millennials” come con la signora ed un ipotetico figlio degli anni duemila.
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la magia del risveglio della natura
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Alba su eremo
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l'interno della Cappella all'eremo della Casella
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un muro da classiche del Nord...
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a ricordo del suo illustre figlio...
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

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8 Agosto: da Caprese Michelangelo a San Sepolcro (26km, 6 ore)

La sveglia suona alle sei, strappandomi al comfort del letto e consegnandomi alla cucina. Qui consumo la solita colazione ipercalorica, per affrontare una tappa che non si annuncia difficoltosa ma piuttosto lunga.
Una volta ripresa conoscenza ed un minimo di lucidità, decido di optare per un cambio gomme: passo dalle scarpe da trail a quelle da running, meno tassellate e più adatte al percorso che mi aspetta.
Il bucato fatto il giorno prima è perfettamente asciugato, provvedo a sistemarlo con cura nello zaino ed intorno alle sette sono pronto a partire.

Si cammina in saliscendi su strada asfaltata poco trafficata per alcuni chilometri. Poi si prende il segnavia CAI n.2 e ci si ritrova immersi una campagna da spot pubblicitario: casolari ben tenuti con roseti e piante rampicanti ai muri, colline ondulate con campi punteggiati da alberi che sembrano disegnati.
I rovi che affiancano il sentiero mi offrono un graditissimo e delizioso snack a base di more.
Una foto-trappola lascia presagire la presenza di animali selvatici che purtroppo non riesco ad avvistare, anche perché ormai il sole è già alto e loro saranno rintanati nella boscaglia.
Peccato che questo scenario idilliaco sia un po’ funestato da uno sciame di mosche cavalline e di tafani.
Mi tormenteranno a lungo nei pressi del monte Fungaia, obbligandomi a sventolare continuamente una frasca per allontanarli un po’. Nonostante il mio prodigarmi conterò parecchie punture a fine giornata.

Si scende poi agevolmente verso il ponte sul fiume Singerna che si immette nel lago di Montedoglio. Qui unisce le sue acque a quelle del Tevere proseguendo insieme la sua corsa verso la città eterna e il mare.
Il lago è un invaso artificiale, ma è comunque affascinante. Peccato che l’area “belvedere” situata in una zona rialzata a circa due chilometri dal ponte, non tenga fede al nome attribuitole.
Le panche e le recinzioni in legno sono piuttosto malconce, la spazzatura abbandonata è tanta, e la vista sul lago è parzialmente coperta dalla crescita incontrollata di alberi di acacia.
A completare il quadro non mancano erbacce infestanti ed ortiche.
A dispetto di questo stato di degrado decido di fermarmi per una sosta, anche perché sono a metà percorso, fa parecchio caldo e non sono segnalate fonti lungo il percorso.
Ne approfitto per bere una soluzione di acqua e sali che avevo preparato prima della partenza da Caprese.

Dopo circa un chilometro si torna su una strada sterrata che porta nei pressi della diga e poi scende verso il lungotevere ed i campi che lo costeggiano, in gran parte coltivati a tabacco e girasole.
Non mancano laghetti artificiali, canali e qualche fattoria. Sembrerebbe uno scenario piuttosto idilliaco ma, complici un sole ed un caldo martellanti, questo tratto di circa sette chilometri diventa un tormento.
L’ombra è pressoché inesistente, la strada bianca rettilinea sembra non finire mai. Gli automezzi di passaggio sono preannunciati da un’alta nube di polvere che finisce per depositarsi su di me quando mi passano accanto, sebbene gran parte degli autisti tendano a rallentare la marcia non appena mi vedono.

E’ ormai mezzogiorno, i morsi della fame si fanno sentire. Cerco inutilmente uno spiazzo erboso, possibilmente all’ombra, dove potermi adagiare ed alla fine finisco per farlo su un muretto a bordo strada.
Il pranzo è costituito semplicemente da un paio di fette biscottate con marmellata e nutella che avevo risparmiato e trafugato durante la colazione al residence. E’ sufficiente per spezzare la fame e raggiungere Sansepolcro che dista oramai meno di un’ora: vedo la luce in fondo al tunnel.

Invece quella luce erano forse le fiamme dell’inferno…infatti, quando la strada bianca termina, il tormento si trasforma in incubo. Dopo giorni di paesaggi agresti, silenzi, pace e tranquillità, mi trovo catapultato nella cosiddetta civiltà, rappresentata da una trafficatissima strada extraurbana dove a farla da padrone sono i gas di scarico e le sonorità cacofoniche prodotte dai mezzi di trasporto.
Un furgoncino che sfreccia a folle velocità a pochi centimetri da me, fa volare via il mio cappellino da pescatore. Per fortuna non viene risucchiato dal turbinio del veicolo, finendo per cadere non in mezzo alla strada ma nel campo attiguo. Non devo quindi rischiare la vita per cercare di recuperarlo.
Grazie al cielo questo inferno dura poco più di un chilometro, dopo il quale si ritorna ad una situazione meno pericolosa. Si transita infatti sulle strade asfaltate ma poco trafficate della periferia di Sansepolcro.
A fare da spartiacque il sottopasso dell’Acheronte, sotto le mentite spoglie della E45.

Ancora una volta raggiungo il posto tappa all’ora di pranzo.
Dalle finestre aperte se non i profumi, giungono almeno rumori che mi fanno sognare un bel piatto di pasta: stoviglie, richiami ai famigliari, sigle di telegiornali in orario mangereccio.
Entro in centro dalla porta del Ponte e raggiungo facilmente la chiesa di Santa Maria dei Servi.
L’adiacente palazzo ospita la struttura convenzionata in cui trascorrerò la notte.
Suono il campanello e quando il portone si apre mi trovo catapultato in una realtà più degna di un relais che di un ostello. Non solo i corridoi e le aree comuni hanno oggetti ed arredi d’antiquariato, ma anche le camere. Il bagno, seppur condiviso, è pulitissimo e fornito di prodotti per l’igiene personale. Non manca uno splendido cortile interno, con pratino rasato ed arredi da giardino, dove potersi riposare o consumare i pasti. In proposito va detto che la struttura li può preparare a prezzi convenzionati, ma siccome ero l’unico pellegrino ho preferito arrangiarmi per avere maggiore libertà di movimento. Mi limito quindi a pernottare in una bella stanza doppia. L’altro letto rimarrà vuoto, ed il fatto di avere la stanza tutta per me, da un lato mi fa piacere, ma dall’altro sono un po’ dispiaciuto. Sebbene ora stia seguendo le tappe canoniche, non ho ancora avuto modo di interloquire con qualche altra persona diretta ad Assisi. Cosa che mi farebbe piacere soprattutto alla sera, durante la cena e prima di andare a dormire.

Dedico le ore più calde della giornata ad una doccia rinfrescante e ad un sonnellino rigenerante.
Poi esco per esplorare il centro storico che si rivela piacevole e decisamente a misura d’uomo e di pedone.
L’infortunio alla caviglia patito alla Verna si rivela meno grave del previsto e posso godermi senza alcun fastidio fisico la passeggiata che conduce dal rifugio al centro storico ed alle sue strette viuzze.
Il museo civico custodisce alcuni splendidi quadri di numerosi artisti ed in particolare di Piero della Francesca, il più illustre figlio di questa città, piccola ma ricca di storia e arte.
Pare che proprio per non rischiare di distruggere il suo capolavoro “La resurrezione”, le forze alleate abbiano interrotto un bombardamento nel corso della seconda guerra mondiale.
Altro illustrissimo figlio di Sansepolcro è Luca Pacioli: religioso, matematico ed economista, che viene considerato il fondatore della ragioneria, avendo perfezionato il sistema della partita doppia.
Il mio bilancio calorico è in rosso ma per fortuna il budget a disposizione è sufficiente a riportarlo non solo in utile ma anche ad effettuare investimenti per affrontare le sfide future.

Pacioli ha risvegliato in me reminiscenze di studi economici che poco si adattano alla narrazione del Cammino. Meglio tornare ad uno stile più semplice e dire pane al pane: è l’ora di fare la spesa. Non solo per la cena di oggi, ma anche per la colazione ed il pranzo di domani, prima di tornare in foresteria.
Qui mentre consumo la cena in giardino, vengo incuriosito da un rumore secco e ripetitivo.
Cerco di capire da dove provenga e cosa sia a generarlo e, affacciandomi dal balcone del giardino terrazzato, scopro che proprio di fianco si trova una struttura dove si esercitano i balestrieri.
Per un po’ mi fermo ad osservarli, cercando invano di riconoscere tra essi il viaggiatore nel tempo di Caprese Michelangelo, sicuramente esperto di armi antiche.
Un po’ deluso per la mancata apparizione decido di tornare in strada. Le vie del centro storico ospitano un mercatino dell’antiquariato, i negozi sono aperti. Tanta gente è uscita per godersi la vita. Una luna oramai quasi piena, occhieggia di tanto in tanto tra gli stretti vicoli per poi troneggiare su piazze e slarghi.

Tornato a Santa Maria dei Servi sento fermento nella terrazza. E’ in corso una cena con molti ospiti, arrivati sicuramente durante la mia assenza. Tuttavia non si tratta di pellegrini sulla via di Assisi.
La foresteria infatti fa anche da ostello per gruppi numerosi come quello che sta festeggiando e divertendosi, in verità in modo estremamente civile ed urbano.
Temendo di non avere nulla in comune e di rivelarmi un corpo estraneo, se non magari sgradito, evito di unirmi a loro e mi dirigo in camera per lasciarmi cadere tra le braccia di Morfeo.
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Piazzetta con luna
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Luca Pacioli
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Museo del merletto
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Piero della Francesca
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

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9 Agosto: da San Sepolcro a Città di Castello (29km, 7 ore)

La consueta melodia, scelta sul telefonino come sveglia, mi ridesta poco dopo le sei, facendomi apprezzare la scelta di non essere andato a dormire tardi la sera precedente. Lo zaino è già pronto e per la colazione mi arrangio con latte e brioches confezionate comprati il giorno prima al supermercato.
Come al solito controllo in maniera maniacale di non aver dimenticato qualcosa e, poco prima delle sette, abbandono la mia economica ma lussuosa dimora.
Scendo nelle strade ancora quasi deserte proprio mentre la città incomincia a risvegliarsi.
Dai bar proviene il famigliare clangore di tazzine, resisto al loro richiamo e rinuncio a fare una sosta, ma le tentazioni non sono finite. Il profumo di pane fresco proveniente da un forno inebria le mie narici che poco dopo inizieranno a sbuffare nella lunga salita asfaltata che conduce all’eremo di Montecasale.

La strada, sebbene ripida, è comunque piacevole: poco trafficata, in gran parte ombreggiata e più frequentata da runners e camminatori che da mezzi a motore. Quantomeno a quest’ora.
Raggiunto l’eremo mi concedo una sosta. La struttura infatti si trova in una splendida posizione panoramica. Circondato da boschi, vicino a grotte e corsi d’acqua, l’eremo venne fondato da Francesco nel 1213. Molte sono le memorie del Santo: la pietra che utilizzava come letto, un crocifisso ed una scultura della Madonna che si ritiene siano state da Lui portate qui, e tre piccole urne che contengono reliquie.
Riempio la borraccia e mi disseto ad una fonte che la leggenda vuole essere stata fatta sgorgare proprio dal Patrono d’Italia e mi appresto a riprendere il cammino che ora procede su sterrato ma sempre in salita.

Poco prima dello scollinamento lascio il passo ad un ciclista su mountain bike. Si ferma e scambiamo qualche battuta. Riparte agile sull’ultima rampa ed in breve scompare dalla mia vista, a dispetto di una carta d’identità non più verdissima, avendomi dichiarato un’età di 53 anni.
La seguente discesa è gradevole. Si cammina sempre nel bosco e ci sono alcuni ruderi, uno dei quali in ristrutturazione. Potrebbero prestarsi ad un bivacco di emergenza, anche perché si incontra pure un ruscello dove attingere acqua per dissetarsi, cucinare o lavarsi.
Le piogge, insolitamente frequenti del mese di luglio, hanno consentito una abbondante crescita di funghi ed una conseguente frenetica attività di raccolta. Ne risente il silenzio dei boschi, sovraffollati di cercatori non sempre molto rispettosi dell’ambiente e delle regole di civiltà.
Ancora una volta devo frenare i miei istinti, rinunciando ad unirmi a loro e tirare dritto. Mi lascio alle spalle Abbadiaccia ed inizio la discesa che, a tratti su fondo sconnesso, punta verso Celalba.

Lungo il sentiero CAI n.101 ancora una volta la natura mi è amica, offrendomi succulente more e piccole mele non ancora pienamente mature ma dissetanti. Si sa che l’appetito vien mangiando, quindi giunto nei pressi dell’abitato di Selci Lama mi sdraio su un muretto all’ombra e azzanno con voracità i due panini preparati la sera prima nella cameretta di Sansepolcro.
La frugalità del pasto e la precarietà della sistemazione non mi sono di peso, anzi mi fanno apprezzare di più questo momento. La campagna intorno è coltivata e ben tenuta, e qualche refolo di aria rende sopportabile la temperatura rovente delle ore più calde di un giorno agostano.
Forse la magia del Cammino ha inciso sul mio stato d’animo, sulla capacità di apprezzare le piccole cose che erroneamente diamo spesso per scontate. Siano esse gesti umani, un sorriso, frutti spontanei della terra, i suoni della natura o un clima favorevole.

Vorrei godermi a lungo il momento, magari concedermi un sonnellino, cullato dal frinire dei grilli, ma Città di Castello ed una celebre dama nata tra le sue mura mi stanno aspettando.
Riprendo il cammino su terreno in gran parte pianeggiante ed asfaltato, un tipo di fondo che non gradisco e che mi fa rimpiangere la bucolica sosta di poco fa.
Tuttavia oggi non riesco ad essere negativo. Così per distrarmi e sorridere un po’, mi fermo dinnanzi ad un campo di girasoli, ne scelgo uno e lo modifico trasformandolo in una faccia sorridente.
Reduce della tappa michelangiolesca di Caprese, in un impeto di orgoglio artistico gli chiedo “perché non parli?” ma il mio amico immaginario è taciturno ed il suo sorriso enigmatico non soddisfa la mia curiosità.

Sono le quattordici e fa caldissimo quando raggiungo l’area predisposta per i servizi di Protezione Civile. All’interno della struttura si trova anche la sede della Croce Bianca che, convenzionata con il Cammino, ospita per pochi euro i pellegrini dotati di Credenziale. Procedo con la registrazione e, dopo la rituale apposizione del timbro, prendo possesso della mia confortevole stanzetta.
Ancora una volta mi ritrovo da solo e, sebbene per il cammino io preferisca la solitudine, nei momenti conviviali o in quelli di relax inizia davvero a pesarmi l’assenza di interlocutori.
Qui se non altro è presente il segnale wi-fi e ne approfitto per comunicare con amici e famigliari a costo zero, aggiornandoli in modo più dettagliato sulla mia esperienza.

Con gesto disinteressato e gentile i militi della Croce mi concedono gratuitamente l’utilizzo di una bicicletta.
Si tratta di una vecchia bici da passeggio, modello “Graziella”, anche un po’ scassata ma preziosissima per raggiungere il centro storico che dista alcuni chilometri dal luogo in cui mi trovo.
Le gomme un po’ sgonfie, qualche punto di ruggine, rumori assortiti di ferraglia danno al mio mezzo un’aria bohemienne. Io mi adeguo al suo stile, pedalando a ritmo blando godendomi il vento tra i riccioli biondi.
Da alcuni mesi ho deciso, forse per l’ultima volta, di lasciarli crescere liberi e selvaggi come in gioventù, sebbene la criniera non sia purtroppo folta e leonina come venti anni fa.
Passo accanto all’Ospedale, entro in città da viale Bologni e non appena raggiungo il centro storico la vedo.

Scatto sui pedali con la potenza di Cipollini per raggiungerla, ma il labirintico dedalo di vie me la nasconde.
Mi sento quasi come Teseo, sebbene la mia preda sia ben diversa dal minotauro…fiuto l’aria per scorgere tracce del suo profumo. Ogni mora capigliatura mi sembra la sua.
Eccola di nuovo: sta entrando in quella gelateria, non mi può scappare.
Mi fiondo davanti al negozio entro con il cuore in gola per lo sprint, per la frenata lunga della bici con i pattini troppo consumati, ma soprattutto per l’emozione.
Mi ritrovo ad ordinare un cono crema e cioccolato per stemperare la delusione. Non era lei.
Ammiro tutte le bellezze di Città di Castello: la torre civica, il palazzo dei priori, i palazzi Vitelli.
Tutte tranne una: la migliore opera d’arte contemporanea non solo di questa città, un simbolo di bellezza e femminilità, un’icona italica: Monica Bellucci. Nata qui nell’anno “non si dice quando” da tempo risiede altrove, ma la speranza di una scappata agostana nei luoghi dell’infanzia mi aveva fatto sognare un incontro. Anche perché le riviste di gossip avevano annunciato giusto un anno fa la sua separazione dal marito. Il sogno è svanito ed è giunto il momento di tornare indietro, con le pive nel sacco.

Un asettico supermercato di periferia mi propone altrettanto asettici prodotti alimentari per i prossimi pasti. Resisto però indomito alla tentazione di acquistare un vasetto di cioccolata spalmabile in cui affogare il dispiacere per il sogno infranto: la mia tempra è ancora forte…
Giunto alla Croce Bianca viene meno anche la speranza di poter parlare e confrontarmi con altre persone in cammino. Nessun altro pellegrino ha raggiunto il mio posto tappa nell’arco della giornata.
Consumo da solo una cena frugale, preparo i panini per l’indomani e rinuncio ad uscire.
La voglia di tornare a Città di Castello ci sarebbe, la distanza non è poi eccessiva, ma il mio mezzo non è molto visibile con la sua pallida luce a dinamo ed un catarifrangente mezzo rotto.
Non vorrei proprio finire arrotato sotto qualche macchina.
Va bene che, in caso di investimento, l’ospedale è qui vicino, ma la mia collezione di lastre e fratture è già sufficientemente completa e non ci tengo ad aggiungerle nuovi pezzi.
E poi so già che Monica, con il favore delle tenebre, mi scapperebbe ancora una volta…

Anche oggi il bucato, effettuato poco dopo l’arrivo, è perfettamente asciugato.
Mi godo le ultime luci del tramonto, poi lo ritiro e lo piego con cura. Lo sistemo dentro lo zaino in modo da riempire tutti gli spazi a disposizione, bilanciando bene i pesi così da ridurre i movimenti dello stesso e del suo contenuto una volta in marcia.
Una piccola televisione e le possibilità offerte dal collegamento internet wi-fi mi tengono compagnia fino al momento in cui decido che sia meglio ritirarsi sotto le lenzuola in vista di una nuova tappa che si preannuncia piuttosto lunga e torrida, stando alle previsioni meteo.
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Per le vie di Città di Castello
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verità scomode
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

10 Agosto: da Città di Castello a Pietralunga (31km, 7h45’)

Oggi mi attendono circa trenta chilometri con alcuni saliscendi che, sommati, costituiscono un discreto dislivello, ma la strada non mi spaventa. Anzi oramai il fisico quasi attende con ansia di mettersi in cammino. La mente, pur incentrata al raggiungimento della meta finale, è avida di scoprire nuovi luoghi, speranzosa di conoscere altri pellegrini o semplicemente abitanti del posto con qualche storia da raccontare ed esperienze da condividere.
Forse anche grazie alla mia condizione di umile pedone in cammino verso una destinazione così simbolica, ogni incontro seppure fugace, ogni semplice scambio di battute si rivela un momento degno di essere ricordato. E’ quasi come se la gente ci tenesse a mettermi a mio agio, confortarmi ed incoraggiarmi.

Sono le sei e mezza mentre faccio colazione e mi affaccio alla finestra.
Una insolita ed imprevista nebbiolina quasi autunnale avvolge i campi e talvolta questa bigia trapunta, trafitta da raggi di sole, crea suggestivi giochi di luce.
Poco dopo le sette abbandono la Croce Bianca, passo di fronte ad un centro commerciale ancora chiuso e, attraversando un ponticello, raggiungo il cimitero di Città di Castello da dove proseguo su un piacevole misto di sterrato ed asfalto.
Una ragnatela perfettamente intessuta è coperta dalla miriade di goccioline finissime create dall’umidità del mattino. Un improvviso raggio di sole la trasforma in un rilucente capolavoro di gioielleria aracnide.
Ho da poco imboccato il sentiero contrassegnato dal numero 109 quando la nebbiolina dissolvendosi si ritira, consentendo di apprezzare più ampi scorci di panorami agresti.
Il rovescio della medaglia è che in questo tratto piuttosto lungo e ripido il sole inizia a bruciare.
Seguendo il crinale si sale di quasi trecento metri in meno di due chilometri, poi si procede su una larga carrareccia tra saliscendi fino a raggiungere Candeggio.
Ancora una volta un paese con un nome che evoca ricordi domestici, famigliari, petali di candore.
Qui coloro i quali fossero stanchi o in difficoltà possono fare sosta in uno dei rifugi convenzionati.
Io mi limito a rinfrescarmi e fare rifornimento ad una fontanella e riprendo subito il cammino, anche perché il rubinetto è posto a bordo strada, in una piazzola priva di ombra. L’area di sosta è di recente costruzione ed auspico che con il tempo vengano piantati, o crescano spontaneamente, alberi frondosi capaci di offrire un po’ di frescura e di riparo al viandante stanco ed assetato.

Sparuti rombi di automobili o motociclette in avvicinamento costituiscono brevi varianti ad una rilassante, ma altrettanto monotona, colonna sonora fatta dal frinire di grilli e cicale e dal ronzio di mosche ed altri insetti volanti tra i quali gli immancabili e famelici tafani.
Ho normalmente una sopportazione quasi fachiresca del caldo e della sete, ma oggi mi sento in difficoltà ed è con estremo sollievo che giungo a Pieve di Saddi.
Qui si trova una struttura che offre ospitalità a chi voglia spezzare questa lunga e faticosa tappa.

Avvicinandosi ad Assisi noto che le forme di ospitalità aumentano sensibilmente spaziando dal rifugio spartano in camerata all’agriturismo per finire al resort di lusso con piscina.
Si potrebbe forse cadere nel tranello di una sorta di contrapposizione di classe tra due forme di turismo apparentemente ben distanti, considerando i primi destinati a stoici pellegrini sorretti dallo spirito ed i secondi ad amanti della bella vita con il portafogli gonfio.
Innanzitutto sarebbe un errore clamoroso giudicare le scelte altrui e sentirsi migliori di chi a bordo di una automobile raggiunge queste località per goderne la pace e le delizie eno-gastronomiche.
In secondo luogo ritengo che il turismo lento, religioso o meno, sia un vero e proprio lusso esclusivo nella società in cui viviamo. Una società schiava del mordi e fuggi, dell’usa e getta, “che adora gli orologi ma non conosce il tempo” per citare Giovanni Lindo Ferretti, uno dei miei artisti preferiti.
Infine nulla esclude che una persona che viaggia a piedi per scelta non possa, altrettanto liberamente, scegliere di concedersi il lusso di un ristorante o di una struttura ricettiva di pregio.
Ben venga quindi il fiorire di agriturismi, Bed and breakfast, ostelli ed alberghi purchè consenta a sempre più gente di visitare, conoscere ed apprezzare queste splendide regioni lontane dal turismo di massa.
Da quest’ultimo è però importante che continuino a differenziarsi offrendo un prodotto personalizzato, intimo, non standardizzato ma capace di creare un legame affettivo reciproco tra ospitato ed ospitante. Dove il primo non sia considerato una banconota antropomorfa ed il secondo un semplice posto letto.

Oltre ad un ostello con servizio ristorazione, a Pieve dei Saddi si trova anche una fontana alla quale attingo con abbondanza per bagnarmi e per dissetarmi. Sosta ed idratazione si rivelano provvidenziali, in quanto gli ultimi chilometri sono caratterizzati da una snervante e affaticante alternanza di strappi in salita seguiti da altrettanto ripide discese, nelle quali ad essere sollecitate sono soprattutto le ginocchia.
Pieve e Pietralunga sono grossomodo alla stessa altitudine, ma nel tragitto si affrontano circa trecento metri di dislivello in salita ed altrettanti in discesa, tanto che per coprire i quasi dieci chilometri che le separano occorrono circa tre ore di cammino.
L’abbassamento della velocità media è dovuta anche ad un comprensibile affiorare della fatica dopo venti chilometri, oltre che all’altimetria del percorso.
Oggi poi, come già sottolineato, è particolarmente caldo ed affronto il finale di tappa nelle ore più soffocanti di una giornata torrida.

Ogni scalino che conduce al centro di Pietralunga mi infligge una stilettata ai polpacci.
Quando arrivo sono le ore quindici, sono stanco ed accaldato dopo otto ore di cammino a ritmo intenso. Sogno una doccia rinfrescante ed un letto, ma purtroppo il rifugio è chiuso.
Provo allora a contattare al cellulare Don Salvatore il quale mi dice di aspettarlo e che a breve arriverà.
Fervono i preparativi per la festa del borgo ma, per una volta, non sono stranamente dell’umore giusto per mescolarmi alla gente del posto, fare domande, conoscere le loro usanze e tradizioni.
Purtroppo ho il difetto di incupirmi quando cerco di pianificare ogni dettaglio ma qualcosa va storto, anche se per cause a me non imputabili.
Dovrei imparare ad evitare o quantomeno ridurre le aspettative e cogliere quello che il momento offre.
Ora voglio solo riposare e, guardato dai paesani con un briciolo di diffidenza, finisco per coricarmi nei pressi della canonica su uno scomodo acciottolato che ha però il vantaggio di essere all’ombra.

Il parroco mi raggiunge dopo oltre un’ora dal mio arrivo.
Con lui c’è anche una coppia calabrese. Come me sono diretti ad Assisi ma a causa di un problema fisico della ragazza, Don Salvatore è andato a prenderli in auto a Pieve dei Saddi dove hanno anche pranzato.
Oggi sono poco francescano e mi trovo ad essere indispettito al pensiero che mentre io scarpinavo e grondavo sudore per poi giacere esausto sul selciato, loro consumavano un lauto pranzo per affrontare infine gli ultimi chilometri comodamente in auto.
Appena arrivata la coppia chiede a quale ora ci sarà la messa visto che oggi è domenica.
Il parroco risponde che nel pomeriggio non sono previste celebrazioni liturgiche generando in loro uno sconforto che non riesco a capire se sincero o artificioso.
Sebbene io stia affrontando un itinerario spirituale ho una visione forse distorta della religione. Trovo che un peccato, come non assistere alla messa domenicale, possa essere condonato alla luce delle situazioni di preghiera ed intimo raccoglimento offerte dal pellegrinaggio, nonché della fatica fisica profusa.

Dopo tanti giorni in solitudine finalmente mi trovo a condividere il rifugio con qualcuno, ma sembra che tra noi non ci sia sintonia e ci limitiamo ai convenevoli prima che io possa finalmente fare la doccia e il bucato.
Quando esco dal bagno faccio conoscenza con un’ulteriore coppia, questa volta vicentina. Anche in questo caso tra noi non scocca la scintilla ed i rapporti vengono improntati ad un cortese scambio di saluti e presentazioni, condito però da un algido disinteresse.
Probabilmente avessi incontrato persone non legate da vincoli affettivi, avrei avuto modo di stringere rapporti più profondi e trascorrere almeno la serata insieme.
Immagino che i miei compagni di camerata volessero godersi comprensibilmente un po’ di romantico riposo e magari una cena tete a tete dopo le fatiche del Cammino.
Procediamo poi alla registrazione con apposizione del timbro sulla Credenziale presso la canonica ed al versamento dell’obolo. Questo rifugio è a donativo, con una cifra consigliata che purtroppo non viene da tutti rispettata. Probabilmente la struttura non è il massimo in quanto a comfort e pulizia. In particolare la doccia ed il bagno necessiterebbero di manutenzione, però ritengo quasi offensiva un’offerta per due persone inferiore alla cifra consigliata per un singolo pellegrino.

“Ma fuori c’è la festa del paese vado a fare un giro…” così cantava un giovane Vasco Rossi ed io decido di seguire il suo esempio. Si tratta di una festa medioevale con tanto di figuranti in abito d’epoca.
Nei vicoli dei vari rioni sono appesi festoni e vessilli con i colori delle rispettive borgate e non mancano le tavolate di strada. Dopo il palio saranno coperte di cibo ed affollate da Pietralunghini vogliosi di festeggiare la vittoria, o di recriminare per una sconfitta immeritata e determinati a rifarsi l’anno venturo.
Nella piazza del paese troneggia una mannaia alla quale è dedicato l’agone sportivo che vede i giovani rappresentanti delle contrade impegnati a spingere un carretto di 450kg lungo le ripide strade del borgo.
La mannaia fa riferimento ad un fatto miracoloso qui avvenuto nel 1334 quando un forestiero, ingiustamente accusato di omicidio, venne condannato alla pena capitale. Il boia non riuscì però ad eseguire la condanna a morte per decapitazione, in quanto la scure per ben tre volte risparmiò il collo del condannato che venne pertanto riconosciuto innocente a furor di popolo.

Manca poco alla competizione, le vie sono già in gran parte transennate ed io mi imbuco cercando una sistemazione con vista sull’ultima curva e sull’arrivo per godermi il finale di questa agguerrita sfida.
Non ricordo i colori ed il nome della contrada vincitrice, ma ricordo la partecipazione del pubblico e gli sforzi degli atleti, alcuni infortunatisi lungo il percorso ed arrivati sanguinanti al traguardo.
Sbandieratori e tamburini fanno da cornice all’incoronazione dei vincitori che viene effettuata da una dama in abito medievale. Una trillante presentatrice dalla voce stridula fa una sorta di telecronaca della manifestazione, ripresa da una televisione locale. Poi mentre il tramonto dona al cielo un colore ramato iniziano i festeggiamenti: brindisi, aperitivi, tavolate pantagrueliche che andranno avanti fino a notte fonda sapientemente illuminati anche da una luna piena in formato extralarge.

La pizzeria del paese lavora a ritmo forsennato ma non riesce a tenere il passo degli appetiti degli abitanti.
I tempi di attesa si preannunciano biblici, così per la cena ripiego su una sosta al bar dove ordino una piadina con prosciutto e formaggio, una Peroni ghiacciata di fantozziana memoria ed una coppa di gelato.
Qui ritrovo Ileana e Giovanni, i calabresi, intenti a gustarsi un panino. Mi siedo al loro tavolo dove finalmente riusciamo a concederci una chiacchierata meno formale. Scopro che in assenza di lavoro hanno deciso di dedicarsi ad affrontare i cammini religiosi. In cuor mio spero che questa loro devozione sia stata poi premiata con una qualche assunzione, auspicando che oltre a peregrinare abbiano anche inviato decine di curricula. Penso ora che probabilmente fosse sincero il loro turbamento per aver perso la messa. Conoscendoli meglio mi sono sembrati sinceramente e profondamente devoti.

Anche a causa dei problemi di vesciche della ragazza hanno deciso di partire ancora prima di me l’indomani. Siamo però diretti allo stesso rifugio quindi il nostro saluto vespertino non si riduce ad un mesto addio ma ad un incoraggiante arrivederci, magari già lungo il cammino, come in effetti accadrà.
Fino ad Assisi non rivedrò invece i vicentini che, beati loro, sono riusciti a trovare posto in un ristorante.
La notte è ancora giovane e la struttura che ci ospita si trova in pieno centro storico, nel cuore di una delle contrade coinvolte nel palio.
Incuranti del caos intorno a noi, con spirito quasi penitenziale ritiriamo il bucato e prepariamo gli zaini.
Organizziamo anche una sorta di orario di partenza scaglionato visto che il bagno a disposizione è uno solo ed è importante organizzarsi per evitare ingorghi. Un po’ come per le partenze intelligenti degli esodi estivi.
All’esterno grida sguaiate, lazzi, risate fragorosamente alcoliche, musica ipnotica e balli vanno avanti tutta la notte ma la stanchezza ha il sopravvento su di me e sulla mia voglia di partecipare ai festeggiamenti.
Domani si arriva a Gubbio e voglio arrivarvi presto, per avere a disposizione il maggior numero possibile di ore da dedicare alla visita di questa interessante città.
Sprofondo in un sonno pesante, interrotto di tanto in tanto da qualche eccesso di baldoria.
La sveglia, fissata alle sei, sarà anticipata da rumori ambientali.
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nebbiolina autunnale
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alta gioielleria aracnide
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la nebbia inizia a diradarsi
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Pieve dei Saddi
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mannaja e sbandieratori
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punto di arrivo
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no mannaja no party
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

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11 Agosto: da Pietralunga a Gubbio (23km, 5h15’)

Gli spazi ristretti della camerata, il cigolio dei letti a castello e delle porte del rifugio, rendono inutili i passi felpati e le attenzioni dei calabresi che, come da accordi, sono stati i primi ad alzarsi.
All’esterno inoltre, passata la festa, sono in corso operazioni di pulizia per riportare le strade e la vita del borgo alla normalità, con inevitabili effetti sonori.
Ne consegue che sia io che i vicentini siamo svegli e pronti a partire anzitempo sulla tabella di marcia.
Alle sei, con leggero anticipo sulla coppia veneta, muovo i primi passi.
Nelle viuzze medievali e nella piazza della mannaia rimangono alcuni segni del palio che solerti operai in pettorina affiancati da alcuni volontari sono impegnati a rimuovere. Nel mentre alcuni ragazzini assonnati si sono appena concessi una ricca colazione al bar prima di andare a dormire dopo una notte di euforia.
Il rombo dei loro mezzi a due e tre ruote, sgommanti e riccamente elaborati, sono l’unico rumore veramente sgradevole percepito dal momento del risveglio.
La super luna della sera prima sta lasciando spazio ad un sole infuocato che lascia presagire una giornata rovente. Benedico i suoni che mi hanno svegliato e spinto a partire prima del previsto, con la speranza di arrivare a destinazione entro mezzogiorno ed evitare il cammino nelle ore più calde della giornata.

La strada da affrontare oggi è piuttosto lunga, ma con pochissimo dislivello in salita e quasi tutta su asfalto. Pertanto scelgo di calzare le scarpe da running, più leggere e confortevoli di quelle da trail.
Esiste poi una variante che penso di percorrere, riducendo ulteriormente i tratti in salita ed in sterrato.
Preannunciato dal ritmico rumore metallico prodotto sull’asfalto dai puntali dei miei fidi bastoncini da trekking, in un tratto di leggera salita raggiungo Giovanni e Ileana che per fortuna oggi sembra camminare con maggiore disinvoltura.
Per un po’ avanziamo insieme, poi me li lascio alle spalle: la differenza di passo è troppo marcata. Inoltre oggi è il ragazzo a sembrare in leggera difficoltà fisica ed infine loro sembrano intenzionati a non prendere la scorciatoia. La separazione è inevitabile ed avviene in armonia, tra i reciproci auguri di buon cammino.

In gergo ciclistico la tappa di oggi si potrebbe definire per velocisti, ed in effetti la velocità media è piuttosto elevata. Però il paesaggio piuttosto antropizzato e monotono mi viene a noia e patisco un po’, più dal punto di vista mentale che fisico, anche lungo alcuni tratti in leggera discesa.
Forse è anche colpa del fatto che praticamente non ho fatto colazione. Ho mangiato solo un paio di snack comprati il giorno prima al bar, in quanto essendo domenica non avevo trovato negozi aperti.
Decido di effettuare una sosta nel paesino di Mocaiana per spezzare tappa e fame.
Acquisto della focaccia ed una bottiglia di aranciata in un negozio di alimentari prima di affrontare gli ultimi chilometri che si presentano piuttosto ostici. Dopo giorni immerso nella quiete e nel silenzio dei boschi o impegnato a percorrere vie anche asfaltate ma poco trafficate, mi trovo a camminare su una strada secondaria che però costeggia la trafficatissima statale 219 diretta a Gubbio.
L’impatto per fortuna è però meno traumatico e pericoloso rispetto a quello di Sansepolcro.
Qui infatti si procede in sicurezza ed alcuni sostenitori del Cammino hanno provveduto a realizzare un’area di sosta con fontanella, forse per rincuorare e far sentire il proprio appoggio ai pellegrini.
Inoltre per quanto le periferie non siano mai particolarmente attraenti, Gubbio è ancora un centro a misura d’uomo e l’edilizia residenziale è costituita più da villette e piccoli condomini che da anonimi palazzoni.
L’imponente sagoma del cementificio però non sfuggirebbe neppure all’occhio più distratto.

Da lontano inizio a scorgere le torri dell’impianto di illuminazione dello stadio eugubino intitolato a Pietro Barbetti. Costui fu storico sostenitore e finanziatore del club rossoblu, nonché uno dei proprietari del suddetto cementificio.
So che devo seguire quella direzione e sono confortato dal fatto di navigare sulla rotta esatta, ma inevitabilmente mi tornano alla mente tristi ricordi calcistici. In quell’impianto la mia squadra del cuore, il Torino, poi promosso in serie A, conobbe la prima sconfitta stagionale proprio contro la neo promossa squadra di casa, guidata dall’anziano e signorile Gigi Simoni, guarda caso ex giocatore granata.
Per la cronaca, nonostante quella prestigiosa vittoria, la squadra umbra al termine del campionato 2011-12 retrocederà in serie C.

Rispettando le previsioni, quando raggiungo l’oratorio della parrocchia di Madonna del Prato sono le undici e trenta. Il gestore del rifugio mi accoglie, si presenta e si complimenta per il mio precoce arrivo a destinazione. Io mi schernisco dicendo che sono partito presto e che ho sfruttato la deviazione, ma indubbiamente ho tenuto un ritmo piuttosto sostenuto, agevolato anche dalla scarsa attrattività del paesaggio lungo il percorso.
La struttura, sita in via Perugina, è piuttosto grande e leggermente fuori dal centro storico, che si raggiunge comunque con una camminata di pochi minuti. Ci sono alcune camere libere e posso scegliere la mia preferita. Prendo possesso di una singola, davvero minuscola ma più che sufficiente per le mie esigenze.
Al piano terra, a disposizione dei pellegrini si trova una grande sala, attrezzata con una cucina in cui c’è tutto ciò di cui si può aver bisogno per organizzare un bel momento conviviale.
Non manca un kit di pronto soccorso per eventuali infortuni in cammino o per medicare cuochi maldestri.

Al momento del mio arrivo vengo a sapere che c’è già un ospite: un ragazzo tedesco che ha raggiunto Gubbio con i mezzi pubblici in quanto in difficoltà fisica. In giornata dovrebbe essere raggiunto da alcuni connazionali. Costoro stanno procedendo a piedi ma a Pietralunga non abbiamo avuto modo di incontrarci poichè hanno preferito fare sosta in un B&B anziché nel rifugio gestito dall’anziano parroco.
Qui invece l’abito talare è indossato da una persona decisamente più giovane e dinamica, dallo sguardo mite e timido: Don Marco. Prima di congedarsi mi dice che più tardi, se voglio, può darmi consigli su come affrontare la tappa di domani. Mi dico interessato e mi anticipa che è possibile eliminare un lungo tratto asfaltato che spesso risulta sgradito ai più. A queste parole la mia curiosità aumenta, ma rimandiamo al pomeriggio l’approfondimento. Le priorità ora sono una rinfrescante doccia e l’esplorazione di Gubbio.
Quando mi appresto ad uscire sta arrivando il gruppone dei tedeschi, accolti con giubilo dal corpulento Martin che li stava aspettando impaziente. La sua eccitazione ed il suo entusiasmo traspaiono dagli occhi cerulei, miopi ed aguzzi, nascosti dietro le spesse lenti dei suoi occhiali da vista.
Rimandiamo le presentazioni e la conversazione a più tardi.

Sono diretto verso il centro e voglio vedere il più possibile della città umbra, resa celebre anche dalla fortunata serie televisiva Don Matteo.
Questo longevo sceneggiato è stato per anni ambientato a Gubbio, sebbene raramente la città venisse deliberatamente nominata. Lo schema tipo della puntata prevede un qualche fatto di cronaca nera in ambito locale, alla cui soluzione contribuisce in modo determinante l’intuito di Don Matteo, grande amico di Nino Cecchini, maresciallo della locale stazione dei Carabinieri.

A differenza di Terence Hill, attore che interpreta il parroco, io non sono dotato di una bicicletta d’epoca, ma i vicoli, le salite, le scalinate di Gubbio a piedi si girano che è un piacere.
Tuttavia cercherò di complicarmi la vita in un momento di sbadataggine.
Raggiungo Piazza Grande dove, sfidando un sole abbacinante, ammiro dall’esterno il Palazzo Pretorio e soprattutto il gotico Palazzo dei Consoli. Qui sono custodite le preziose Tavole Eugubine: sette tavolette bronzee con iscrizioni nell’antico alfabeto umbro.
La scoperta delle bellezze locali prosegue con la visita alla Cattedrale dei Santi Mariano e Giacomo, caratterizzata da un austero stile gotico.
All’uscita una distrazione, con la complicità di difficoltà visive dovute al passaggio dalla penombra interna alla scalinata esterna in pieno sole, rischia di compromettere se non il Cammino quantomeno la giornata.
Scendendo da un gradino metto in fallo il piede destro e per un attimo si riacutizza il dolore alla caviglia slogata nella salita verso La Verna. Per fortuna però non è nulla di grave ed il dolore rapidamente svanisce.
Passo davanti alla “Taverna del Lupo” un ristorante aderente alla tradizione dei piatti del buon ricordo.
Qui negli anni ottanta si erano concessi una pausa golosa i miei genitori e la ceramica celebrante il locale ed il suo “coniglio alla taverniera” è stata a lungo elemento di arredo della nostra cucina.
Non ricordo con certezza ma devo averla mandata in frantumi tentando maldestramente di palleggiare con una pallina da tennis. Inevitabilmente il pensiero si volge a casa ed ai miei famigliari, anche se ci siamo sentiti da poco perché ieri era l’onomastico di mio padre e non ho mancato di chiamare per fargli gli auguri.

L’Umbria è la culla della norcineria e di altre golosità. Alcuni negozi di specialità tipiche meriterebbero più di una sosta con degustazioni. Potrei abbinare un calice di sagrantino a qualche fetta di cogli-oni di mulo.
Proprio così, si tratta di un salume a grana fine al cui interno è posto un lardello di grasso di maiale. Il nome deriva dalla singolare forma anatomica dell’insaccato.
Cedere alla gola con questo caldo probabilmente pregiudicherebbe la mia intenzione di raggiungere a piedi la Basilica di Sant’Ubaldo, dalla quale si gode di una splendida vista di Gubbio e delle zone circostanti.
Potrei anche lasciarmi andare e salire poi sul Monte Ingino con una sorta di funivia. Mi sembrerebbe però un controsenso visto che oramai sono super allenato e per di più ora sono sgravato dal peso dello zaino.
La Basilica ospita non solo le spoglie del Santo patrono della città ma anche i Ceri, che ogni 15 maggio sono protagonisti di una manifestazione culturale e religiosa quasi millenaria.
Tali slanciate strutture lignee (dette appunto “ceri” e pesanti ognuna circa 300 kg) vengono portate a spalla per le ripide salite del borgo fino a raggiungere la Basilica di S.Ubaldo.
Dell’immagine di Gubbio dall’alto resta sicuramente ben impressa nella memoria l’imponenza dell’area archeologica che ospita un teatro romano, un mausoleo ed un piccolo museo.

Il sole inizia a scendere all’orizzonte. E’ il momento di tornare in centro e fare un po’ di spesa.
Decido di stare leggero comprando quasi essenzialmente della frutta fresca per la cena ed una scatoletta di tonno e fagioli per il pranzo di domani.
Dopo tante cene e serate in solitudine o con compagnie poco ciarliere, quando arrivo al rifugio di Don Marco mi godo finalmente, ed inaspettatamente, gli aspetti umani e conviviali del Cammino.
I tedeschi hanno organizzato una cenetta alla quale siamo invitati tutti, anche la coppia calabrese che nel pomeriggio, in mia assenza, ha raggiunto la struttura.
Il menu è semplice ma goloso: insalata caprese, spaghettata, pecorino con miele. In chiusura frutta fresca, alla quale aggiungo quella appena comprata e che avrebbe dovuto essere il mio frugale pasto.
Le portate saranno annaffiate generosamente da vino rosso e acqua.
Martin viene incaricato di preparare la caprese e svolge il suo compito con la precisione di un cesellatore.
Io e Don Marco ci proponiamo di cucinare il sugo e la pasta. La proposta viene accolta favorevolmente, con nostro grande sollievo, visto il timore, forse ingiustificato, che i germanici avrebbero potuto trasformare la “paglia e fieno” in una sorta di blob gommoso di difficile deglutizione.
Le due ragazze del gruppo si occupano di apparecchiare la tavola e tagliare il pane.
Gli altri due uomini, uno giovane ed uno più maturo, studiano invece la traccia GPS della tappa di domani.

L’inizio della cena viene posticipato in quanto all’appello mancano Giovanni ed Ileana che nel frattempo sono usciti a visitare la città. In assenza di loro comunicazioni, decidiamo infine di dare il via alle danze.
La lingua comune diventa inevitabilmente l’inglese ma quando arriva in tavola la pasta cala il silenzio.
La spaghettata incontra unanimi consensi e la conversazione viene accantonata per concentrarsi sul cibo.
Sul finire della cena inevitabilmente scatta una sorta di rompete le righe: chi inizia a sparecchiare, chi riprende a studiare la tappa seguente, chi lava i piatti, chi smanetta con il telefono.

Io e Don Marco, tra un bicchiere di vino ed un tozzo di pane con pecorino, possiamo finalmente parlare in italiano. Dapprima mi spiega come modificare il percorso che mi porterà a Valfabbrica, poi su mia sollecitazione mi racconta alcuni aneddoti sui personaggi più curiosi transitati per il suo centro.
Tra costoro ricordo un coreano simpaticissimo ed un pescatore portoghese che, sopravvissuto ad un naufragio nei gelidi mari del Nord, ha deciso di vivere in perenne pellegrinaggio.
Il Don sottolinea quanto sia sottile il confine tra pellegrino a vita e vagabondo ed il rischio di cadere nella seconda categoria. Quanto meno agli occhi della gente, che di fronte a queste due categorie ha reazioni estremamente diverse se non quasi contrapposte.
Spazzolata ogni briciola di cibo e prosciugata ogni goccia di vino, si è ormai fatta sera. Fuori è buio, ma dei calabresi ancora nessuna traccia o informazione. Non posso dire che ciò abbia generato allarme ma credo, almeno in Don Marco, un briciolo di apprensione.
Io ormai non più abituato a mangiate e bevute abbondanti, decido di accomiatarmi dalla compagnia e di aiutare la digestione con una rilassante passeggiata al chiaro di luna.
La chiesa della Vittorina è poco lontana e ne approfitto per visitarla, anche se ovviamente, vista l’ora, solo dall’esterno.
La tradizione vuole che proprio qui Francesco ammansì il feroce lupo che terrorizzava gli eugubini.
A ricordare tale avvenimento, nel prato di fronte alla piccola chiesetta c’è una statua bronzea che ritrae il Santo intento ad abbracciare il lupo ed a renderlo mansueto.

Quando torno al rifugio scopro che finalmente Ileana e Giovanni sono rientrati.
Estasiati dalle bellezze della città umbra non si erano accorti del passare del tempo e quando ormai stava calando la sera hanno preferito fermarsi a cenare in una trattoria del centro.
Domani dovrebbero essere tra i primi a partire, mentre io convinto dalla proposta del Don, me la prenderò più comoda. Grazie ad un autobus eliminerò un lungo e noioso tratto asfaltato, per poi ricongiungermi al Cammino con un comodo sentiero di raccordo.
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La preparazione della cena conviviale
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curiosità gastronomiche
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

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12 Agosto: da Badia di Vallingegno a Valfabbrica (24km, 5h15’)

Quando scendo in cucina per fare colazione, scopro che non sarò l’unico ad avvalermi dei mezzi pubblici.
Ad essere già partiti sono solamente i calabresi ed il più giovane dei tedeschi.
Tutti gli altri teutonici hanno deciso di non lasciare solo Martin. Affronteranno la tappa interamente su mezzi pubblici, ed al momento stanno ancora beatamente dormendo.
Lascio la struttura e mi reco al piazzale da cui partono i bus. Il Don mi ha detto che devo prendere l’E001 per Perugia in partenza alle otto. Dovrò chiedere all’autista di farmi scendere all’Abbazia di Vallingegno, fermata non prevista dell’autobus che transita sulla SS Eugubina, a poche centinaia di metri dall’edificio.

Per fortuna arrivo con leggero anticipo sulla partenza ed informo immediatamente l’autista delle mie intenzioni. Costui infatti ignora dove sia l’abbazia ma ha modo di informarsi ed esaudire la mia richiesta.
Poco prima di scendere dall’autobus vedo due pedoni con zaino. Stanno abbandonando la strada principale per proseguire su una strada secondaria. Ancora una volta sono loro, Ileana e Giovanni.
Intorno alle otto e mezza scendo dal bus e raggiungo l’Abbazia di Vallingegno.
Si tratta di un’imponente struttura dove pare Francesco sia stato accolto in modo non proprio caloroso, scambiato per un lacero mendicante, quando ancora non era famoso e riconosciuto Santo.
Probabilmente avrà apprezzato questa genuina rudezza più che un’artificiosa gentilezza od un trattamento di favore dovuto alla sua notorietà.

Inizio così il cammino dopo essermi risparmiato tanto asfalto su strade trafficate.
Per contro sono sprovvisto di una cartina della zona e non sono sicuro che il sentiero sia ben segnalato.
L’inizio è incoraggiante e passata una elegante struttura, forse un Bed&Breakfast, inizio a scendere seguendo un percorso poco battuto ma contrassegnato da un segnavia biancorosso.
Purtroppo via via che si scende il sentiero si fa meno evidente, invaso di erbacce, sterpi e rovi.
Dulcis in fundo: ad un certo punto non trovo più alcuna indicazione a vernice su sassi o alberi.
Inevitabilmente vengo assalito da un leggero sgomento. Faccio affidamento sulle parole del Parroco “il sentiero non è molto battuto ma si congiunge al Cammino”. Non mi scoraggio e continuo a proseguire su quella che ormai è più che altro una traccia che quasi scompare quando arrivo sul greto di un ruscelletto.
Dopo averlo attraversato, con un misto di abilità e fortuna riesco a trovare il proseguimento di quella che sembra essere la mia direzione.
Il sentiero costeggia un reticolato e la cosa mi rincuora: in caso di direzione sbagliata penso che potrei raggiungere una cascina dove chiedere informazioni. Ma non ne avrò bisogno.
Oltrepassato e richiuso un cancelletto, raggiungo sì un cascinale, ma anche la via per Assisi.
Me lo confermano tre escursionisti che marciano in direzione opposta alla mia e, poco dopo, le solite frecce.
Questa scorciatoia non mi sento di consigliarla a chiunque, ma solo a chi è dotato di senso di orientamento ed è abituato ad escursioni avventurose. Considerando la lunghezza del percorso di ricongiungimento, il risparmio in termini di distanze non credo superi i sei chilometri, ma il vantaggio più interessante è che si elimina integralmente un noioso tratto asfaltato.

Felice e carico di energie positive per il successo della manovra di raccordo, cammino a passo spedito.
Ad un certo punto, in fondo ad una discesa intravvedo una sagoma. Vista la mia andatura confido di raggiungerla rapidamente, invece il ricongiungimento tarda ad avvenire. Si concretizzerà solo nei pressi di un piccolo santuario dove il fuggitivo si è fermato per cercare, senza successo, una fonte.
Si tratta di Joseph, detto Seppo, il più giovane dei tedeschi, bavaresi di Monaco per la precisione.
Un ragazzo atletico il cui passo, da ex militare, metterà a dura prova le mie doti di camminatore.
Ha fatto tutta la tappa ed è partito alle sei, ma non mostra segni di stanchezza o di cedimento.
Decidiamo di continuare insieme ed iniziamo a chiacchierare. Scopro così che è partito da Padova, seguendo il Cammino di S.Antonio per poi proseguire, da Montepaolo, su quello di S.Francesco.
Chissà che non sia stato lui a mettere quel santino che notai giorni fa, poco dopo la partenza dall’azienda agricola il Pratello di Modigliana. Purtroppo mi sono scordato di chiederglielo.

Il mio occasionale compagno di viaggio si lamenta della prima parte del suo Cammino: troppo pianeggiante e monotona. Resa ancora meno attraente da condizioni meteo avverse che lo hanno visto spesso terminare la tappa con abiti e scarponi fradici. Ora invece il clima è diametralmente opposto: tanto caldo, poche nuvole, nessuna minaccia di piogge o temporali.
Il giovane, una volta raggiunta Assisi, ha intenzione di proseguire fino a Roma, sempre a piedi.
Non sa se essere felice o meno di questo cambiamento climatico visto che da buon nordico teme il caldo ed il sole battente del centro Italia.

Quasi al termine di un tratto in salita, nei pressi di un casolare, scorgiamo un cane nero come la pece.
Nella struttura fisica ricorda vagamente un lupo. Nei pressi ci sono alcuni ovini ed in noi subentra il timore che per tutelarli e difendere la proprietà possa aggredirci, visto che non è vincolato da recinti o catene.
A tranquillizzarci immediatamente pensa una sorta di poesia affissa ad un palo e protetta da una custodia plastificata. Il testo è scritto in tre lingue e dice “Se il sentiero francescano percorri, in me incorri! Sono il lupo di San Francesco e a non abbaiare non riesco. Ho paura dei bastoni ma tu chiamami Zanna e vedrai che sarò più calma. Forse vi accompagnerò per un po’ ma poi di corsa a casa tornerò”.
Da quanto scritto si evince che probabilmente qualche escursionista o pellegrino deve aver utilizzato impropriamente il proprio bastone contro quel cane dall’aspetto minaccioso ma dal carattere mansueto.

La tappa prosegue ad un ritmo serrato, scandito dalle nostre chiacchiere, ed agevolato da una altimetria poco impegnativa. In alcuni punti però abbiamo avuto alcuni dubbi in merito alla direzione da seguire.
A dissiparli rapidamente ha contribuito in modo essenziale il dispositivo GPS di cui Seppo era dotato.
Certamente la tecnologia può essere un valido aiuto, ma sono certo che me la sarei cavata benissimo anche se fossi stato solo e se avessi dovuto fare affidamento soltanto su intuito ed istinto, come nei giorni passati.
Ci concediamo una breve sosta per riposare e fare uno spuntino prima degli ultimi chilometri che ci separano da Valfabbrica. Vi arriviamo poco prima delle due, risalendo un breve tratto asfaltato.

Prima ancora che la titolare del rifugio, ad accoglierci sono gli altri tedeschi che, freschi e riposati dopo il viaggio in autobus, accompagnano con ululati ed applausi di incoraggiamento i nostri ultimi passi.
Poi io e Seppo ci separiamo. Lui raggiunge i suoi connazionali, io vengo destinato ad un’altra camera.
La condividerò con due ragazzi meridionali facenti parte di un gruppo piuttosto numeroso, alloggiato anche in altre stanze. La camera assegnatami è nel sottotetto, con gli inconvenienti tipici di quelle sistemazioni.

Mentre svuoto lo zaino e parlo con la donna che gestisce la struttura, mi alzo di colpo e colpisco con una craniata terribile il soffitto spiovente, generando un po’ di spavento nella signora Manuela.
Per fortuna però ho la testa dura e tutto si scioglie in una risata collettiva a cui partecipano anche gli altri due ragazzi, entrati giusto in tempo per gustarsi questa simpatica scenetta.
Chissà perché sento come un cerchio alla testa…decido di eliminarlo con una doccia ed un riposino.
Quando mi sveglio sono da solo in camera e non ho modo di approfondire la conoscenza con i compagni di stanza. Esco pertanto a fare un giretto nel piccolo paese che in realtà non ha molto da offrire al visitatore.

L’affittacamere “Sui passi francescani” non fornisce servizio di ristorazione, ma per i pellegrini ha accordi con ristoranti/pizzerie e bar del paese. Proprio in pizzeria incontro la tavolata dei tedeschi. Ormai mi hanno quasi adottato. Peraltro, alla luce delle mie caratteristiche fisiche, posso sembrare perfettamente parte integrante del gruppo agli occhi di uno sconosciuto.
Di fronte alle incomprensioni linguistiche dei commensali con il giovane cameriere devo però gettare la maschera e rivestire il ruolo di traduttore. Anche come forma di ringraziamento per questa prestazione mi viene offerto un bicchierino di limoncino a fine pasto.
Gradirebbero inoltre che io passassi con loro ancora un po’ di tempo, a chiacchierare e sorseggiare il contenuto di una bottiglia di amaro da loro comprata a Gubbio.
Li ringrazio per l’offerta ma preferisco sfruttare il wi-fi gratis della struttura per aggiornare amici e parenti.
Inoltre domani, dopo una breve tappa, si arriva ad Assisi e voglio farlo il più rapidamente possibile, quindi è consigliabile bere poco alcool ed andare a dormire presto.
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Vallingegno
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Facile guado
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Zanna nera...
Zanna nera...
Avvicinamento al punto tappa
Avvicinamento al punto tappa
Valfabbrica
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

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13 Agosto: da Valfabbrica ad Assisi (16 Km, 2h45’)

Come da copione la sveglia suona quando ancora fuori è buio. Per limitare al massimo il disturbo ai compagni di stanza la spengo con un riflesso felino. Per evitare di vestirmi al buio ho dormito con gli indumenti da cammino, lo zaino è già pronto. Tutte le mosse sono state studiate al dettaglio.
Mi muovo come una pantera nella foresta riducendo il rumore ad impercettibili ultrasuoni ed esco dalla stanza. Poi affronto le scale, sempre al buio. Questa non si rivela un’idea geniale...
Manco un gradino, rischio di massacrarmi, ma mi salvo sbattendo con violenza contro il muro e svegliando praticamente tutto lo stabile, tanto che da una porta esce qualcuno a vedere cosa fosse quel terremoto.
Ne esco miracolosamente illeso, nemmeno la caviglia già infortunata ha subito conseguenze.
Solo il morale ne esce un po’ ammaccato. Più che altro sono costernato per la sveglia traumatica che ho maldestramente imposta agli altri pellegrini.

Affondo la delusione ed i denti in un morbido cornetto alla nutella, poi raddoppio con un per me insolito maritozzo. Per completare la colazione nel bar convenzionato bevo un cappuccino ed un latte macchiato.
Sono le cinque e mezza ma il bar è già affollato, soprattutto da operai frettolosi diretti al luogo di lavoro.
Io posso prendermela più comoda ed approfitto della “Rosea”, fresca di stampa, per conoscere le ultime novità di calciomercato: come al solito tante parole e pochi movimenti concreti.
Quando mi metto in cammino sono quasi le sei ed è già abbastanza chiaro, anche se la luce del sole tarda ad arrivare, ostacolata da un cielo leggermente nuvoloso.

In uscita da Valfabbrica alcuni murales dai tratti volutamente infantili ricordano scene di vita francescana.
Oramai l’atmosfera assisiana è palpabile e sempre più presente o forse è semplice suggestione.
Un raggio di sole riesce a filtrare attraverso le nubi, ed il suo pallido fascio di luce colpisce un albero solitario in mezzo ad un campo coltivato.
Sembra quasi che una sorta di regia occulta voglia infondere una maggiore aura di misticismo agli ultimi chilometri del Cammino che si svolge dapprima su asfalto, per poi proseguire su sterrato in località Pioppo. Qui inizia una salita piuttosto ripida al termine della quale si intravvede Assisi.
La prima vera apparizione della Basilica, in lontananza ma pienamente distinguibile, avviene alcuni chilometri più avanti e provoca indubbiamente una profonda emozione.
Prima di questa visione effettuo una breve deviazione per visitare la Pieve di San Niccolò che, anche vista l’ora, trovo chiusa. Si scende poi in leggera discesa tra campi ed isolati casolari. Alcuni sono stati trasformati in attività ricettive.
Tratti ondulati di asfalto e sterrato si alternano fino ad arrivare al fondovalle. Proprio in uno di questi saliscendi riesco nell’impresa di appoggiare male il piede in una buca.
Il dolore alla caviglia si riacutizza, oramai però ho l’agognato traguardo davanti agli occhi.
La visione della Basilica, sempre più vicina, fa passare in secondo piano ogni acciacco fisico, spingendomi ad aumentare il passo per arrivare il prima possibile al suo cospetto.
Divoro con entusiasmo il ripido strappo che conduce, su asfalto, alla porta di San Giacomo.
L’ingresso in città è preannunciato dai cartelli stradali indicanti il gemellaggio con San Francisco, Santiago de Compostela e Bethlehem, nonché la qualifica di Patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Pax et bonum, il motto francescano, è riportato anch’esso sull’insegna stradale.

E’ proprio una sensazione di pace interiore quella che mi pervade quando, oltrepassata la porta di San Giacomo, percorro in discesa gli ultimi metri che conducono alla Basilica.
Il caso vuole che le campane stiano suonando per annunciare l’imminente messa delle ore nove.
Sembrano quasi celebrare il compimento del mio pellegrinaggio.
Sono evidentemente commosso, gli occhi sono velati e trattengono a stento le lacrime.
Mi ritengo e sono ritenuto una persona piuttosto abile a mascherare i sentimenti, ma credo che chiunque noterebbe l’emozione sul mio viso, nei miei occhi…e su quelli di chiunque arrivi in quella piazza dopo giorni di cammino, sfidando eventi atmosferici, acciacchi, crisi fisiche e mentali.

Nel frattempo la regia occulta agli effetti speciali ancora una volta mi sorprende.
Ha dissipato le nubi che fino a poco prima minacciavano pioggia, lasciando spazio ad un cielo parzialmente sereno. Il sole, non ancora alto, si fa spazio tra le nuvole e proietta sul prato antistante la basilica una lunga ombra della statua di Francesco penitente a cavallo.
Mi rendo conto di aver percorso i quattordici chilometri che separano Valfabbrica da Assisi in meno di tre ore. Una media notevole considerando il riacutizzarsi del fastidio alla caviglia, ma l’effetto dopante ed anestetico dell’avvicinarsi alla meta ha giocato un ruolo importante sulla mia marcia.
Posso finalmente recarmi in portineria per presentare la mia Credenziale e ritirare l’Assisiana.
E’ la pergamena che attesta il compimento del Pellegrinaggio. Ora fa bella mostra di sé nella mia camera da letto, mentre la laurea in economia se ne sta arrotolata in chissà quale cassetto.

Prima di visitare la Basilica, vorrei potermi liberare del peso dello zaino e magari farmi una doccia.
Vado così a Casa Emmaus, l’ultima struttura convenzionata che mi ospiterà durante questo Cammino.
Si trova nella centralissima via San Francesco ed è gestita dalle suore francescane missionarie di Assisi.
A fronte di un’offerta libera mette a disposizione dei pellegrini una stanza (o forse di più) con letti a castello e bagni in comune all’interno della camerata.
La stanza però è ancora occupata, devo pertanto rinunciare a lavarmi, ma non intendo perdermi la visita della basilica. Tanto più che, al momento dell’arrivo, ho saputo che alle dieci è previsto un tour guidato.
Indosso i pantaloni lunghi e lascio lo zaino in custodia alle suore.

Il punto d’incontro convenuto per le visite guidate dai frati è nel piazzale antistante l’ingresso della basilica inferiore. Quando arrivo la mia attenzione viene catturata da due personaggi curiosi.
Uno, decisamente somigliante all’iconografia classica di Gesù, è vestito con una tunica bianca.
L’altro ha un aspetto trasandato, quasi da uomo delle caverne, è scalzo ed indossa un lacero saio, probabilmente ricavato da un sacco di juta, stretto in vita da un cordone improvvisato.
Al primo impatto li considero due personaggi in cerca di una qualche forma di notorietà, del resto al giorno d’oggi è pieno di esibizionisti.
Oppure magari potrebbe trattarsi di due attori in pausa. Intorno però non ci sono né registi né cineprese.
Poi li osservo meglio, guardandoli anche negli occhi, ed entrambi mi sembrano sinceri e spontanei.
Ignoro cosa li abbia spinti a vestirsi in quel modo, ma entrambi sembrano pervasi da serenità e pace interiore.

Molto più istituzionale è l’immagine di Frate Innocenzo, un ragazzo giovane e dinamico. Dopo un discorso introduttivo ci guida alla scoperta dell’edificio sacro e delle opere d’arte in esso contenute.
Le sue spiegazioni sono essenziali per comprendere appieno anche il percorso spirituale che si svolge all’interno della Basilica e che corrisponde alle fasi della vita: vita, morte e resurrezione.
Proprio per questo il suggerimento è di visitare dapprima la cupa basilica inferiore in stile gotico, poi di soffermarsi al sepolcro che custodisce le spoglie di San Francesco ed infine di salire alla basilica superiore.
Vengono anche visitate la cappella delle reliquie, ricca di testimonianze della vita del Santo, ed il Chiostro.
A pagamento è inoltre possibile visitare il museo del tesoro.
Non solo ci vengono illustrate con dovizia di particolari le opere d’arte, i problemi tecnici costruttivi e quelli di conservazione. Si viene anche a conoscenza di tanti fatti e curiosità riguardanti la vita di Francesco.
L’esposizione brillante e sapiente del frate risente però dei tempi ristretti delle visite guidate.
Forte delle informazioni acquisite, intendo ripetere la visita più tardi, da solo, per potermi soffermare più a lungo in alcune aree dell’edificio.
Nel complesso monastico non manca un fornito negozio di souvenir: business e religioni si sposano bene in qualunque angolo del mondo, ed a prescindere dalla divinità venerata.

La visita termina all’uscita della luminosa basilica superiore.
Qui aiuto frate Innocenzo: lui raccoglie le offerte di chi ha usufruito del suo accompagnamento, mentre io provvedo a recuperare le radioguide per poi consegnargliele. Approfitto infine della sua gentilezza e competenza per avere consigli su cosa visitare nelle poche ore che mi restano da trascorrere ad Assisi.
Purtroppo dall’elenco da lui suggerito dovrò eliminare San Damiano, per mancanza di tempo.
Prima però, ritorno alla basilica come mi ero ripromesso, soffermandomi a lungo nella cripta, di fronte al sepolcro, e nella sala delle reliquie.

Giunto alla basilica superiore non posso che ricordare le tragiche immagini del terremoto che colpì l’Umbria nel 1997. In seguito ai danni riportati l’edificio sacro non era in quel momento aperto al pubblico, ma al suo interno erano presenti frati, giornalisti e tecnici delle belle arti quando una volta collassò all’improvviso.
Due frati e due sovrintendenti, morirono in quel crollo, le cui immagini fecero il giro del mondo.
La morte è sempre difficile da accettare. Quando poi avviene all’interno di un luogo sacro è ancora più incomprensibile, sebbene tutti noi siamo consapevoli della fragilità e fugacità della vita umana.

C’è ancora molto da vedere ed a mia disposizione non ho molte ore, visto e considerato che domani avrò ben poco tempo libero prima di raggiungere la stazione ferroviaria ed iniziare il viaggio di ritorno.
Torno a casa Emmaus e nel frattempo la camera si è liberata.
Mi concedo una doccia, un cambio di abiti e pranzo con una barretta energetica ed un po’ di frutta secca.
Sebbene mi sia alzato molto presto, rinuncio ad un sonnellino in modo da non perdere troppo tempo in stanza. Potrò riposarmi più tardi, ora devo visitare Assisi.
La strada, semideserta al momento del mio arrivo, purtroppo si è già trasformata in un fiume di gente.
Da un lato sono felice che la città del Poverello attiri così tante persone, dall’altro lato la ressa e la confusione rendono meno godibili le bellezze e la spiritualità della città.

La figura di Francesco trova ad Assisi una controparte femminile altrettanto importante: Chiara.
Come spesso accade, sia in ambito famigliare che religioso, la Santa, in quanto donna, ha trovato sulla sua strada ancora più ostacoli. Sia nell’abbracciare la povertà che nel riconoscimento del proprio ordine.
E’ innegabile l’influenza francescana sulla sua conversione, ma è altrettanto innegabile la sua ostinazione e pervicacia nella creazione ed applicazione di norme pauperistiche in ambito femminile.
Fino ad allora infatti alle donne era concessa esclusivamente la clausura, condizione che richiedeva doti, lasciti e patrimoni per il sostentamento del convento e delle aderenti all’ordine.
L’approvazione papale delle monache Clarisse, avvenne pochi giorni prima della morte di Chiara, le cui spoglie mortali sono ancora oggi custodite nella cripta della chiesa a lei dedicata.
Ritenendola una figura di importanza pari a quella di Francesco, non posso che continuare la visita di Assisi recandomi alla basilica a lei dedicata.

La costruzione della chiesa iniziò poco dopo la morte della Santa, attorno alla chiesa di San Giorgio che per alcuni anni aveva ospitato il corpo di San Francesco. Lo stile è gotico ed all’esterno gli elementi che colpiscono maggiormente sono i contrafforti laterali e la facciata a strisce bianche e rosa.
L’interno è piuttosto semplice, non mancano opere d’arte pregevoli, ma a dominare la scena sono il Crocifisso di San Damiano e le reliquie della Santa.
Di fronte ad essi è inevitabile soffermarsi ed ammirarli in preghiera e meditazione.
Il Crocifisso di San Damiano può essere visto come l’inizio del movimento francescano, avendo spinto il Santo a riparare la casa del Signore, ossia a riformare una Chiesa ormai lontana dagli insegnamenti di Gesù.
Le reliquie della Santa palesano il legame tra lei e Francesco ed evidenziano le privazioni a cui si sottopose, rinunciando ai privilegi derivanti dalle sue nobili origini.

All’uscita, per sfuggire al chiasso ed alla confusione che animano il centro della città, decido di recarmi a piedi fino all’eremo delle Carceri. Non si tratta di una passeggiatina, in quanto il sentiero che sale all’eremo si sviluppa in salita per circa cinque chilometri, su fondo sdrucciolevole. Ormai però sono allenato e salgo a ritmo intenso e regolare. Tuttavia in almeno un paio di occasioni scivolo, fortunatamente senza cadere, su tratti in cui è presente uno spesso strato di ghiaia.
Il luogo, alle pendici del monte Subasio, ancora oggi è immerso nella natura e nel silenzio, sebbene sia piuttosto affollato, e non stupisce che Francesco ed i suoi compagni vi si ritirassero in contemplazione.
Fitti boschi di faggi e lecci celano le grotte a tal fine utilizzate dai frati, ed alcune statue bronzee li ritraggono in una sorta di ricostruzione di quei momenti di intima estasi religiosa.

Ritornato in città, visito la luminosa cattedrale di San Rufino in stile romanico, dalla bella cripta, ed un paio di chiese minori. Per evitare i probabili ingorghi lungo via San Francesco decido di camminare soprattutto per stradine secondarie. In una di queste mi imbatto in una interessante esposizione ospitata all’interno della chiesa sconsacrata di Santa Maria delle Rose. Entro per pura curiosità e ne esco folgorato.
All’interno sono presenti opere di Guido Dettoni, in particolare il ciclo dedicato a Maria.
L’idea geniale è che la pressione, esercitata dalla semplice forma ergonomica del palmo della mano su un materiale plasmabile, genera l’immagine della Madonna.
Questa figura, toccante nella sua semplicità, viene replicata in vari materiali, ed alcuni stampi sono a disposizione dei visitatori che possono prenderli in mano.
La stessa scultura poi, vista in una particolare angolazione, ricorda la colomba, simbolo di pace per eccellenza. La perfezione nella semplicità.

Da una Santa Maria ad un’altra. Una camminata di circa quaranta minuti su comodo viale pedonale mi conduce a Santa Maria degli Angeli, centro abitato ai piedi di Assisi.
L’obiettivo è ovviamente la visita alla Porziuncola ma ne approfitto anche per valutare quanto tempo mi ci vorrà per raggiungere la stazione ferroviaria domani mattina.
L’imponente basilica di Santa Maria degli Angeli mi lascia abbastanza indifferente, ma non è altro che uno scrigno, all’interno del quale sono custoditi i veri tesori: Porziuncola, Roseto, Transito.
La minuscola chiesetta della Porziuncola riveste un ruolo centrale nella vita di San Francesco.
Proprio mentre la stava restaurando capì il vero significato delle parole pronunciate dal Crocifisso di San Damiano: non erano tanto le strutture ecclesiastiche a necessitare di cure e restauri ma le anime dei fedeli e del clero. Qui avvenivano le riunioni annuali con gli altri frati per discutere la regola e trovare nuovo fervore. Qui Santa Chiara abbraccia la fede e Francesco le rade i capelli in segno di penitenza. Qui il Santo provato dalle tentazioni si getta in un roveto, come prova della sua fede, e le rose perdono le spine.
Qui infine Francesco, la sera del tre ottobre 1226, abbraccia sorella morte.
Credo che anche un ateo sarebbe in qualche modo toccato dal misticismo del luogo.

E’ quasi sera e, notando la presenza di un negozio di alimentari, ne approfitto per comprare qualcosa.
Ad Assisi avevo cercato invano una bottega in cui fare la spesa. Nel centro però le rivendite alimentari sono più che altro specializzate in costosi prodotti locali di gastronomia, mentre io sono alla ricerca di uno spuntino semplice e veloce: yogurt e frutta per cena, latte e biscotti per colazione.
La tappa di questa mattina era breve, ma nel pomeriggio ho scarpinato parecchio. Affiora un po’ di stanchezza e per tornare ad Assisi decido di prendere un autobus. Ferma proprio di fronte alla enorme scritta “Pax et bonum”, sul percorso pedonale che termina accanto alla basilica di Santa Maria degli Angeli.
Questa scelta mi consente di arrivare alla Basilica di San Francesco giusto in tempo per gustarmi uno strepitoso tramonto. Pennellate di rosa sfumano in tinte aranciate e poi in un rosso sempre più acceso, soffocate progressivamente da tonalità di blu sempre più scure, fino al trionfo delle tenebre.

Lo stomaco inizia a mandarmi segnali…è tempo di tornare a Casa Emmaus per la mia parca cena.
Inutile dire che durante il giorno nessun nuovo ospite ha preso possesso di un letto nella mia camerata.
Fino all’ultimo, al netto di rare eccezioni, potrei quasi dire che si sia trattato di un pellegrinaggio in solitaria, sebbene io non ami questo aggettivo spesso abusato da escursionisti, pellegrini e vacanzieri.
Alla fine non si è veramente mai veramente soli: la solitudine fisica, stimolando l’introspezione aiuta a ritrovare se stessi. Questo Cammino, ed altri successivi, mi hanno aiutato a conoscermi meglio, a scoprire una persona nuova e diversa da quella della solita routine quotidiana. Un alter ego silenzioso ma prodigo di consigli e stimoli necessari ad affrontare tanto il cammino quanto la vita.

Dopo la cena decido di uscire.
Insieme all’oscurità finalmente anche pace, silenzio e tranquillità sono scese su Assisi.
La stragrande maggioranza delle saracinesche è già abbassata e devo camminare fino alla piazza del Comune per gustarmi una coppa di gelato, beatamente assiso ad Assisi
Mentre torno verso il rifugio incontro frate Innocenzo e quasi non lo riconosco, infatti indossa abiti borghesi. Per la serie l’abito non fa il monaco…
Poi è il turno di Ileana e Giovanni, la coppia calabrese che già avevo incrociato a Pietralunga e Gubbio.
Il mancato incontro a Valfabbrica è dovuto al fatto che, lasciata la città eugubina, hanno fatto tappa a Biscina. Da lì poi hanno raggiunto Assisi senza ulteriori fermate intermedie.
Avrebbero intenzione di fermarsi fino alla mattina del 16 agosto in modo da poter partecipare alle celebrazioni dell’Assunta, ma essendo alloggiati in albergo temono che la spesa possa lievitare troppo.
Gli lascio allora il numero di telefono delle suore di Casa Emmaus, dove spero abbiano potuto trovare un alloggio dignitoso ad un prezzo molto più conveniente, visto che tale struttura è a donativo.
Poco prima di mezzanotte rientro in stanza. Crollo dal sonno e sprofondo nel letto, ma le gambe si lamentano come non mai. Più che di stanchezza fisica penso che si tratti di una sorta di rilassamento psicologico, per il raggiungimento del traguardo, che si ripercuote sulle membra.
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Murale in uscita da Valfabbrica
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aura mistica
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Ci siamo quasi
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L'arrivo al cospetto della Basilica
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La visita guidata alla Basilica
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Eremo delle Carceri
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L'opera di Dettoni
L'opera di Dettoni
la Mattonata tra Assisi e S.Maria degli Angeli
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Tramonto sulla Basilica
Tramonto sulla Basilica
Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

14 Agosto: il ritorno verso casa

Mi sveglio di buon’ora e faccio colazione. Fuori nella notte è caduta un po’ di pioggia ed il cielo è ancora minacciosamente plumbeo. Ritorno alla Basilica di San Francesco che a quest’ora è quasi deserta e me la godo appieno. Faccio anche tappa al negozio, dove acquisto alcuni ricordi francescani per amici e famigliari.
Proseguo lo shopping nelle vie del centro, sebbene gran parte dei negozi aprirà solo dopo le nove e mezza.
Ovviamente cambiano gli oggetti esposti, non più attinenti tanto alla sfera religiosa quanto a quella gastronomica. Un salame di cinghiale ed una confezione di strangozzi saranno sicuramente graditi a casa.
Cade qualche gocciolina mentre torno al rifugio per prepararmi alla partenza.
Dono infine il mio piccolo contributo alle suore, ringraziandole per l’ospitalità concessami.

Quando esco la pioggerella è terminata ma le goccioline rimangono appese alle nuvole che paiono però in allontanamento. Per evitare comunque ogni rischio, decido di raggiungere la stazione in autobus.
Giunto nei pressi della porta del piazzale della basilica inferiore incontro i due vicentini di Pietralunga.
Ci aggiorniamo sui rispettivi compimenti del Cammino e sui relativi posti tappa.
Una chiacchierata breve, ma sufficiente a farmi perdere l’autobus per Santa Maria degli Angeli.
Forte dell’esperienza di ieri pomeriggio, però so di potercela fare anche a piedi. Tengo un ritmo sostenuto ma sostenibile, agevolato anche dal fatto che la strada è a lungo in discesa. Per fortuna la pioggia ha deciso di risparmiarmi ed il cielo si sta schiarendo.

Arrivo in stazione con largo anticipo, prima delle undici. Ho così modo di sbirciare le riviste in edicola.
Scopro che un mensile di turismo ha pubblicato il diario della mia esperienza sui sentieri dell’Alta Via dei Monti Liguri. Proprio quella a cui accennavo nell’introduzione a questa narrazione.
Ero in contatto con la redazione e sapevo che a breve il mio racconto avrebbe trovato spazio sulla carta stampata. Non posso esimermi dall’acquistarne una copia, anche per vedere se e quanto il mio racconto sia stato modificato dall’editore. Molto poco, in verità, e la cosa mi riempie di gioia.

Il treno per Firenze parte ed arriva puntuale, così come quello che da lì mi condurrà a Pisa.
Qui l’attesa della coincidenza per Genova è piuttosto lunga, ma non abbastanza da consentirmi di visitare la città. La trascorro quindi tra l’atrio della stazione ed il piazzale antistante la medesima.
Che differenza con i giorni solitari immerso nella quiete e nella natura, con la solennità delle chiese e le bellezze artistiche ed architettoniche di borghi e città ricchi di storia e cultura.

In circa un’ora mi si para davanti agli occhi un campionario di degrado piuttosto completo.
Un maghrebino viene fermato dalle forze dell’ordine che lo conoscono bene, visto che lo chiamano per nome. Poi lo lasciano andare, sebbene abbia una borsata di scarpe da donna di dubbia provenienza.
Un ragazzo corre a perdifiato, dileguandosi dopo aver rubato un panino in un bar.
Facce e movimenti sospetti nei dintorni lasciano intuire un probabile spaccio di stupefacenti.
Questuanti più o meno insistenti si mescolano ad alcolizzati più o meno alticci e caracollanti.
Una famiglia ROM bivacca nel piazzale. La matriarca somiglia decisamente ad un capo tribù pellerossa.
Il titolare di un negozio insegue un ladruncolo. Riesce a raggiungerlo ed a requisirgli la refurtiva, fortunatamente senza che la situazione degeneri in atti violenti.

Di fronte a questo scenario, Fabrizio De Andrè avrebbe potuto trarre ispirazione per una rivisitazione de “La città vecchia”. Purtroppo io non ho la sensibilità del grande cantautore genovese e sono semplicemente nauseato. Quando vedo un gruppetto di ragazzini gettare a terra cartacce e lattine non riesco a trattenermi.
Li rimprovero cercando di usare parole morbide e toni educativi, anche se l’istinto non sarebbe stato altrettanto clemente. Forse un briciolo di bontà e sopportazione francescana si è insediata in me.
Alcune settimane prima, avrei assecondato l’istinto…
Pax et Bonum
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Andrea Bezimen
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Re: Cammino di Assisi (Dovadola - Assisi)

Post by Andrea Bezimen »

Come per il diario balcanico, ho provveduto a caricare il diario Assisiano per renderne possibile il download gratis.
Amazon già non mi è simpatico per le sue politiche aziendali, in più richiede un prezzo minimo ed io volevo renderlo disponibile gratis. Ho trovato quindi questa opzione in formato pdf che mi sembra valida:

https://payhip.com/b/ka8Eg" onclick="window.open(this.href);return false;

Il prezzo libero è preimpostato a zero (se poi qualcuno volesse donare 10000 euro... : Thanks : ) e basta cliccare su buy now. Si apre una pop-up in cui inserire solo il vostro indirizzo email. Si clicca su download now e poi o scaricate subito da quella pagina con l'apposito tasto download, oppure vi arriva su posta elettronica il link per scaricarlo in un secondo tempo. In alcuni giorni non ho ricevuto fastidiosi messaggi pubblicitari, solo il file scaricato.
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