Trans Caucasian Trail (Armenia)

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Andrea Bezimen
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Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

Da alcuni anni l'idea mi frullava in testa visto che mi sono trasferito in queste lande desolate.
Il covid negli ultimi due anni ha però congelato o cancellato i programmi di molti e così anche i miei.

Ho sentito parlare del Trans Caucasian Trail per la prima volta nel 2018.
All'epoca era poco più di una pazza idea: un trekking di circa 1800km che attraversasse i monti di Georgia ed Armenia dal Mar Nero ai confini con l'Iran.
Tom Allen e Paul Stephens i visionari ideatori dell'idea, supportati da un manipolo di volontari, hanno continuato a lavorare e sviluppare il progetto anche in questi anni bui finchè alla pagina ufficiale del TCT: https://transcaucasiantrail.org/en/home/" onclick="window.open(this.href);return false;
è apparso l'annuncio che per l'estate 2022 cercavano volontari disposti a testare il percorso da loro ideato ed ancora non completamente tracciato nemmeno su GPS. Si invitava gli interessati a fare richiesta compilando una sorta di questionario. Viste le difficoltà del percorso venivano richieste esperienze pregresse e competenze particolari soprattutto in fatto di orientamento e capacità di sopravvivenza.

Come tutti i selezionati sono entrato a far parte di un gruppo chiuso su internet per lo scambio di informazioni ed ho ricevuto traccia GPS del tratto armeno, mentre quello georgiano è meno sviluppato e la traccia disponibile ad oggi non è ancora ufficiale.
Il mio programma iniziale era di partire da Meghri, ai confini con l'Iran, e raggiungere Mestia nello Svaneti per un totale di circa 1200-1300 km da percorrere in un paio di mesi.
Esigenze personali e famigliari mi hanno poi indotto a limitarmi al tratto armeno e con l'intenzione di raggiungere Stepanavan (750km circa) in un mesetto, il 15 giugno sono partito alla volta di Meghri.
Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

15 giugno 2022
La marshrutka è una sorta di taxi collettivo in forma di van ed è uno dei mezzi di trasporto più popolari nei paesi ex sovietici. Quella per Meghri parte ogni giorno alle 7,30 di mattina dal retro della stazione ferroviaria di Sasuntsi Davit di Yerevan. E’ sempre meglio arrivare un po’ in anticipo ed alle sette siamo già lì.
Va detto che a quell’ora la metropolitana non funziona ancora e che la stazione va pertanto raggiunta a piedi o in taxi. Una volta arrivati in loco bisogna trovare il pulmino giusto, cosa non facilissima per chi non conosce l’alfabeto armeno...ma basta chiedere e qualcuno ve la mostrerà.

Ovviamente è il mezzo più malconcio del mazzo ed a quanto pare c’è qualche altro problema.
L’autista sostiene che non si può salire senza prenotazione, sebbene ci siano posti liberi.
Di fronte alle nostre lamentele (per fortuna mia moglie mi ha accompagnato e mi fa da interprete) ci dice di contattare telefonicamente il suo boss che in pochi minuti arriva e sistema la situazione assicurandoci il trasporto.
A rischiare di rimanere appiedato c'era anche un personaggio curioso: capellone, tutto vestito di nero il cui unico bagaglio era una chitarra dentro la sua custodia pure nera. Parlicchiava inglese e visti look e direzione forse era il membro segreto iraniano dei Balck Sabbath...
Per il futuro ci suggeriscono comunque di effettuare una prenotazione alla pagina FB della marshrutka Yerevan-Meghri. Certamente una soluzione non facile da reperire visto che neppure mia moglie aveva trovato risultati utili in merito su internet.
Sistemo il mio zaino sul luridissimo fondo del bagagliaio. Per fortuna ho sempre con me un sacco della spazzatura che pongo a tutela della livrea immacolata del mio nuovo Ferrino da 80 litri.
I sedili in vellutino unto e consunto ed i tendaggi ai finestrini sono, se possibile ancora più polverosi del vano bagagli. Indosso la mascherina FFP2 non tanto per timori di coviddi ma in quanto allergico alla polvere e qui ci sono acari antropomorfi, che probabilmente hanno prenotato il posto su Facebook...

La partenza se non altro avviene puntuale. L’autista dimostra subito velleità da pilota di Formula 1 sebbene il mezzo fin dai primi metri guaisca ed implori pietà mentre sinistri ululati accompagnino le manovre più spericolate.
Dopo circa venti minuti ci fermiamo in mezzo al nulla per caricare due persone che ovviamente sono in ritardo. L’autista grida loro incomprensibili ma minacciose parole al telefono. Un passeggero grida altrettanto incomprensibili ma minacciose parole all’autista. Alla fine fanno pace fumandosi una sigaretta, nell’attesa che una signora sovrappeso ed il gracile figliolo arrivino e prendano posto. Ovviamente accanto a me...ma per fortuna al mio fianco si siede l’emaciato adolescente.
La strada punta rettilinea verso Sud-Sudest nella fertile piana che costeggia il Monte Ararat. Alcuni nidi di cigogna impreziosiscono tralicci e tetti lungo la via.

La strada è ondulata, o meglio asfaltata male, la guida dissennata a scatti e gli ammortizzatori scarichi regalano quella piacevole sensazione di montagne russe. Quanto dura una corsa al luna park? Due minuti di orologio, forse meno. Il mio viaggio viene stimato tra le otto e le nove ore.
Per precauzione decido di anestetizzare gli organi interni, cercando di dimenticarmi della loro esistenza ed anche della mia, entrando in stato di catalessi. Riesco perfino ad addormentarmi per poi svegliarmi con il fianco sinistro sudato. Mamma e bimbo si sono invertiti la posizione ed ora mi trovo mezzo schiacciato tra il donnone, che sgranocchia biscotti come un ruminante al pascolo, ed il finestrino.
La sosta al Food court, una specie di autogrill, nei pressi di Yeghegnadzor giunge propizia.
Ne approfitto per uno snack a base di kachapuri (una sorta di torta salata al formaggio) e per abbeverarmi da una fontana. Sono solo le nove ma alcuni effettuano un pasto completo.
Scoprirò solo dopo che non sono previste altre soste, se non brevissime che lasciano il tempo solo di bere un caffè o andare in bagno.

Si riparte e da qui la strada inizia ad impennarsi e farsi tortuosa. Resterà tale fino alla destinazione finale. Note di musica folk dai pifferi ipnotici, chiacchiericcio e suonerie varie si sovrappongono. Paesaggi ora verdi ora aridi scorrono dal finestrino alternandosi ad incubi da calo di palpebra.
Nei pressi dell’aeroporto militare di Sisian tre elicotteri militari pattugliano la zona volando a bassissima quota. Siamo vicini al confine rovente con l’Azerbaijan e questa nota in stile Apocalypse now non poteva mancare.
Inizia anche a piovere, seppure debolmente. Il vero temporale arriverà puntale in occasione della sosta cesso/caffe ad Halidzor. Da qui si godrebbe di una magnifica vista sul monastero di Tatev, se solo la visibilità non fosse limitata a poche decine di metri dal muro d’acqua che accompagna le nostre corse tra il baretto ed il pulmino.
Dopo la discesa al Ponte del Diavolo si risale con ripidi tornanti proprio fino a Tatev dove si trova uno dei monasteri più famosi d’Armenia.
Una strada scenografica. Peccato che siano in corso lavori di manutenzione per cui il fondo sia parzialmente fangoso e gibboso tanto che talvolta si è quasi sbalzati dal sedile. I finestrini appannati e la pioggia, che cade anche all’interno da un tettuccio non proprio a chiusura stagna, inibiscono la panoramica visuale.
C’è un intenso traffico di camion iraniani che procedono a velocità da lumaca, puntualmente sverniciati dal nostro autista nei tratti in cui non si ha visibilità alcuna.
Da Tatev a Meghri la strada sarà così, sparirà solo la pioggia ad un certo punto.
Nella regione del Syunik, a causa del recente conflitto in Artsakh, l’Armenia ha perso alcuni territori. Molte strade non più praticabili in sicurezza, sono sostituite da piste e strade in costruzione che diventeranno le nuove vie di comunicazione ufficiali ma che al momento sono più simili a mulattiere, tranne che per le dimensioni.

Alle quindici e trenta siamo a Meghri ma per poco rischio di perdere la fermata.
Questa località viene infatti indicata come destinazione finale del bus che in realtà prosegue fin verso il confine con l’Iran, ad Agarak. Io mi aspettavo pertanto di scendere al capolinea mentre a Meghri scende solo una donna, facendomi pensare ad una fermata intermedia. Per fortuna controllo la posizione sul cellulare e vedo di essere arrivato a destinazione. Riesco a fermare l’autista, prontamente ripartito a tutto gas, dopo poche centinaia di metri.
Risalgo fino alla piazza del paese tra la curiosità silente della gente. Carico acqua alla fontana e compro dei wafer nell’unica e mal fornita botteguccia presente. Poco prima delle sedici sono pronto a partire.
Un laconico selfie suggella l’inizio del mio Trans Caucasian Trail. Mi guardo e sembro già stanco.
Il viaggio non è stato molto rilassante, ho gli organi interni mescolati come un mazzo di carte, fa caldo, molto caldo ed il paesaggio brullo e semidesertico non concede ombre ne frescura.
I pochi ad affrontare in TCT prima di me hanno impegnato mediamente cinque giorni a percorrere i circa 70km di nulla, sui monti che separano Meghri da Kapan dove ritroverò un briciolo di civiltà. Mi sembra un’enormità e la cosa mi preoccupa. A proposito di enormità: sulle spalle ho circa 25kg di cui almeno un quinto rappresentato da scorte di cibo e acqua e dai due ai tre kg di materiale più o meno inutile, tra cui una reflex.

Alla periferia del paese due fratelli, palesemente non proprio normali, mi squadrano dalla loro officina con aria interrogativa ed i ruoli si ribaltano: ora sono io l’anormale.
Eh si qui la gente non è abituata ai forestieri, tanto meno ad escursionisti a lungo raggio.
Al di là di alcune elites della capitale non esiste proprio la concezione del trekking come attività di svago o di vacanza. Mi fermo nei pressi per sorseggiare un po’ d’acqua da una fontanella e finisco di sgranocchiare i pessimi wafers alla nocciola della Grand Candy, marchio di una delle famiglie oligarchiche che da trent’anni si spartiscono i profitti in Armenia grazie a consolidati intrallazzi e regimi di monopolio.
Mentre un’improvvisa tempesta di vento porta nubi minacciose ed alcuni goccioloni d’acqua, l’asfalto termina. Iniziano lo sterrato e l’avventura.
Mi trovo in una stretta e ripida vallata semidesertica, ricca solo di cespugli spinosi, sassi e polvere.
So di dover affrontare molto dislivello, circa 1200 metri, nei primi dieci chilometri. A tale distanza è segnalata una sorgente e lì conto di poter arrivare in tempo per piazzare la tenda al calar delle tenebre. Su sentieri italiani, avendo quasi 5 ore a disposizione non sarebbe un grosso problema, ma qui è diverso.

Nessun segnavia è presente ed alcune possibili tracce potrebbero essere di greggi o animali selvatici e fuorviarmi. Mi viene in soccorso una segnalazione nel gruppo internet dei pionieri: fino ad un certo punto occorre prendere come riferimento una piccola condotta idrica. Arrivato alla sorgente che la alimenta inizia magicamente a comparire qualche fiocchetto di nastro rosa. Si tratta di tracce lasciate lo scorso anno da coloro che si sono presi la briga di creare dal nulla la traccia GPS del Trans Caucasian Trail.
Si risale quindi un canalone roccioso che mette subito a ferro e fuoco i garretti fino ad un pianoro da cui il sentiero prosegue piuttosto agevolmente a mezza costa tra la rada vegetazione.
Si sale poi per crinale fino ad un punto in cui il fuoco ha incenerito non solo la quasi totalità della vegetazione ma anche i fiocchetti rosa segnavia. D’ora in avanti avrò a disposizione solo la traccia sul telefono per capire la direzione da seguire.

Lo scenario già spettrale diventa ancora più cupo all’imbrunire quando inizio ad avere dei crampi (si fa sentire la mancanza di allenamento: zero trekking impegnativi dal 2020 causa covid…).
Una capra selvatica mi scruta da lontano e poi se ne va senza salutarmi, del resto non sono Heidi.
Anzi in questo momento sembro più Rambo: i miei pantaloni verde oliva subiscono l’effetto camouflage nerofumo del contatto con ramoscelli bruciati donandomi un aspetto da assaltatore.
Un lungo traverso su fondo instabile ed in assenza di ogni forma di percorso battuto, mette a dura prova caviglie e ginocchia, ma anticipa l’arrivo ad un pianoro erboso.

Qui è segnalata un’altra fonte che non trovo, ma per quella a cui sono diretto manca ancora almeno un’ora di cammino ed è ormai quasi buio. Decido quindi di piazzare la tenda e mangiare.
Nel frattempo appendo i vestiti intrisi di sudore ai rami di un alberello nella vana speranza che il vento li faccia asciugare. Ho saltato il pranzo e consumato parecchie calorie, l’appetito non manca ma il menu non è certamente invitante: una specie di patè di pollo seguito da frutta secca.
La mia nuova tenda (Salewa Denali II) si rivela decisamente molto più confortevole della vecchia tenda da bivacco usata per anni (Ferrino Bivy Hilab). E’ per due persone, quindi posso riporre lo zaino e tutto il mio materiale all’interno, tranne i bastoncini e gli scarponi che lascio sotto alla veranda. All’interno posso stare comodamente in posizione seduta, senza dovermi infilare dentro strisciando, come avveniva nella precedente tenda a loculo. Per contro il peso è però più che doppio. Ho pure sostituito il vecchio materassino in schiuma con uno autogonfiabile. Spero che la qualità del sonno, in cui crollo rapidamente, ne risenta positivamente.
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il primo accampamento
il primo accampamento
La zona mezza bruciata
La zona mezza bruciata
L'arido vallone all'inizio del cammino
L'arido vallone all'inizio del cammino
Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

16 giugno 2022
La notte è passata discretamente: direi che tenda e materassino abbiano passato a pieni voti l’esame anche se il secondo tende a spostarsi un po’ troppo facilmente e talvolta mi ritrovi con il corpo parzialmente appoggiato all’esterno della sua sagoma. Forse un fondo gommato o zigrinato potrebbe essere utile, ma va detto che io mi muovo molto nel sonno ed avendo tanto spazio a disposizione finisco facilmente per scivolare fuori dal materassino.
Quando mi alzo è ancora quasi buio: sono le cinque in punto. Al mattino sono piuttosto lento e pigro ma le due ore che impiegherò a riprendere conoscenza, cambiarmi, fare colazione e sbaraccare sono decisamente troppe. E non ho nemmeno dovuto asciugare la condensa sul telo esterno visto che non se ne era formata.
I vecchi e fedeli scarponi della Asolo mi hanno tradito: il tacco in gomma della scarpa destra si è scollato. Probabilmente ho esercitato troppa pressione nel togliere gli scarponi ieri sera ed ora noto un fastidioso “clapclap” ad ogni passo. Ben presto non ci farò più caso anche a causa delle difficoltà del cammino.

Mi metto in moto alle sette in punto seguendo quella che sembra una traccia ma il GPS me la fa abbandonare dopo poche decine di metri per un meno piacevole traverso.
Nei pressi della fatidica fonte al decimo chilometro noto i segni di accampamento di chi mi ha preceduto. La fonte dovrebbe essere alcune decine di metri sotto al sentiero, ma siccome il fianco è ripido ed i miei predecessori non la avevano trovata, rinuncio in partenza a cercarla.
Da questo punto inizia una fase in cui il percorso non segue alcuna logica ed in cui nessuna forma di traccia è ravvisabile sul terreno. Mi trovo sotto un sole già rovente (qui picchia molto più forte che in nord Italia) a vagare cercando di ottimizzare tra la traccia GPS e quello che vedo intorno.
Poi decido di dare fiducia alla traccia anche se in alcuni tratti il caro vecchio dritto per dritto sarebbe stato forse più efficace ed efficiente.

Verso mezzogiorno e dopo solo cinque ore di cammino sono già spossato ed approfitto di una delle poche ombre offerta da un albero per riposarmi e per mangiare qualcosa. Terminato il pranzo mi resta solo un litro d’acqua e le fonti segnalate finora si sono rivelate introvabili o asciutte. Alla fatica tipica dei primi giorni di cammino, in cui il corpo si ribella agli sforzi imposti, si aggiunge una stanchezza psicologica legata alla difficoltà nel seguire il percorso e nel trovare acqua.
Quando, raggiunto il crinale, la traccia si immette su una pista da jeep trovo un po’ di conforto e quasi mi esalto vedendo in lontananza degli abbeveratoi per il bestiame.
Quando li raggiungo sono ovviamente asciutti. Fa caldissimo, non c’è ombra ed ho poca acqua ma decido di fermarmi un po’ per riposare. In lontananza vedo alcuni alberi che mi fanno sognare una fonte o un ruscello. Sempre che non si tratti di un miraggio.

Non è così !! Il terreno inizia ad inumidirsi mentre mi avvicino e, all’ombra di tali alberi, si trova una sorta di area di sosta con tanto di asfittica, ma benedetta, sorgente.
Il getto è decisamente meno fragoroso di una pisciata, quasi l’acqua scende goccia a goccia.
Per precauzione uso comunque la cannuccia filtrante con il risultato che la sosta per bere un litro d’acqua e caricarne tre richiede non meno di trenta minuti. Una tempistica che in altri luoghi e situazioni avrei trovato snervante ma che in questa circostanza passa in secondo piano mentre mi godo ogni goccia di liquidi e la frescura dell’ombra.
Come spesso capita in Armenia la sorgente è dedicata a qualcuno che non c’è più ma la mia conoscenza della lingua non è così approfondita da capire di chi si tratti.
Dalle quattordici alle sedici il percorso si snoda sempre su carrabile e parzialmente in discesa.
Sono rinfrancato anche se faccio il primo incontro con uno dei pericoli segnalati come più probabili in questa regione: i serpenti velenosi.
Ero bello tranquillo con i bastoncini sul collo in posizione di relax quando in mezzo al sentiero trovo una grossa vipera che si rivela molto aggressiva. Alza il collo ed inizia a gonfiarlo e soffiare verso di me. Io resto immobile, il serpente si tranquillizza, mi fa due linguacce e poi decide di lasciarmi passare andando a nascondersi tra i cespugli.

Va detto che in Armenia i serpenti si trovano facilmente sui sentieri e che sono mediamente velenosi. Io non li amo particolarmente ma non ne ho la fobia ed in tutto il cammino ricordo di averne incontrato solo cinque, due dei quali piccolini ed involontariamente quasi schiacciati.
Altre persone sul mio stesso cammino hanno contato decine di serpenti, più alcuni orsi od almeno le loro impronte. Si vede che sono sbadato perché io ho notato solo orme e fatte di lupo.
In ogni caso il serpente è simbolo demoniaco e difatti porta sfiga.
Da lì a poco mi trovo in una selva di rovi e cespugli in cui seguire la traccia GPS si rivela impossibile. Avanzo a velocità forse inferiore al chilometro per ora anche perché dopo quell’incontro presto molta più attenzione a dove metto i piedi e le mani. Il groviglio in cui mi trovo richiederebbe un machete per aprirsi la strada, io mi limito a poco efficaci imprecazioni a tema.
Quando ne esco, il GPS mi fa scendere in un bosco con una curva a gomito. Qui la traccia è visibile e si procede abbastanza spediti anche se in un tratto scivolo ed aggrappandomi ad un albero mi procuro una bella abrasione al braccio.

Sono quasi a Malev, dove sulla cartina viene indicata la presenza di alcuni edifici. Il nome mi ricorda quello della fallita e defunta compagnia aerea ungherese.
Io auspico sia un villaggio di pastori con una sorgente, invece troverò solo dei ruderi e come ad ogni latitudine intorno ai ruderi la fanno da padrone rovi, ortiche e piante infestanti alte come me.
Impiego più di mezzora per trovare la via d’uscita da questo dedalo al termine del quale le mie gambe già viola per l’insolazione sono segnate da decine di graffi e piccole ferite.
Penso che nei prossimi giorni, contrariamente alle mie usanze, camminerò raramente in shorts.

Sono quasi le sei di sera e dopo undici ore di cammino ho percorso una dozzina di chilometri: assurdo. Lo scoramento mi assale. Contavo di percorrerne almeno una ventina oggi. Capisco che, almeno in questi primi giorni di cammino particolarmente selvaggi, bisogna accantonare ogni stima e tempistica ipotizzata in base a chilometraggio e dislivello, e rivaluto i tempi dichiarati da chi mi ha preceduto. In questa parte il sessanta per cento del lavoro è orientamento, il trenta istinto di sopravvivenza e solo il dieci per cento è trekking puro.

Proseguendo in discesa mi pare di percepire il rumore dello scorrere di un ruscello e così è.
Avevo ancora un po’ d’acqua ma decido che mi conviene fermarmi per ripristinare le scorte idriche. Ne approfitto per immergere le gambe arrossate nella gelida acqua e trarne un po’ di giovamento sostando per una mezzoretta a mollo mentre filtro l’acqua e bevo avidamente.
Quando riparto decido che mi fermerò al primo posto utile per campeggiare e lo trovo dopo poche centinaia di metri. In realtà mi fermo praticamente sul bivio di due strade carrabili ma dubito fortemente che qualche mezzo passerà di qui fino a domattina. Il terreno è piuttosto livellato e sabbioso, l’erba bassa. Non posso chiedere di meglio.

Montata la tenda noto che sul cellulare c’è campo e provo allora a contattare mia moglie.
Lo scarpone mezzo rotto non so quanto potrà reggere ancora anche se per almeno due giorni io non avrò modo di ricevere le nuove scarpe. Al telefono mi accorgo di essere completamente afono per la fatica. Concordo la spedizione via taxi dei seminuovi Salomon fino a Baghaburj dove dovrei arrivare e pernottare tra due o tre giorni. Questa soluzione al problema scarpe ed il sentire la voce di mia moglie mi ridanno un barlume di speranza e di voglia. Sebbene sia in grave deficit energetico non ho molta voglia di mangiare così, senza entusiasmo, termino le scorte di patè e devo dire che quello di manzo si rivela decisamente meno sgradevole al palato. Il cielo perfettamente terso mi regala una notevole stellata mentre il powerbank ricarica la preziosissima batteria del cellulare che ha retto bene per due giorni ad un uso piuttosto intenso.
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Meglio evitare i pantaloncini corti...
Meglio evitare i pantaloncini corti...
Il secondo accampamento
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Cavalli allo stato brado
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Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

17 giugno 2022
Le consuete due ore prima di mettersi in cammino mi ricordano che la mia avversione per la tenda ha i suoi buoni motivi. Purtroppo però qui non si trovano strutture in cui bivaccare ma solo ruderi ridotti a cumuli di pietre e probabilmente infestati di serpi.
L’inizio del cammino oggi è incoraggiante. Si prosegue in salita su carrabile e si incontrano un paio di ruscelli a cui rinfrescarsi. Poi nei pressi di un edificio abbandonato si lascia la pista da jeep per inoltrarsi nell’erba alta fino al petto con soverchie difficoltà di orientamento, fino a trovare una traccia che risale in diagonale il fianco della montagna. La salita è interminabile ma si cammina abbastanza bene, con poche difficoltà di interpretazione del percorso. Sembra quasi di essere in Italia ed il sentiero offre apprezzabili scorci sulle montagne circostanti. La fatica finalmente è ripagata.

Quando si raggiunge un altro paese abbandonato, Marzkid, il percorso sparisce nuovamente.
La traccia mostra che devo raggiungere la vallata di fronte alla mia e salire in diagonale.
Mi pare di individuare un possibile sentiero e lo seguo visto anche che porta ad una zona ombrosa ed ho bisogno di fermarmi a riposare e mangiare. A naso dovrei essere un cinquantina di metri sotto alla traccia del GPS. Che sarà mai, taglio un po’ in diagonale, un po’ dritto per dritto e la ritrovo. Impiegherò invece quasi un’ora a riagganciare il supposto sentiero che continua ad essere invisibile. Nel mezzo sforzi disumani per salire tra rovi, intrico di rami e piante cadute, massi erratici che sbarrano la via al mio passaggio. In un momento di sconforto getto nel vuoto gli occhiali da sole.
Segue una fase fattibile in un bosco non troppo fitto, sebbene alcuni rami si aggancino spesso al mio ingombrante zaino. Sono in una zona umida e ad un certo punto compare anche un porcino.
E’ giovane e sano, ne pulisco il cappello alla bell e meglio e me lo mangio a crudo con olio, sale, pepe e qualche residuo di terriccio tanto per rafforzare gli anticorpi... :risata:

Poco dopo cambio nuovamente versante della vallata. Un altro grosso serpente mi passa a fianco. Questa volta non è aggressivo ma porta comunque scalogna: inizia un nuovo tratto in cui la traccia si perde nel fitto del bosco e passare diventa spesso un capolavoro di strisciamenti e scavallamenti.
Quando si esce dal bosco la situazione non migliora granchè e si continua a procedere in traverso senza alcuna traccia da seguire se non quella sul telefonino. Nel frattempo sono ormai abbondantemente sopra i duemila metri e si alza un vento gelido accompagnato da una leggera nebbiolina che ad un certo punto mi costringono ad indossare il softshell, forse in colpevole ritardo.

Vago per pascoli camminando di sbieco per altre due ore finché raggiungo il belvedere vicino al monte Sheporasar (2400mt) dove in base ai miei programmi avrei dovuto arrivare ieri sera.
Ho più solo un litro d’acqua ma la fonte più vicina, sempre che non sia asciutta, si trova a circa due ore di cammino per cui preferisco fermarmi qui mentre il sole tramonta all’orizzonte.
Sono fisicamente e moralmente a pezzi, il telefono non prende e non posso nemmeno trovare conforto nella voce di mia moglie, né avere conferma che sia riuscita ad organizzarmi la spedizione delle scarpe. Unica nota lieta è che le care vecchie Asolo stanno tenendo duro e dopo quel cedimento iniziale non hanno sbracato, mantenendo la forma.

Sono terribilmente indebolito da fame e sete ma ho lo stomaco quasi chiuso e fatico a deglutire il cibo per cui decido di puntare sul calorico burro di arachidi. Il gusto di questo alimento non lo amo neppure in condizioni normali e quassù devo quasi ricorrere all’autoipnosi per convincermi a mangiarlo. Persino la frutta secca, che qui è ottima, non mi risulta gradita. Fa pure freddo o forse ho accumulato freddo mentre camminavo in shorts e maglietta sotto il vento. Cerco di scaldarmi, completamente vestito dentro al saccopelo, ed inizio a meditare seriamente il ritiro.
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ma sono mille papaveri rossi...terzo accampamento
ma sono mille papaveri rossi...terzo accampamento
Bei paesaggi ma cammino durissimo prima della bufera di vento
Bei paesaggi ma cammino durissimo prima della bufera di vento
Bei panorami lungo la parte duta ma gradevole del cammino
Bei panorami lungo la parte duta ma gradevole del cammino
Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

18 giugno 2022
Per la prima volta la tenda ha fatto condensa. Immagino per lo sbalzo termico tra la temperatura esterna e quella interna alla tenda visto che siamo comunque intorno ai 2300 metri. Ci metto quindi anche più del solito a mettermi in cammino, con il GPS che smonta le mie supposizioni della sera prima. Scrutando il paesaggio avevo infatti immaginato la traiettoria da seguire oggi. Devo abbandonare la mia visione dopo poche decine di metri per tornare nel fitto del bosco. Dopo un tratto iniziale intricato trovo finalmente un sentiero visibile che seguo in lunghi saliscendi in una zona umida e ricca di vegetazione tra cui non mancano le famigerate “giant hogweed”.
Si tratta di piante apparentemente innocue ma che se spezzate rilasciano un liquido latticinoso che sotto i raggi del sole diventa urticante per la pelle. Spero che i manicotti, ricavati da vecchi corsari da running, facciano il loro dovere proteggendo le mie braccia. A proteggere le gambe ci penseranno i pantaloni lunghi che avevo portato con me quasi controvoglia e che invece finirò per indossare quasi sempre.

Dopo circa due ore trovo la fonte che avevo rinunciato saggiamente a raggiungere ieri. Nel frattempo ero oramai rimasto senz’acqua. Si tratta in realtà di un piccolo ruscello da cui diventa difficile riempire la sacca da filtrare. La sosta diventa particolarmente lunga per la gioia delle zanzare che infestano l’area.
Poche decine di metri trovo segni inequivocabili di accampamento di qualcuno che mi ha preceduto, poi proseguo a lungo nel bosco in comoda carrabile fino a raggiungere un gruppo di case. Sono pastori e contadini, le prime forme di vita umana che vedo dopo tre giorni.
Vengo invitato a bere un caffe o una vodka ma proprio non ho tempo e ne voglia.
Oggi avrei dovuto raggiungere la vetta del monte Kushtup (3200mt) ma sono terribilmente indietro ed avevo deciso già due giorni fa di risparmiarmi la scalata e di farmi venire a prendere da un taxi nel primo villaggio (una ventina di abitazioni) raggiungibile anche da un mezzo che non sia una jeep. Chiedo pertanto informazioni su quanto tempo ci voglia per raggiungere Shishkert ed il lacero contadino mi abbozza un “tre ore”a fronte delle due che avevo stimato.
Temo di arrivare in ritardo all’appuntamento con il taxi e, notando una Lada Niva, chiedo se possano darmi un passaggio per almeno un km in modo da abbattere i tempi. Stranamente ricevo risposta negativa e così, incattivito dentro e supermotivato, mi metto in cammino.

Per fortuna le tempistiche indicatemi sono sballate. Il contadino non conosce la scorciatoia con cui il TCT conduce a Shishkert. Quando inizio a sentire rumori di animali da cortile capisco di essere quasi arrivato. Ne approfitto per cambiarmi e per abbandonare con le dovute onorificenze gli scarponi Asolo. Li lascio volutamente sul sentiero con la convinzione che a qualche contadino del posto possano essere utili ancora per qualche mese.
Prima di entrare in paese devo guadare un ruscello piuttosto largo ed impetuoso, cosa che farò indossando i sandali.
Il paese denota un livello di povertà non indifferente e sembra mezzo abbandonato. Il primo ad accogliermi è un mezzo funzionante che sembra creato con il meccano, assemblando parti di diversi camion, trattori ed autovetture. Un modello degno di laurea in ingegneria meccanica ad honorem.
Poi alcune galline ed una mucca mi osservano mentre cammino per la via che divide in due il borgo.
Sono in perfetto orario e chiamo mia moglie per confermarlo, ma è il taxista ad essere in ritardo.
Ha accettato la corsa senza sapere che per raggiungere Shishkert occorre percorrere dodici chilometri di strada non asfaltata. Non è necessario avere un fuoristrada ma con un auto normale come la sua vecchia Opel Vectra (molto gettonata da queste parti) occorrono la massima prudenza e lentezza.

Mi siedo così su un masso per bere e sgranocchiare qualcosa nell’attesa, quando appare un gruppo di ragazzi tutti in uniforme militare. Mi vengono incontro a passo deciso, chiacchierando fitto tra loro. Nessuno ha armi da fuoco ma molti ostentano enormi pugnali in stile Rambo. Il confine è a due passi.
Forse li sorprendo salutandoli in armeno, fatto sta che al netto delle difficoltà linguistiche, abbozziamo saluti e convenevoli, poi se ne vanno quando gli dico che sto aspettando un taxi.
Alcuni faranno ritorno invitandomi a mangiare qualcosa da loro. Io sono restio perché non vorrei che il taxi arrivasse e non vedendomi se ne andasse. Poi, temendo di offenderli, accetto.
Il taxista arriva proprio mentre mi metto a sedere nella umilissima veranda di una casa dove quelli che immagino siano i nonni dei ragazzi stanno per prepararmi il pranzo.
Mi dispiace devo andare, il mio posto è là...intono alla Facchinetti dopo averli comunque ringraziati di cuore e salutati.

L’autista si scusa per il ritardo ma lo giustifica con le condizioni della strada.
Mi offre una sigaretta ma al mio diniego, per rompere il ghiaccio cerca sull’MP3 un pezzo di Celentano. Abbozzo un sorriso, non sono un fan del molleggiato ma questa canzone mi piace.
Mia moglie già gli aveva anticipato che avrei avuto bisogno di fare spesa così al primo paese utile ci fermiamo. In assenza di formaggini prendo del formaggio armeno affumicato e sottovuoto per poi concedermi una bevanda gasata e zuccherata. Non ne sono un fan ma nei giorni scorsi l’idea di una bibita di quel tipo e bella fresca era diventata un chiodo fisso.

Durante la sosta arriva ad alta velocità una Lada Niva di un colore indefinibile.
Ne esce un ragazzone corpulento che si rivela amico del mio taxista. In breve ci invita a pranzo a casa sua dove in un attimo appaiono sul tavolo: fette di ottimo lardo fatto in casa, formaggio sempre fatto in casa, dolma e polpette di carne riscaldate. E’ da domenica che non mangio cibo vero, seduto ad una tavola, e presto ben poca attenzione alla povertà ed alla scarsa pulizia della casa che ci ospita.
Artur rifiuta sdegnato ogni offerta di denaro ma mi dice di tornare a trovarlo che mi porterà con il suo fuoristrada fino alla vetta del Monte Kusthup e per dimostrarmi che non scherza mi mostra orgoglioso foto che lo ritraggono lassù insieme al fidato automezzo.

Il viaggio per raggiungere Kapan e poi Baghaburj si rivela estremamente lungo. Anche qui la strada ufficiale è finita sotto tiro delle truppe azere e dobbiamo affrontare una strada ancora in costruzione e sterrata. Nel punto in cui il transito sulla vecchia strada è interrotto un ragazzino imberbe, militare di leva controlla chi passa. Il servizio militare qui dura due anni ed il più delle volte si svolge a due passi dal confine, dove non è improbabile che ancora oggi avvengano scambi di colpi di mitraglia. E’ comunque più fortunato dei suoi predecessori che nell’autunno 2020 si sono trovati a combattere, mal equipaggiati, contro un esercito più ricco e potente rafforzato da droni e mercenari. Più di cinquemila non hanno fatto ritorno, altri gravemente mutilati.

L’autista mi ha preso in simpatia sebbene la conversazione latiti per la modestia del mio vocabolario armeno. Ci fermiamo ad una piccola chiesetta dove mi porge delle candele da accendere in onore dei miei cari e poi insiste per offrirmi un caffe. Quando arriviamo a Kapan vorrebbe anche portarmi a vedere la sua dacia, ossia la sua casa di campagna. Recupera la borsa con i miei scarponi nuovi, che probabilmente lui stesso aveva portato fin qui, e come convenuto mi porta alla Guest house di Vako a Baghaburj.

La fortuna oggi mi assiste: è il compleanno del titolare e sulla tavola c’è ogni ben di Dio.
Narine oltre agli scarponi mi ha mandato del lavash e del paklava che offrirò al festeggiato.
La mia priorità però ora è fare la doccia ed il bucato, nella speranza che asciughi entro domani.
Non c’è acqua calda, ma dopo quattro giorni sui monti potrei lavarmi anche sotto al temporale.
Espletate queste formalità, vengo accolto con affetto dagli amici di Vako che subito mi propongono un brindisi a base di vodka, sulle immortali note di Toto Cutugno.
Sembra quasi che il festeggiato sia io...si va avanti così per almeno tre ore.
Le nipotine del mio ospite sono nell’orto di casa quando si mettono a correre, gridare e piangere: "odz odz" gridano… tra le piante hanno scorto un serpente, ma dalla reazione degli adulti qui è normale.

Io di tanto in tanto mi assento per controllare l’asciugatura del bucato ben lungi dal realizzarsi perché il cielo è cupo e minaccia pioggia. Di ritorno da uno di questi controlli mi offrono anche un tiro di canna. E’ un’ esperienza che non mi ha mai interessato, tantomeno a quasi cinquant’anni. Trovo però singolare che persone apparentemente più anziane di me, abitanti di un villaggio in un paese conservatore come l’Armenia, ne facciano uso. Come la notte cala il suo mantello sul cielo, così i fumi di alcool e maria fanno calare il sipario sui festeggiamenti. Il bucato resta appeso sotto ad una tettoia, sperando che un po’ di vento completi l’asciugatura.
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Genialità
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Shishkert: prima forma di civiltà dopo tre giorni di cammino
Shishkert: prima forma di civiltà dopo tre giorni di cammino
Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

19 giugno 2022

Il miracolo è avvenuto: bucato quasi perfettamente asciutto, tenda piegata come si deve.
Manca solo la colazione che il solerte Vako sta preparando. Ancora provato dai primi giorni di cammino ho deciso di eliminare un tratto della tappa di oggi e già da ieri sera ho concordato con il taxista che venga a prendermi alle otto per portarmi nei pressi della fortezza di Halidzor, evitandomi così circa tre ore di cammino poco interessanti.
Sono il primo ospite ufficiale di Vako e sorge un po’ di imbarazzo al momento del pagamento.
Mi dice di dargli 100 dram (più o meno 20 centesimi di euro) ma considerando la supercena di ieri sera mi sento in dovere di lasciargliene almeno diecimila.

Oggi si cammina decisamente meglio ma la fortezza di Halidzor è famosa per essere un covo di serpenti, così accortomi che dovrei fare una sorta di circolo per tornare al punto in cui il taxi mi lascia, decido di rinunciare a raggiungere quei ruderi e muovo in direzione del villaggio di Shgharshik. La strada dapprima asfaltata e poi sterrata è tutta in salita e piuttosto ripida.
Al termine del villaggio diventa sentiero ma fortunatamente qui ci sono anche sporadici segnavia ed il percorso è piuttosto battuto. Si sale faticosamente per un paio di ore tra boschi e pascoli con erba altissima e fradicia. Poi si raggiunge un’area in cui il sentiero lascia spazio ad una larghissima carrabile costruita per il passaggio di un gasdotto Gazprom. Da qui la strada inizia una lunga picchiata verso il borgo di Arajadzor.

In mattinata, prima della partenza avevo provato a scrivere un’email per verificare se l’Ark Dacha fosse aperta. Avevo poche speranze di ricevere una risposta in tempo utile, ma tentar non nuoce…
Sorprendentemente, mentre pranzo nei pressi di una condotta idrica che perde acqua, controllo la posta elettronica e vedo che mi hanno risposto.
Il gestore, un tedesco di nome Werner, si dice sorpreso di ricevere una richiesta così tardiva ed ammette di avere poco da offrirmi soprattutto in termini di cibo ma più che altro a me interessa un tetto per la notte visto che il clima è ancora incerto. Letto e doccia calda non mancano.
Alla luce del taglio di percorso sono clamorosamente in anticipo, ma potrò approfittarne per fare nuovamente il bucato visto che oggi mi sono anche un po’ infangato dopo la pioggia di ieri notte. Sono a due passi dalla struttura e non appena letta la loro risposta decido di mettermi in cammino e raggiungerla.

In quella che sulla mia traccia viene indicata come “Ark Dacha” non c’è alcuna insegna ma il tipo che vedo in veranda è sicuramente più tedesco che armeno. Lo chiamo per nome ed infatti mi risponde “ya”. Sono sicuramente nel posto giusto e viene ad aprire il cancello. Mi scuso per il mancato preavviso e per essere arrivato così presto. Lui si scusa per il disordine. Un buon modo per iniziare. Rotto il ghiaccio mi spiega il motivo per cui ha poco cibo da offrirmi: oggi è il suo primo giorno normale dopo un periodo di diciassette giorni di digiuno assoluto e quando sono arrivato aveva appena terminato di fare yoga. Capisco subito che si tratta di un incontro interessante e sono felice di essere arrivato così presto in modo da poter conversare a lungo.
La priorità come al solito spetta però a doccia e bucato. La toilette è una latrina nell’orto ma la doccia è abbastanza pulita e soprattutto, non mi pare vero, con acqua calda. Un sogno, dopo cinque giorni, potersi lavare degnamente.

La struttura è decisamente fatiscente: una vecchia casa di campagna in stile armeno priva di ogni forma di ammodernamento ad eccezione del boiler per la doccia. Non c’è riscaldamento e penso che solo un tedesco abbia potuto adattarsi a stare qui da inizio aprile, quando c’era ancora la neve.
L’edificio consta di due stanze: una su un lato è tutta a vetri, non proprio perfettamente isolati, e l’altra è senza finestre esterne. La fioca luce nella seconda stanza, dove dormirò, filtra da finestrelle interne che la mettono in comunicazione con l’area dove in pochi metri quadrati il tedesco vive.
Una piccola dispensa (tanto digiuna spesso…) un instabile fornelletto da campeggio a due fuochi, una scrivania coperta di appunti e manoscritti fitti fitti ed il letto. La parte più gradevole è una larga veranda esterna con vista sulla vallata, in cui trascorreremo la quasi totalità del tempo fino al momento di andare a nanna.

Werner è venuto qui perché stanco della politica e della società tedesca ed europea in generale, mi espone le sue teorie complottiste che trovo almeno parzialmente condivisibili. Pur senza i suoi eccessi mi trovo spesso d’accordo con quanto mi dice e lui sembra felice di potersi aprire ad uno sconosciuto con una visione simile alla sua. Ha tutte le potenzialità per essere un serial killer da film thriller, o forse è più banalmente una vittima di questa società, inclusiva solo con chi si piega supinamente al pensiero unico dominante imposto dall’alto.
Le ore passano veloci e piacevoli tra bicchieri di te e valanghe di parole. Nei pochi momenti di silenzio gli uccelli ci deliziano con il loro canto e Werner si diverte a mostrarmi i più variopinti. Ormai sa dove hanno il nido e quando e come volano. Non sembra uno voglioso di fare a pezzi i suoi ospiti...

Quando si avvicina l’ora di cena va nell’orto, molto curato ma ancora un po’ indietro (del resto siamo in una zona montuosa e fredda). Ne torna con un sacchetto di piselli freschi che bollirà insieme a patate, carote e cipolle.
Il suo stomaco deve riabituarsi gradualmente al cibo, il mio un po’ meno ma non ha molto altro da offrirmi a parte del riso scaduto. Per fortuna ho con me una busta di risotto ai porcini e mi limito a sfruttare il cucinino, il cui impianto è difettoso e talvolta soggetto a vampate tipo mangiafuoco circense che per fortuna non si verificano mentre sono ai fornelli.
Una tisana purificante delle sue chiude questa giornata in cui eccezionalmente ho camminato poco e chiacchierato tanto.
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gran mezzo
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La vista dalla veranda di Werner
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Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

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20 giugno 2022

La mattina dopo colazione il crucco mi accompagna per un pezzo in modo da mostrarmi come accorciare il percorso, poi le nostre strade si dividono. Mentre scendo verso il fondovalle mando un messaggio all’Eco Camp di Tandzaver dove dovrei arrivare nel pomeriggio con l’intenzione di pernottare. La risalita verso Nerkin Kothanan avviene per crinale, come mi aveva mostrato Werner, ed è molto dura ma io sono fresco e per fortuna il cielo è nuvoloso. Poi si segue una carrabile che porta a Verin Kothanan, dove ci si ricongiunge con il percorso ufficiale del TCT in corrispondenza di un tratto asfaltato molto trafficato da mezzi pesanti. Noto una botteguccia e ne approfitto per comprare qualcosa da mangiare. La scelta è molto limitata e mi butto su due pastarelle industriali e del cappuccino freddo industriale. Puntualmente sebbene io tenda a parlare per primo ed in armeno, mi rispondono in russo. Credo sia quasi una forma di rispetto visto che soprattutto per i più anziani il russo era la lingua ufficiale da usare nei rapporti formali fino agli anni 80. Il problema è che io conosco la lingua di Dostoevski meno di quella di Mesrop Mashtots...
Approfitto di una panchina esterna al negozio per mangiucchiare la mia seconda colazione. E' un dehors strano: praticamente sono dentro ad una gabbia con tavolini in ferro ed impolverati dal passaggio continuo di auto e camion sulla strada prospiciente che collega Armenia ed Iran.

Riparto su un tratto molto ripido in asfalto dove riesco quasi a rivaleggiare in fatto di lentezza con i TIR iraniani. Un bimbo che sta ravanando nel fango mi vede e si illumina. Mi fa il gesto di bere e capisco che vorrebbe mi fermassi a casa sua per bere qualcosa ma lo ho appena fatto ed ho davanti a me molte ore di cammino. Abbozzo un sorriso e nel mio maccheronico armeno gli spiego che ho appena bevuto al negozio del paese. Subito dopo la traccia abbandona l’asfalto e passa su carrabile sterrata molto fangosa, una sorta di autostrada bovina si direbbe dagli inequivocabili quanto numerosi segni del passaggio di questi bovini. Incontro due boscaioli con cavallucci carichi di legna. Si chiedono e mi chiedono dove stia andando: “Davit Bek lich”. Mi dicono che la strada è in direzione opposta. Ovviamente si riferiscono alla strada asfaltata abbandonata poco fa.
Sono montanari ed immagino che conoscano i sentieri ma proprio l’idea del trekking qui è qualcosa di alieno. Gli mostro allora il “karmir janapar” la mia strada rossa sul telefonino e si illuminano.

Ad un certo punto la carrabile diventa sentiero, salvo poi immettersi in una vera e propria autostrada sebbene in costruzione. Per circa tre chilometri cammino sul fondo battuto e largo ma ancora non asfaltato. Non appena raggiungo la zona dove i lavori sono in corso è un susseguirsi di “janapar c’ka” (non c’è strada) e perdo quasi più tempo a spiegargli e mostrare loro la mia via che a camminare. Quando si abbandona la strada in costruzione per tornare sul sentiero lo trovo molto meno battuto del tratto precedente. Si scende comunque abbastanza velocemente ed agevolmente verso il laghetto Davit Bek, dove incontro alcuni pescatori arrivati lì in auto.
Dal lago il sentiero ritorna nel bosco costeggiando a lungo un ruscello ricco di pozze e cascatelle, poi me ne allontano salendo di quota. Raggiungo una zona pianeggiante dove il bosco lascia il posto a campi di erba molto alta dove a tratti mi trovo a nuotare. Parallela a me, riconoscibile per il rumore del traffico, scorre l’autostrada che va verso l’Iran. Ad un certo punto decido di concedermi gli ultimi chilometri su asfalto. Qui noto la precisione scientifica con cui i consumatori di bevande gassate le chiudono con il tappo, senza schiacciarle, prima di gettarle a bordo strada. La scura bevanda di Atlanta è la preferita per distacco dai lanciatori di plastica.

Poco prima di arrivare a Tandzaver controllo i messaggi sul cellulare: il camping è aperto e comunico al gestore che sarò lì tra pochi minuti. Lo trovo in partenza per Kapan, ma ad occuparsi di me saranno i suoi genitori: Ashot e Marinè. L’idea di questo “eco camp” è brillante, la realizzazione un po’ meno, in particolare è deficitaria la pulizia delle casette in legno a disposizione dei campeggiatori e nessuno ha tagliato l’erba intorno alle casette ed ai bagni. A questo provvede pazialmente il buon Ashot armato di felce messoria che adopera con perizia funebre... Alla pulizia della casetta provvedo io armato di scopetta.
La doccia è sporchina ma almeno c’è acqua calda grazie ad alcuni pannelli solari.
Oggi ho tenuto un ritmo molto sostenuto ed una volta docciato trascorro metà pomeriggio a riposare e pianificare le prossime tappe. Per cena verrò coccolato dalle prelibatezze, tutte a km zero, di Marine tranne la Vodka a settanta gradi, questa opera di Ashot che dapprima mi mostra l’alcolicità della bevanda dandole fuoco e poi mi intrattiene con giochi di prestigio.

Quando torno in campeggio incontro altre tre persone che sapevo essere sul TCT ma che credevo fossero più avanti rispetto a me: Ani un ragazzo indiano, Emma americana e Solveig tedesca.
Abbagliato dalle loro luci frontali scambio con loro impressioni sul percorso affrontato finora e speranze e programmi per quello che ci aspetta. I loro sei occhi hanno notato molti più serpenti di quanto abbiano fatto i miei, troppo impegnati a scrutare percorso e traccia GPS. Domani dovremmo entrambi arrivare a Tatev, uno dei monasteri più belli d’Armenia, per me il numero uno. Non lo visito dal 2009, per me ha un significato particolare e voglio arrivarvi il prima possibile per cui ho già studiato una rotta alternativa a quella del TCT, seguendo la quale arriverei a destinazione tardi e stanchissimo. La loro intenzione è di essere fedeli alla linea tracciata dai precursori.
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Le magie di Ashot...
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Fire walk with me...
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Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

21 giugno 2022

Nella casupola in legno riesco a dormire discretamente, il bucato steso sotto ad un gazebo è asciugato. Mi vesto, mangio qualcosa e sono quasi pronto a partire, così come i estemporanei compagni di avventura. Prima però facciamo sosta in casa dei gestori del camping per pagare il dovuto. Ci accolgono con offerte di te, caffè e qualche dolcetto. Trovo il conto per il camping un po’ salato (5000 dram vs i 4000 pagati al tedesco dove però avevo a disposizione un letto vero ed una casa in muratura) ma estremamente corretti i 2000 dram per la ricca cena preparatami la sera prima.
I signori ci chiedono una foto ricordo e poi partiamo tutti insieme per un tratto su asfalto. Le ragazze danno il ritmo, io ed Ani chiacchieriamo soprattutto di cibo ed alimentazione e sulle maggiori difficoltà per i vegetariani/vegani a trovare soluzioni in quest’angolo di mondo ancora profondamente carnivoro.

Arrivati al piccolo borgo di Aghvani ci separiamo. Loro prendono una sterrata che si arrampica sulla destra, io proseguo per un’altrettanto ripida scalata ma su asfalto per un altro paio di chilometri, quando al raggiungimento di un passo posso agganciare un sentiero secondario che conduce verso la mia meta di giornata. Singolare e rarissima la presenza di un cartello escursionistico direzionale che riporta perfino le distanze. Una perla il fatto che abbiano invertito le destinazioni !! Per fortuna non ho dubbio alcuno sulla direzione da seguire e mi limito a sorridere.
Purtroppo la presenza del cartello non implica che il sentiero sia battuto o segnalato ma si procede facilmente in modo intuitivo anche se controllare ossessivamente il GPS.
Per un breve tratto il sentiero passa nuovamente su asfalto, proprio in corrispondenza di una sorgente dove mi fermo a bere e sgranocchiare un po’ di frutta secca (in Armenia è buonissima).
Un auto si ferma, ne scendono padre e figlio ed ovviamente mi chiedono dove sto andando e se ho bisogno. Segue la solita espressione allibita quando rifiuto il passaggio dicendo che mi piace camminare (ies sirum em kailel).

In poche decine di metri si torna nella natura e nel bosco. Qui per fortuna il sentiero è più battuto e segnato discretamente per gli standard armeni. E’ tutta discesa e si procede spediti fino ad un pianoro da cui si inizia ad ammirare il monastero di Tatev, Ci sono alcuni ruderi ed una sorgente ma non ho bisogno di caricare acqua e mi limito ad una sosta veloce per ammirare il panorama.
Da questo punto si continua a scendere su carrabile sterrata fino a raggiungere un villaggio sperduto. Nella piazzetta del paese un minivan sta rifornendo gli abitanti di frutta e verdura o meglio di cavoli visto che non noto altro nelle borse della spesa. Il mio look e le mie gambe scoperte, bruciate dal sole e intessute di graffi, suscitano ilarità in alcune anziane signore. Forse si chiedono il perché di quell’abbigliamento ma questa volta la risposta più appropriata potrebbe essere: fatevi i cavoli vostri...

Dopo alcuni passaggi piuttosto esposti raggiungo la gola che mi separa dal monastero. Mi aspetta un lunga e faticosa ascesa, così faccio un pieno di energie. Il lavash, tipico pane armeno, grazie a Dio si conserva molto a lungo e lo abbino a del sapido formaggio locale. Le cascatelle del ruscello e l’ombra del bosco creano un atmosfera rilassante, ma dura poco. La risalita è davvero ripida ed a tratti sotto al sole del mezzogiorno. Quando però si raggiunge il primo punto panoramico, di fronte a questa fortezza della cristianità, costruita a strapiombo su un profondo canyon, l’estasi ripaga di ogni sforzo.
Nel 2009 questa località era raggiungbile solo con una strada in pessime condizioni, di cui almeno dieci chilometri non asfaltati. Oggi non solo l’asfalto porta qui carovane di turisti, ma a fare ciò pensano anche le “wings of Tatev” una spettacolare funicolare costruita sul canyon da un’impresa italiana. Noto un continuo viavai di gente e preferisco godermi per un bel po’ la vista del monastero da questo lato, dove pace, silenzio e tranquillità la fanno da padroni.

Nel primo pomeriggio raggiungo la guesthouse che avevo prenotato la sera prima.
Per fortuna la giovane figlia dei proprietari parla inglese e la conversazione è più agevole.
Inoltre Alina è impegnata anche in alcuni progetti di trekking e mi da alcune dritte per il giorno dopo. Nel tardo pomeriggio, quando iniziano ad esserci meno turisti, vado a visitare il monastero che in alcune parti è stato recentemente ristrutturato ed in altre non è più accessibile rispetto alla mia precedente visita. Esploro ogni angolo visitabile di questa struttura degna del “Nome della Rosa” e vengo colpito dall’immagine di un prete prostrato sulla tomba di un Santo ivi sepolto (Surb Grigor).

La cena in guesthouse è ottima e super abbondante. Come di consueto la maggior parte dei cibi proviene dall’orto o dagli animali da cortile, ma la cosa più strepitosa è un kompot di frutta. La caraffa sarà almeno un litro e se potessi la spremerei per berlo fino all’ultima goccia.
Dopo la cena, consumata in veranda, vengo invitato a raggiungere i padroni di casa per te/caffè a scelta ma la tavola è coperta pure di frutta sia fresca che secca e da irresistibili dolcetti.
Chiacchierando con Alina decido che domani prenderò una scorciatoia. Il percorso ufficiale del TCT è stato modificato a causa dei lavori di costruzione di una strada e la nuova versione risulta più lunga e faticosa. Decido quindi di raggiungere il primo villaggio (dalle 5 alle 7 ore di cammino) e poi da lì cercare un passaggio o un taxi fino alla città di Sisian. Da lì poi prenderò una marshrutka per bypassare un tratto di TCT ed avvicinarmi al monastero di Norvank, imperdibile. Ho già fatto trekking in quella zona, so che è molto soleggiata ed io ho già una profonda ustione sul collo. Camminando spesso con il sole alle spalle non mi ero accorto della bruciatura finché non ha iniziato ad essere davvero fastidiosa e dolorosa. Da qui innanzi coprirò infatti il collo con un asciugamano per evitare di peggiorare la situazione.
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Sosta pranzo al fresco prima della scalata finale
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Devozione profonda
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Antichi manoscritti
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Wings of Tatev...made in Italy
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Monastero di Tatev
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Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

22 giugno 2022

Dopo una ricca colazione, l’assonnata Alina provvede a prenotarmi un posto sulla Marshrutka che prenderò domani. Gesto molto gentile da parte sua. Il conto qui è davvero onesto: 7000 dram per trattamento di mezza pensione con una stanza ed un bagno a mia completa disposizione.
La mattinata inizia subito con una lunga ma non troppo ripida salita a cui segue un gradevole tratto in falsopiano in cui di tanto in tanto tra gli alberi appare la strada asfaltata che sprofonda verso il ponte del diavolo per poi inerpicarsi con mille tornanti sui fianchi della montagna in cui giace Tatev.
Poi ad un certo punto si inizia a scendere in modo deciso. In alcuni punti il fondo è sdrucciolevole ed occorre prestare attenzione nei tratti più esposti. Arrivato quasi in fondo al canyon trovo un’area sosta con tavolini e sorgente. Ne approfitto per un pieno di liquidi ed energie.

Attraverso il ruscello su un ponte in pietra che sta in piedi per miracolo e mi trovo sull’altro lato del canyon. Probabilmente di qui passava una delle tante strade sulla via della seta. Da qui sarà solo salita sotto al sole per almeno un paio d’ore. Alcuni cavalli al pascolo osservano distrattamente il mio arrancare. In assenza di alberi, di tanto in tanto mi fermo sotto a qualche cespuglio per rifiatare ma non effettuo una sosta vera e propria finché non arrivo nei pressi dei ruderi di Hin Harzis. Il villaggio è abbandonato ma posso sdraiarmi ai piedi di un enorme noce che offre un po’ di ombra e frescura. Riparto e dopo una ventina di minuti incrocio una colonna di escursionisti a cavallo. Non vale: già sono in sella e sono pure in discesa. Io devo avere un aspetto spettrale da come mi guardano. A poche centinaia di metri dal villaggio di Harzis faccio sosta all’ombra di una cappelletta e mi scolo quasi un litro d’acqua sapendo che nel villaggio potrò fare rifornimento.

La fontana del paese è una sorta di abbeveratoio quasi asciutto ma è sufficiente alle mie necessità.
Alcuni bambini incuriositi dalla mia presenza mi vengono incontro ma timidamente si limitano ad un sorriso quando li saluto. Le strade del borgo non sono asfaltate ed alcuni di loro si divertono a fare evoluzioni con la bicicletta. Un gruppetto di adulti chiacchiera a bordo di una Niva e sotto sotto spero vanamente che mi chiedano se mi serve un passaggio.
Mi metto in cammino con la volontà di prendere l’iniziativa, ossia di provare a fermare le poche auto in transito. Dopo circa un chilometro ho successo ma purtroppo chi mi carica non va a Sisian e si limita a portarmi fino all’incrocio con l’autostrada. Va detto che qui le autostrade sono “leggermente” diverse dalle nostre e talvolta vi si trovano anche mezzi agricoli o greggi.

Qui il traffico è decisamente più intenso e dopo pochi minuti di attesa vengo caricato dal van di un venditore di frutta e verdura. Anche in questo caso la sua destinazione non è Sisian e mi lascia sull’autostrada nei pressi della mia destinazione.
Mi incammino a piedi sulla strada secondaria che scende verso Sisian ed ancora una volta un’auto si ferma e mi carica senza che nemmeno io abbia il tempo di farne richiesta. Si tratta di un signore piuttosto anziano, di nome Martin. Mi chiede se mi serve un hotel e se so già dove andare. Mi propone l’hotel Basen, uno dei più conosciuti, ed accetto volentieri. Alla reception una gentilissima signora parla un ottimo inglese e forse è felice di poterlo fare visto che mi inchioda con una conversazione lunghissima. Spunto anche un prezzo nettamente inferiore a quello indicato sul più famoso sito di prenotazioni alberghiere. La camera è comoda e pulita. Sono nemmeno le tre di pomeriggio ed ho tutto il tempo per il consueto binomio doccia/bucato e per rilassarmi un po’.

Dedico la seconda parte del pomeriggio a camminare per Sisian. Non è proprio una perla turisticamente parlando, ma ha molto verde ed un parco ben tenuto nei pressi del fiume Vorotan.
Se non altro ci sono negozi e supermercati dove fare un po’ di spesa e faccio anche merenda sotto ad un grande albero nella piazza della sponda ovest della città divisa in due dal fiume.
Qui la presenza di militari è molto forte: siamo vicini al confine e c’è un piccolo eliporto militare.
L’impressione è quella di una città sonnolenta e polverosa ma tranquilla al netto di attacchi azeri.

Rientro in albergo proprio mentre si sta scatenando un temporale a tratti molto intenso.
Il bucato, che ho potuto stendere nella lavanderia dell’hotel, è quasi asciutto. Chiedo di poter mangiare qualcosa ed opto per un khorovats (BBQ) di maiale con patate ed una birra media.
Tuttavia nella hall dell’albergo è in corso uno scatenato compleanno di quindicenni con musica a volume altissimo e chiedo quindi di poter mangiare in camera. Va detto che le camere non sono nello stesso edificio del ristorante ma in palazzine a due piani separate, per cui dovrei godere sicuramente di più pace e tranquillità. Le porzioni si rivelano enormi, direi tranquillamente che avrebbe potuto sfamare due persone, e devo fare del mio meglio per mangiare tutto.

Non mi sento in colpa per aver tradito il percorso ufficiale, anzi sono felice di aver elaborato con successo un piano alternativo e spero che domani il mio tentativo di ricongiungermi con il TCT sia altrettanto vincente. Prima di addormentarmi approfitto del bollitore per una tazza di te che accompagna dei dolcetti presi nel pomeriggio.
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cottura al sangue...
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Il canyon tra Tatev e Harzis
Il canyon tra Tatev e Harzis
Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

23 giugno 2020

Nella tariffa dell’albergo è compresa una ricca colazione a buffet di cui approfitto con dissolutezza. Poi pago il conto (12000 dram la stanza, 4000 la cena) e mi dirigo verso il luogo da cui dovrebbe partire la marshrutka per Yerevan. Per le mie esigenze devo infatti prendere il mezzo che va fino alla capitale e pagarne il prezzo pieno (2300 dram) sebbene io dovrò scendere dopo nemmeno metà viaggio.
Una volta sul posto ed individuato il pulmino giusto ancora una volta mi trovo a dover combattere con gli ottusi autisti di marshrutka. Sebbene gli dica che Alina di Tatev ha prenotato un posto per un turista, ossia me medesimo, non se ne sta e mi dice che sono pieni. Provo allora a farglielo spiegare al telefono da mia moglie. A quel punto chiama il suo boss e senza nemmeno scusarsi mi dice che ho ragione.
Questa volta il mezzo se non altro è decisamente più moderno e pulito di quello per Meghri. Inoltre l’autista non è un pazzo scatenato, ha una guida delicata e posso ammirare splendidi paesaggi dal finestrino: monti dalle linee morbide coperti di verde e di una tavolozza di colori vivaci data dalle mille fioriture in corso.

Al punto concordato scendo dalla marshrutka e prendo una strada secondaria ed asfaltata che in circa tredici chilometri mi porterà al villaggio di Martiros dove riaggancerò il percorso.
Questa volta mi impongo di non ricorrere all’autostop ma tredici chilometri sotto il sole e su asfalto sono lunghi e mi dico che se qualcuno dovesse fermarsi di sua sponte mi lascerei caricare.
Purtroppo nessuno lo farà fino a tre quarti di strada, dove si trova Zaritep, un paesino intermedio, ma a quel punto decido comunque di proseguire a piedi concedendomi una sosta nel negozietto del paese.
Chiedo una cola e mi trovo ad assaggiare la Hay Cola (Hayastan significa Armenia). E’ molto più economica delle bevande famose e come gusto, leggermente amarognolo, ricorda il chinotto.
In ogni caso gli zuccheri entrano subito in circolo e riparto deciso verso Martiros. Faccio sosta pranzo con una scatoletta di tonno all’ombra di un gazebo. Si trovano spesso strutture di questo tipo lungo le strade asfaltate in Armenia. Spesso in luoghi panoramici e talvolta nei pressi di sorgenti.
Purtroppo in questo caso mancano sia il panorama che l’acqua. Questa però la trovo poche centinaia di metri dopo essermi agganciato al percorso del TCT.
Si tratta di un piccolo ruscello che richiede filtraggio dell’acqua e tempi piuttosto lunghi allietati dal volo di un numero sconvolgente di farfalle.

Da questo punto si procede su carrabile ed in salita non ripida ma costante per almeno una decina di chilometri. Purtroppo acqua ed ombra mancano completamente a parte un paio di pozze stagnanti da cui mi rifiuto di rifornirmi. L’approvigionamento idrico diventa invece agevole negli ultimi due chilometri prima di Horazis dove dovrebbe esserci una fonte e dove ho deciso di fermarmi per la notte. Qui il sentiero si fa decisamente più ripido e spesso è solcato o costeggiato da ruscelli.
Ai piedi di un pugno di edifici si trova un boschetto con una zona ideale per banchetti: panche, tavoli, addirittura una sorgente ed un improvvisato bbq. Preferisco però raggiungere gli edifici e la fonte indicata sugli appunti e faccio bene. In loco c’è vita: alcuni pastori vivono qui e noto una signora indaffarata. L’enorme cane pastore del Caucaso è alla catena e sembra piuttosto mansueto mentre cerco il punto migliore in cui piazzare la tenda.

Mentre sono alle prese con teli e picchetti la donna mi vede. Ci scambiamo gesti di saluto e poi mi raggiunge. Il mio modesto armeno è sufficiente per chiederle il permesso di dormire lì. Lei mi offre addirittura la possibilità di dormire su un letto un po’ scassato all’interno di una struttura in muratura. Capisco che lei ed il marito sono lì da un mese e che prima di me hanno visto solo un pugno di turisti. Forse è felice di vedere finalmente qualcuno e poter scambiare due parole (i precedenti escursionisti non conoscevano alcuna parola in armeno) tanto che mi invita a cenare con loro.
Da un punto di vista igienico sanitario dovrei forse accampare qualche scusa ma proprio non me la sento di dire no. Concordata la cena per le otto, mi accompagna alla sorgente ed io la aiuto a riportare indietro i boccioni d’acqua. Ovviamente in casa non hanno acqua corrente. Si tratta di una vera e propria fontanella con struttura in pietra e beccuccio di metallo: una rarità da quando sono partito. Tra i pochi edifici spicca una chiesa quasi completamente ipogea e diroccata ma piuttosto grande per essere in un pascolo a circa 2200 metri di altitudine e senza un paese vero e proprio nel raggio di chilometri.

Verso le diciannove vedo rientrare Abo, il marito, dai pascoli con la sua mandria di mucche.
Poco dopo li raggiungo per assistere alla mungitura. Purtroppo quando il pastore parla, forse perché sdentato, capisco molto meno di quando parla sua moglie Susan. Il cocktail olfattivo è molto forte in un mix di latte fresco, sudore, piscio e m.erda con la predominanza di quest’ultima.
Tra mattina e sera Susan mi dice che la mungitura di ogni vacca produce circa 10 litri di latte al giorno che loro trasformano in burro e formaggio. Poi si mette ai fornelli di una cucina buia come un antro, tanto che decide di illuminare la stanza con due torce alimentate da piccoli pannelli solari. Prepara una sorta di zuppa facendo bollire in acqua della carne in scatola e sbriciolando dentro alla brodaglia del lavash secco. Segue una specie di pasta asciutta che lei definisce plav. Sulla tavola non mancano burro, formaggio e miele tutti fatti in casa. In chiusura una tazza di latte appena munto, bollito e addolcito con miele. Sembrerà strano ma ho mangiato con gusto, piacere e tanto calore umano.
Ci salutiamo con un “bari ghisher” (buona notte) e la promessa di fare colazione insieme.
Ammiro la vallata, ed il cammino percorso, ai miei piedi mentre l’oscurità inizia a farsi fitta.
In lontananza vedo lampi minacciosi ma per fortuna qui il cielo rimarrà stellato anche a notte fonda quando dovrò alzarmi per esigenze fisiologiche.
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La vista dal mio posto tenda
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Susan alla mungitura
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la chiesetta ipogea di Horadis
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Da Martiros a Horadis, su carrabile sotto il sole
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una tavolozza da pittore...
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by psiconauta »

No, spè.......hai detto.....orsi? :-k
Cioè, O-R-S-I ? :shock:
Ma si può scegliere tra serpenti e orsi, o si prende quello che viene? :risata:
Interessante il kompot, sto provando a casa... : Thumbup : ..immagino cosa deve esserti sembrato dopo certe camminate..... :risataGrassa:
Azz, ustione notevole :diavoletto: , come te la sei passata? : Nurse :
Grazie per i racconti sempre piacevolissimi da leggere =D> : Thumbup :
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...........non seguitemi, mi sono perso anch'io !
Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

psiconauta wrote:No, spè.......hai detto.....orsi? :-k
Cioè, O-R-S-I ? :shock:
Ma si può scegliere tra serpenti e orsi, o si prende quello che viene? :risata:
Interessante il kompot, sto provando a casa... : Thumbup : ..immagino cosa deve esserti sembrato dopo certe camminate..... :risataGrassa:
Azz, ustione notevole :diavoletto: , come te la sei passata? : Nurse :
Grazie per i racconti sempre piacevolissimi da leggere =D> : Thumbup :
Eh si, i plantigradi sono piuttosto diffusi.
Uno svizzero partito poco dopo di me si è trovato a 40-50 metri da mamma orsa con cuccioli e li ha filmati.
Altri hanno postato immagini delle orme sul terreno e della loro cacca.
Io di orme ho visto solo quelle di lupo e di serpenti ne ho visti molto meno di quanto sia capitato agli altri.
Evidentemente sono piuttosto distratto quando cammino, infatti spesso canto o parlo da solo.
Si vedono anche un po' di aquile ed altri rapaci. Lungo il cammino ho visto anche l'aculeo di un istrice.
Perfino mia moglie che ha camminato una breve tappa con me ha visto le famose capre Bezoarian, una razza autoctona e selvatica. Io sembravo Aldo del trio quando gli altri continuano ad avvistare animali e lui niente...

Il kompot è un'eredità sovietica: è delizioso e rinfrescante.
Qui gli assegnano anche proprietà taumaturgiche...di solito viene somministrato in abbondanza ai malati come se fosse una medicina.

L'ustione era bella tosta. Dopo quella tappa ho iniziato ad usare un piccolo asciugamano come sciarpa per proteggere il collo. La protezione la davo, ma con il sudore, detergendosi, dura poco. Le braccia le ho salvate di più per via dei manicotti che indossavo per proteggermi dalle felci urticanti. Sulle gambe ho ancora il segno delle calze ma ho quasi sempre indossato i pantaloni lunghi, cosa per me atipica.

Grazie per il commento e per l'apprezzamento: fa sempre piacere. : Thanks :
Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

24 giugno 2022

La mia lentezza a sbaraccare la tenda ha colpito ancora. Quando arrivo nell’umile dimora dei pastori, Abo è già pronto a salire al pascolo e Susan dovrà aiutarlo. Prima però mette del latte a bollire sul fuoco ed estrae dal frigorifero un piattino, del burro, del formaggio, del lavash, del miele e della marmellata. Non mancano due uova sode come nella miglior tradizione armena. I pastori hanno anche un pollaio con galline.
Va detto che il frigo è spento, quassù non c’è elettricità, ma viene usato come dispensa.
Mi lasceranno da solo con la tavola imbandita. Sono tentato di lasciare dei soldi sul tavolo ma ho paura di offenderli perché la loro è stata un’ospitalità genuina. Susan prima di uscire mi chiede se ho un powerbank. Prenderò questo cambio di energie, alimentare vs elettrica, come una sorta di baratto, ricaricando il suo obsoleto telefonino.
Mangio volentieri sebbene rispetto alla sera prima siano presenti nella stanza nugoli di mosche che forse si sono riparate dal freddo nell’edificio durante la notte. La donna si raccomanda di non oltrepassare il crinale della montagna perché il lato opposto è sotto il tiro del nemico azero, poi ci salutiamo.

Nel tempo dedicato alla colazione non riesco a ricaricare completamente il suo telefono, ma ora la batteria è al 75% e con quei cari e vecchi "dumbphone" si va avanti per giorni . Prima di partire carico le borracce alla fontana e poi inizio una ripida salita, quasi un vertical che mi porta rapidamente a 2500 metri di altezza. Giunto sul crinale vedo in lontananza le postazioni nemiche e memore delle parole di Susan spero di allontanarmi presto da tale zona.
Così è per fortuna: le postazioni rimangono visibili ma sempre più lontane, troppo per poter essere colpiti. Per contro il sentiero è a lungo poco più di una disagevole traccia in costa finché non raggiungo un passo da dove si innesta una larga carrabile sterrata. La seguirò fino a destinazione, ci sono anche alcuni segnavia e cartelli di una pista per mtb che credo ben poco utilizzata. Da qui si fa solo discesa, camminando spediti. Un paio di chilometri prima di Gnishik si trova un grande gazebo attrezzato per mangiate che si potrebbe prestare a valida soluzione economica per la notte. Sotto alla tettoia ci sono tavoli con panche, una struttura per il khorovats (BBQ) e non manca l'acqua corrente. Non valuto la presenza di uno spiazzo ove piazzare la tenda perchè ho altri programmi.

Sono d’accordo di vedermi a Gnishik con mia moglie che ha prenotato una stanza nell’ Eco lodge del villaggio. Arrivato prima di lei non trovo l’edificio. Non è segnalato da alcuna indicazione. Chiedo ad una delle poche abitazioni dove vedo segni di vita e per fortuna è il custode della struttura.
Indubbiamente l’edificio è fatto con cura e non mi dispiacerebbe affatto vivere in una casa simile, però ci sono problemi con l’acqua calda (fornita da pannelli solari) e mancano gli asciugamani. I secondi arrivano prontamente dopo le mie rimostranze, l’acqua calda lo farà solo verso sera. Una bella struttura, gestita in modo approssimativo e con prezzi piuttosto salati. Ovviamente non la ho scelta io...ma a Gnishik non c'erano alternative, se non la tenda.

Opto per una doccia fredda ed ho tempo di sistemare un po’ le mie cose prima che arrivi Narine.
Lei ha raggiunto Yeghegnadzor in Marshrutka, poi da lì, dopo un po' di spesa è venuta qui in taxi.
Non ci sono mezzi pubblici per arrivare qui ed il taxi ci mette circa 40 minuti slalomeggiando tra le buche su una strada asfaltata, l'ultima volta probabilmente in era sovietica.
Nel pomeriggio facciamo due passi esplorando questo luogo quasi disabitato.
L'idea era quella di esplorare l'inizio della tappa di domani, ma nubi minacciose ci spingono a non allontanarci troppo dal lodge.

Entrambi pensavamo erroneamente che nel villaggio ci fosse un negozietto in cui comprare del cibo da cucinare nella cucina a disposizione degli ospiti. Rientriamo in casa giusto un attimo prima che si scateni un temporale di tipo tropicale: breve ma intensissimo.
In assenza di alternative, decidiamo di ordinare la cena al custode. Senza chiederci gusti o preferenze alimentari la moglie del suddetto, ci porterà il consueto khorovats di maiale con patate arrosto. Non siamo vegani né vegetariani, ma forse una struttura che chiede l’equivalente di 50 euro a notte (pranzi esclusi) dovrebbe prestare più attenzione a questi dettagli. Soprattutto se si pensa che in Armenia 500 euro al mese sono già un buon stipendio, spesso un miraggio, per la maggior parte della popolazione.
Ci viene anche il sospetto che ci abbiano portato gli avanzi riscaldati del loro pranzo visto che la preparazione della brace e la cottura della carne richiedono tempi piuttosto lunghi.
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La fontana di Horazis
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

25 giugno 2022

I sono considerato pignolo, al limite dei disturbi ossessivo compulsivi, ma a trovare il pelo nell’uovo, anzi nel burro questa volta è mia moglie. Un altro pelo appare tra i fogli di lavash, il pane tipico armeno.
Decidiamo di rinunciare alla cena ed alla colazione di domattina per arrangiarci con mezzi propri.
Oggi infatti raggiungeremo a piedi il monastero di Noravank e da lì via taxi torneremo a Gnishik passando per Yeghegnadzor dove si trovano negozi e supermercati.

Il sentiero dopo un primo tratto in cui l’erba è decisamente troppo alta, diventa piuttosto agevole e costeggia a lungo un torrente verso il quale si scende progressivamente di quota. Questa zona è famosa da un punto di vista naturalistico: le pareti scoscese del canyon offrono riparo a innumerevoli uccelli ma anche ad orsi ed alle leggendarie capre autoctone di razza bezoarian. Narine ne individua alcune muoversi in lontananza, io purtroppo non riesco a metterle a fuoco a causa delle loro doti mimetiche.
Nel tratto lungo il torrente capita spesso di attraversarlo ed in un paio di casi dobbiamo studiare delle varianti per evitare di bagnarci i piedi. Il cammino è però estremamente gradevole e facile anche per chi, come mia moglie, non è molto avvezzo al trekking.
Ad un certo punto mi accorgo di essere fuori traccia, dobbiamo rinculare dalla carrabile in cui ci troviamo e prendere un’invisibile deviazione che risale il fianco della montagna. Si tratta solo di un paio di passaggi difficili, poi la traccia torna visibile anche grazie ad una vegetazione molto brulla.
Si inizia quindi a salire, sotto al sole, ma davanti a noi si apre un paesaggio da favola, degno dei parchi nazionali americani: una vallata selvaggia e ripida di roccia dalle mille sfumature di rosso.
In questo scenario la fatica passa in secondo piano e abbastanza rapidamente raggiungiamo il punto da cui si inizia a scendere.

Siamo nuovamente su carrabile ed un belvedere offre una vista impagabile sul canyon e sul monastero che, costruito con le medesime pietre, risulta estremamente mimetico e che si nota più per il parcheggio ed il nastro d’asfalto che per gli edifici sacri.
C’è una tettoia con panche e ne approfittiamo per fare una frugale sosta pranzo e rilassare gambe e piedi sul tavolo, liberi da scarponi e calzerotti. Oggi è sabato ed il monastero è molto affollato.
Meglio ammirarlo a lungo da quest’angolo di pace e tranquillità.
In linea d’aria siamo forse ad un chilometro dalla nostra meta, ma dovremmo percorrerne ben di più per arrivarci. La prima parte del cammino è in discesa e per un tratto costeggia un area militare dismessa, poi intersecato l’asfalto ed attraversato un ruscello inizia il muro che conduce al monastero. Un sentiero veramente da capre, bezoarian o meno, come testimoniato dalle innumerevoli marelle sotto ai nostri piedi.

Noravank è un miracolo di architettura incastonato nel mezzo di un miracolo della natura.
Arrivarci a piedi, dopo circa sei ore di cammino, è ben più emozionante che arrivarci in auto come ci capitò tredici anni fa. Entrambi abbiamo vincoli affettivi per questo luogo e per Tatev: li visitammo in quella che si può considerare una sorta di primo appuntamento o quantomeno di prime giornate passate insieme, durante un’escursione di due giorni sotto lo sguardo vigile di mia suocera e di un’amica.
Oggi c’è molta gente e confusione, per cui al monastero sostiamo lo stretto indispensabile prima di prendere un taxi per Yeghegnadzor. Qui facciamo una ricca spesa: non solo per la cena e la colazione ma anche per i miei prossimi giorni di cammino.

Al rientro a Gnishik scopriamo di non essere più gli unici ospiti della struttura. Poco male, la compagnia sopraggiunta si rivelerà piuttosto educata e silenziosa. Anzi sulle prime furono loro ad essere un po’ sconvolti dal nostro stato fisico, dall'abbigliamento e dalla nostra urgenza di utilizzare la lavatrice. Siamo chiaramente in un posto da fighetti in salsa instagram, come testimoniato dal costo del pernottamento...
Da buoni armeni ceneranno con la consueta grigliata. Noi usiamo la cucina a disposizione per cuocere una pasta e fagioli in busta che mi ero portato dall’Italia. Non sarà il massimo ma non avevamo voglia di sbatterci a cucinare. Completiamo la cena con formaggio, insalata di pomodori e cetrioli, frutta fresca e due pezzi di carne e patate offertici dai grigliatori.
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Il sentiero che scende verso il torrente
Il sentiero che scende verso il torrente
Il monastero mimetico di Noravank
Il monastero mimetico di Noravank
Noravank dall'alto
Noravank dall'alto
Il sentiero...come al solito invisibile
Il sentiero...come al solito invisibile
Il Canyon che porta a Noravank
Il Canyon che porta a Noravank
Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

26 giugno 2022

Dopo la colazione decido di alleggerire il mio zaino e consegno a mia moglie il materiale finora poco o per nulla utilizzato e la macchina fotografica reflex. I paesaggi meriterebbero ma spesso sono così stanco che non ho voglia di tirarla fuori dallo zaino. Anzi, soprattutto all'inizio ero così occupato a non perdermi che il panorama non lo ammiravo neppure con lo sguardo. A parte ieri che era una camminata soft, la ho utilizzata così poco che non vale la pena portarmela appresso con il rischio magari di danneggiarla in occasione di qualche temporale soprattutto ora che mi appresto ad affrontare il tratto più elevato e piovoso del TCT.

Il taxista arriva puntuale. Narine scenderà a Yeghegnadzor e da lì raggiungerà Yerevan. Io resto a bordo e chiedo all’autista di fermarsi circa sei chilometri dopo il caravanserraglio di Selim (XIV sec). Di qui passava la via della seta.
Giunti al punto convenuto recupero lo zaino e pago l’autista. Nel farlo appoggio il cellulare sul tetto della vettura e me ne accorgo mentre sta già ripartendo. Per fortuna sente le mie urla o vede nello specchietto il mio gesticolare. Senza cellulare sarebbe inutile o forse suicida andare avanti, per come non è segnato il percorso.

Stando alla mia app, una carrabile dovrebbe ricongiungermi in pochi chilometri al TCT che si snoda nella parte bassa delle Geghama mountains. Si tratta di una catena di origine vulcanica in cui si transita mediamente tra i 2500 ed i 3500 metri tra pascoli, vulcani estinti e laghetti. Per giorni non si incontra alcun villaggio, nemmeno piccolo, ma solo qualche accampamento di pastori nomadi. Il clima cambia molto spesso e con grande rapidità ed imprevedibilità. L’aggancio avviene perfettamente nei pressi di Karadzi l’unico villaggio, per così dire, che incontrerò sul percorso per quasi quattro giorni.
Dopo pochi chilometri decido di tradire nuovamente il percorso originale. Dovrei infatti guadare un fiume piuttosto largo, ma soprattutto il cielo si sta rapidamente incupendo. Seguendo la carrabile su cui mi trovo dovrei attraversare alcuni accampamenti mentre seguendo il TCT non troverei nulla per quasi venti chilometri. La mia scelta si rivela azzeccata in quanto di lì a poco inizia a tuonare con insistenza finché inizia una pioggia torrenziale che subito si tramuta in una fitta grandinata.
Proprio in quel momento arrivo nei pressi di un accampamento di pastori yazidi.
Incrocio una vecchietta e le chiedo se posso rifugiarmi sotto ad una tettoia. Mentre sono lì a cercare riparo dalla tempesta, mi vede una ragazzina con il fratellino e vengono a chiedermi di prendere un caffè da loro.
Non posso fare a meno di seguirli, anche perché pure la temperatura è precipitata in pochi minuti e sto letteralmente tremando non avendo ancora avuto il tempo di indossare qualcosa di più caldo della mia t-shirt.

Attraversiamo un ampio spiazzo fangoso e recintato, poi raggiungiamo i primi modesti edifici in muratura. Solo la grande stalla sembra più moderna ed in buono stato.
Le abitazioni sono dei tuguri rabberciati con materiale di fortuna, simili ad un maglione patchwork. In pochi passi mi trovo catapultato indietro nel tempo: un interno da 1800 degno di un quadro di Induno.
Una baracca fatiscente e fasciata di teli dove, in una stanza riscaldata da una stufa alimentata a sterco di vacca, dormono almeno sei o sette persone. Due uomini sono a letto, sembrano il patriarca ed il figlio, genitore a sua volta dei ragazzini. Mi stupisco che il meno anziano non sia al pascolo ma quando si alza intuisco il motivo: è visibilmente zoppo. La ragazzina si da da fare, accende la stufa e mette a bollire l’acqua per il te o il caffe, poi si mette ad intrecciare foglie di aveluk. Si tratta di un'erba che qui ho sempre trovato in forma essiccata e che nella stagione invernale viene utilizzata per preparare corroboranti zuppe.
Infine entra anche la vegliarda di prima e mi offre del formaggio mentre fuori continua ad infuriare la tempesta.
Il vento soffia fortissimo ed i teli sul soffitto ed alla finestra sembra possano strapparsi da un momento all'altro.
Dal tubo di scarico della stufa cola dell'acqua, segno che fuori sta ancora piovendo o grandinando. Inizio a pensare che forse mi converrebbe passare la notte qui, ma non so come chiederlo e soprattutto prima voglio verificare che ci sia una struttura in grado di accogliermi.

Verso le diciassette sembra che la situazione meteo sia migliorata ma è tardi per mettermi in cammino. Sono a circa 12km dalla mia meta (Qajashen) e non sono nemmeno sicuro di trovare un riparo là. Inoltre il cielo nella mia direzione è ancora minaccioso. Cerco allora di far capire le mie intenzioni.
Dopo un conciliabolo tra i nuclei famigliari dell’accampamento, mi viene assegnato un vecchio vagone, proprio quello sotto la cui veranda mi ero fermato inizialmente. E’ piuttosto freddo ed umido, il vecchio letto in ferro battuto poi ha una rete mezza sfondata su cui poggia un tavolaccio di truciolato. Tuttavia in caso ricominciasse il mal tempo di poche ore fa ho comunque un riparo più confortevole della tenda.

Mangio qualcosa e subito dopo mi metto dentro al saccopelo per cercare di riscaldare le mie membra. Un debole segnale 3G mi consente di comunicare a mia moglie la attuale posizione (Smithavan) e le mie intenzioni per l’indomani.
Questo rallentamento infatti mi convince ad effettuare una nuova mossa alternativa per ricollegarmi più velocemente al TCT. Mentre studio il tracciato vengono a farmi visita alcuni uomini rientrati all'imbrunire dal pascolo. Vogliono sapere dove sono diretto, ma non sanno confermarmi la bontà della traccia alternativa che mostro loro sulla mia app. Fuori ha ripreso a piovere ma non sembra un fenomeno intenso e durevole. I pastori mi chiedono se ho già mangiato ed alla mia risposta "ies cherel artem" (ho già mangiato) mi invitano per un bicchiere di latte caldo domattina prima di mettermi in cammino
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La preparazione delle trecce di aveluk
La preparazione delle trecce di aveluk
I primi passi nell'altopiano delle Geghama
I primi passi nell'altopiano delle Geghama
il mio punto di partenza alternativo nei pressi di Nshkhark
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Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

27 giugno 2022

Mi sveglio presto ma i pastori sono ancora più mattinieri di me e già in piena attività.
Dallo zaino recupero il burro di arachidi ed il lavash che costituiscono il mio spuntino e la mia colazione preferita in assenza di alternative migliori. Poi esco per andare a riempire le borracce e vengo invitato a bere un po’ di “tak kat” ossia di latte caldo. Accetto volentieri, solo che io me lo immaginavo bollito, invece è semplicemente caldo di mucca, letteralmente appena munto. Immergono una tazza nel contenitore stagnato che trabocca di schiuma e me la offrono. Non me la sento di fare lo schizzinoso, il gusto ed il profumo sono ottimi tanto che chiedo un bis. La notte in quel riparo è stata piuttosto fredda e scomoda, il tepore del latte e quello della generosa ospitalità pastorale mi rincuorano. Poi mi metto in cammino.

In questo altopiano è abbastanza semplice crearsi la direzione, basta sapere dove andare e questo non è semplicissimo, ma rispetto alla mia posizione e alla traccia del GPS mi viene relativamente agevole tracciare una sorta di linea retta da seguire. Senza una traccia sul telefono invece perdersi sarebbe quasi inevitabile. Gli stessi pastori non conoscono molto bene i sentieri. Si allontanano non troppo dai loro accampamenti e quando lo fanno sono a cavallo oppure su vetuste UAZ e Lada Niva. Non manca qualche inarrestabile camion della Kamaz, uno dei quali sta arrivando a Smithavan per riempire di latte la sua cisterna.

Dopo quasi tre ore di cammino raggiungo un nuovo accampamento yazida. Mi fermo per fare il punto della situazione e capire la rotta da seguire. Un uomo di mezza età mi viene incontro ed inevitabilmente mi invita a sedere e bere qualcosa. Si chiama Vazir ed ha un anno meno di me. La moglie (immagino) con l'immancabile foulard in testa si occupa di servirci da bere e da mangiare.
Suo figlio è rimasto mutilato durante la guerra in Artsakh del 2020, lui fa questa vita da quando è adolescente. Mi chiede “che vita è mai questa?” oggettivamente ha ragione ma per confortarlo gli dico una sacrosanta verità: lui è un uomo libero in un mondo in cui la libertà è sempre più rara.
Brindiamo ripetutamente, io sorseggiando te con erbe di montagna, lui con vodka. Sulla tavola non mancano un ottimo formaggio, frutta fresca e dolcetti. La donna riempie e mi porge una borsata di albicocche e di formaggio per il resto del cammino. Sulle prime respingo la loro offerta dicendo che ho già abbastanza peso sulle spalle, ma di fronte all'insistenza di Vazir cedo, ringrazio ed accetto.
Alla vista della mia traccia, non rimane disorientato e sembra uno dei pochi pastori che abbia una buona conoscenza dei sentieri. Chiedo ed ottengo conferma sulla bontà della direzione da seguire e per un breve tratto mi accompagna, sia per tutelarmi con la sua presenza dall’aggressività dei cani pastore, sia per essere certo io prenda la direzione esatta, essendoci un paio di tracce divergenti.

Procedo a lungo quasi in linea retta, salendo rapidamente di quota. Valico un passo innevato e dopo poco riaggancio con successo il TCT continuando gradualmente a salire. Nel pomeriggio risulta più difficile trovare la rotta giusta che al mattino, dove ero libero di tracciare nell'altopiano solcato da piste da jeep.
Ora siamo davvero in alto, neppure i fuoristrada passano di qui, ci sono vette, nevai, laghi e torrenti che complicano la vita. Quando supero i tremila metri procedere diventa faticoso: mi trovo a scalare un canalone di sassi smossi. Quando sto per arrivare al punto più alto di tutto il TCT, ossia un passo appena sotto alla vetta del vulcano Azhdahak (3600mt) improvvisamente iniziano a salire nubi dal basso.
La visibilità diventa minima, perdo la traccia e mi trovo in un traverso su fondo morenico estremamente ripido e sdrucciolevole. Il sentiero dovrebbe essere poche decine di metri sotto di me, ma scendere di qui è troppo pericoloso. Torno indietro, ritrovo la traccia del sentiero ma improvvisamente si mette a grandinare proprio mentre sono ad almeno 3400 metri proprio quando l’imbrunire si avvicina.

Scendo il più velocemente possibile, ma le tracce qui si sovrappongono costringendomi a soste per verificare la direzione sul GPS che tengo al riparo sotto alla mantella costringendomi a contorsionismi per guardarlo.
Verso le diciotto raggiungo un laghetto ai piedi del vulcano. Saremo a 3200-3300 metri, fa freddo, non piove più ma il cielo è plumbeo. Sono troppo stanco per continuare e decido di piazzare qui la tenda. Il freddo mi è entrato nelle ossa e non riesco a scaldarmi neppure completamente vestito, con tanto di piumino, dentro al saccopelo estivo (temperatura di comfort 12 gradi). All’esterno siamo probabilmente intorno allo zero. Mangio le ultime albicocche e sbocconcello un po’ dell'ottimo formaggio ricevuto dai pastori. Quello che avanza decido a malincuore di gettarlo nel lago. Produce molto siero e ci manca che questo si riversi sopra ai miei vestiti di ricambio.
Non faccio nemmeno caso agli scrosci d’acqua che ogni tanto cadono dal cielo. Non c’è alcun segnale telefonico e manca pure il conforto virtuale di un contatto con mia moglie. Non resta che stringere e battere i denti fino a domattina.
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

28 giugno 2022

La notte non finisce mai, rischio quasi di soffocarmi stringendo al massimo il cordino del cappuccio del saccopelo. Non riesco a trovare una posizione calda e confortevole allo stesso tempo. Se mi rannicchio le spalle ed i fianchi si lamentano. Se dormo supino mi sembra faccia freddo. Praticamente pur essendo stato in tenda dalle sette di sera alle sei di mattina ho dormito poco e male, una serie di microsonni caratterizzati da incubi.
Il terreno bagnato e con tracce di ghiaccio mi costringe ad acrobazie per ripiegare la tenda senza sporcarla e bagnarla troppo. Parto intorno alle sette. Sul terreno nessuna traccia definita da seguire.

I primi due chilometri richiedono una costante attenzione alla traccia GPS ed un’accurata scelta dei punti in cui attraversare senza bagnarsi i piedi i mille torrentelli che scendono dai nevai delle montagne circostanti. Giungo infine al luogo in cui avrei pensato di fermarmi la sera prima: si rivela in realtà meno pittoresco del previsto e la sorgente indicata sulla mappa è in realtà un rivolo d’acqua di fusione della neve.
Da qui però il cammino si fa più agevole, al netto di alcuni facili passaggi su nevai. Ben più pericolosi sarebbero alcuni cornicioni da accumulo sotto le creste.
Quando inizio ad intravedere il lago Akna studio la mappa ed opto per tradire nuovamente il TCT che passa alla destra del lago e decido di seguire un sentiero secondario che passa a sinistra. Nella scelta sono confortato dalla vista di due escursionisti in lontananza che arrivano proprio dalla direzione prescelta. Quando ci incrociamo scopro che sono una coppia della Repubblica Ceca diretta alla sommità del vulcano Azhdahak sotto al quale ho passato una tribolata notte.
Ci scambiamo alcune informazioni sul prosieguo ma si dimenticano di dirmi che proseguendo su questo lato ad un certo punto mi troverò davanti a grossi cumuli di neve.

Quando lo scopro è troppo tardi per tornare indietro e ritornare sul TCT. Ho due possibilità: passare alto con la speranza di trovare un punto in cui la salita e la discesa su neve, senza ramponi, non sia pericolosa; oppure attraversare uno spicchio di lago sperando che l’acqua non sia troppo profonda o troppo fredda. La pigrizia mi fa optare per la seconda non appena trovo un punto che sembra prestarsi. Addirittura si vedono tracce di carrabile sull’altro lato, significa che probabilmente in estate questo tratto è guadabile dalle jeep. Indosso bermuda da running e sandali per iniziare la traversata. L’acqua è gelida ma da pure sollievo alle mie stanche gambe. Per fortuna il fondo non è fangoso e l’acqua mediamente arriva a metà polpaccio. Solo nel tratto finale devo immergermi fin oltre le ginocchia aiutandomi con i bastoncini nel valutare l’altezza dell’acqua e per non rischiare di scivolare.
Raggiunta la sponda sosto a lungo su un manufatto in cemento. Il luogo è incantevole e ne approfitto per pranzare. Una leggera brezza increspa il lago e rende più sopportabili i raggi del sole.
Il lago Akna è un lago alpino dentro al cratere di un vulcano estinto e si trova a tremila metri. E’ una destinazione tradizionale per gli escursionisti a piedi o su jeep attrezzate, che generalmente vengono qui per una giornata e talvolta vi trascorrono la notte. La popolarità è purtroppo testimoniata anche dalla presenza di alcuni rifiuti in plastica.

Da qui si continua a scendere gradualmente di quota. La discesa porta sollievo ma per contro inizio a non trovare più sorgenti o ruscelli affidabili a cui rifornirmi. Sono dotato di cannuccia filtrante ma trovo solo rivoli semiasciutti o laghetti fangosi e preferisco evitare. Scendendo di quota aumenta anche la temperatura e ricomincio a sudare parecchio, aumentando la sensazione di arsura.
Il tratto più noioso delle Geghama mi vede costeggiare per alcuni chilometri lo scavo di qualche tubatura. Se non altro mi serve da segnavia. Poi nei pressi di un alpeggio abbandonato, dove anche gli abbeveratoi sono tristemente asciutti, cambio direzione. Il cielo si rannuvola ed inizia a tuonare ma la fortuna mi assiste ed il temporale mi passa accanto.
Alle quattordici trovo un accampamento di pastori. Ormai mi sono abituato a chiedere loro assistenza: “jur ka?” (c'è acqua?). La risposta è affermativa. La donna della coppia mi porta un bicchierone che bevo con avidità, al che mi chiedono se ho delle borracce da riempire. Ho contenitori per tre litri ma quando vedo che usano acqua da un boccione in plastica capisco che non hanno una sorgente lì vicino e mi limito a farmi riempire due bottigliette da mezzo litro, altre due lo erano già, con la speranza di trovare magari altre sorgenti.

Da qui inizia a vedersi in lontananza il lago Sevan verso cui sono diretto, ma oggi non dovrei farcela a meno di non forzare le tappe ed arrivare laggiù con il buio. Preferisco evitare.
Cercherò di scendere il più possibile, senza strafare, per poi raggiungere Sevan in mattinata e godermi mezza giornata di relax.
Vengo invitato da un altro gruppo di pastori a fermarmi da loro, ma ora ho fretta di avvicinarmi al lago ed egoisticamente rifiuto. Poco più avanti incontro due escursionisti stravaccati sull’erba.
Dalle dimensioni dello zaino si direbbe che anche loro stiano facendo un trekking lungo, ma sono un po’ fuori mano e non vado a raggiungerli. Non passa manco un chilometro che vedo una mandria al pascolo sotto lo sguardo vigile di due uomini a cavallo.

Quando si accorgono della mia presenza scendono al galoppo verso di me. Si avvicinano e noto che uno di loro ha un passamontagna da rapinatore. Non mi spavento però un minimo di pensiero ad un potenziale bandito in stile film western mi passa per il cervello. Rompo il ghiaccio con un sorriso ed un saluto informale. Forse sono sorpresi che io riesca a parlare armeno, anche se poco in verità.
Quello che indossa il passamontagna avrà al massimo quattordici o quindici anni e l’altro poco di più. Mi complimento per la bellezza dei loro destrieri e loro ne sembrano molto orgogliosi, poi si chiacchiera di football quando gli dico che sono italiano. Conoscono poco il Torino, ma guadagno punti quando da buon paraculo, alla domanda “quale è il tuo calciatore preferito?” dopo una lunga riflessione rispondo “Mkitaryan”. Io torno sul cammino e loro al lavoro.

Quando trovo una piazzola ideale per sistemare la tenda decido di fermarmi. Potrei camminare benissimo ancora un’oretta ma quasi sicuramente non troverei acqua e mi stancherei visto che sono in cammino già da undici ore. E poi qui non è facile trovare uno spiazzo pianeggiante con erba bassa. Ne approfitterò anche per far asciugare tenda, saccopelo e piumino rimasti umidi dopo la notte scorsa. Purtroppo il sole fino alle diciannove è rovente. Dentro la tenda fa caldissimo e cerco riparo all’ombra del mio igloo. Purtroppo ci sono parecchie mosche e tafani.
Il telefono qui prende e ne approfitto per comunicare con mia moglie e prenotare l’ostello per domani a Sevan. Sapendomi ormai vicino alla civiltà e relativa possibilità di rifornirmi, do fondo alle scorte alimentari che avevo centellinato nei giorni scorsi.
Da qui vedo il lago Sevan e, dopo giorni di buio assoluto, le luci dei paesi di fondovalle.
A queste si aggiungeranno alcuni lampi in lontananza durante la notte.
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Il gregge del cavaliere mascherato...
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Akna, il lago per eccellenza delle Geghama
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uno dei tanti laghetti
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notte freddina a 3200 metri
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Andrea Bezimen
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

29 giugno 2022

Il temporale ha girato intorno per tutta la notte e si decide a farmi visita proprio quando sono ormai pronto a smontare la tenda. Partirò con quasi un’ora di ritardo ma la tappa di oggi è breve e facile.
Un paio di ore per scendere fino al deprimente villaggio di Lchshen e poi cinque o sei chilometri di asfalto dove magari potrei anche chiedere un passaggio.
L’unica fonte segnalata sulla traccia è tristemente asciutta. Per fortuna ieri non ho forzato per arrivare fino qui. Ormai manca poco alla civiltà e decido di bermi le ultime scorte rimaste.
La bruttura di una cava e di una discarica annunciano l’ingresso a questo triste borgo lacustre.
Per fortuna però ci sono alcuni negozietti e ne approfitto per una seconda colazione comprando dei dolcetti e quei caffè freddi industriali in bicchiere che qui vanno per la maggiore.

Un paio di auto si offrono di caricarmi senza nemmeno che io provi a chiederlo, ma ho deciso che la farò tutta a piedi. Alla periferia di Sevan la mia app suggerisce di tagliare attraverso il cimitero per arrivare all’ostello che ho prenotato e che si trova ovviamente dall’altro lato della città.
Solitamente nei cimiteri osservo le lapidi che qui sono talvolta dei capolavori: il marmo o la pietra usata in alternativa spesso sono scolpiti, quasi serigrafati, a ritrarre il defunto in scene di vita o impegnato magari in una delle sue passioni terrestri. Invariabilmente i morti in guerra vengono ritratti in uniforme e sono purtroppo moltissimi. Ora però ho fretta di arrivare in ostello per lavare me ed i vestiti dopo quattro giorni vissuti allo stato ferino.

Arrivo in perfetto orario, alle undici in punto. Una volta lavato e riposato vado a fare un po’ di spesa per il pranzo che sarà costituito da: sardine in scatola, pomodori, albicocche e l’immancabile burro di arachidi per dolce.
Non sono un amante di tale porcheria, ma il mio adorato miele in passato mi ha regalato sgradevoli sorprese filtrando all’esterno del barattolo. Il burro di arachidi è calorico e si conserva a lungo anche fuori frigo. Mi sforzo di mangiarlo anche per svuotare il barattolo e ridurre il peso nel mio zaino…
Nel pomeriggio farò spesa per la cena e per i prossimi giorni in un negozio più fornito e farò conoscenza con un ragazzo belga che lavora per la UE in Georgia e che sta trascorrendo alcuni giorni di vacanza in Armenia. Rinuncio a raggiungere la spiaggia del lago Sevan, quello che gli Armeni considerano il loro mare. Preferisco rilassarmi nella veranda dell’ostello con il Belga ed il padre del gestore che ogni tanto ci porta della frutta fresca da mangiare.

Per cena provo i magici ramen precotti. Per la serie non lo ho mai fatto ma l’ho sempre sognato.
Si tratta di ramen made in Russia peraltro con istruzioni solo in russo, kazako, armeno e georgiano. Le immagini sono però a prova di ignorante ed il gusto lo trovo perfino gradevole. Unico inconveniente ho le labbra spaccate dall’arsura e deglutire una zuppa calda e speziata si rivela un supplizio. Formaggio e frutta fresca completano la cena, che termina con l’immancabile dolcetto ed un caffè solubile.
Nel pomeriggio di relax ho studiato il percorso: domani dovrei affrontare una tappa dura e molto soleggiata per arrivare nel paesino di Semionovka dove non sembrano esserci negozi né tanto meno strutture di accoglienza. Provato dai giorni sulle Geghama decido di optare per una soluzione alternativa. Il gestore dell’ostello mi porterà in auto fino a Semionovka dove seguendo il TCT muoverò in direzione di Gosh dove ci sono guesthouse e negozietti.
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Mercato di Sevan: un raro esemplare di "pesce-gatto" :-)
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Il combustibile del futuro: fonte rinnovabile ed inesauribile...
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La cava alle porte di Lchshen
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Si scende verso il lago Sevan
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by awretus »

Hai pubblicato le prime puntate mentre ero in vacanza. Per ora ho guardato solo le figure :imbarazzo: e devo dire che i paesaggi sono di mio gusto
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

awretus wrote:Hai pubblicato le prime puntate mentre ero in vacanza. Per ora ho guardato solo le figure :imbarazzo: e devo dire che i paesaggi sono di mio gusto
Spero lo siano anche gli scritti. Tengo molto al tuo parere.
Non ti preoccupare, questo racconto non è lungo come quello balcanico e lo leggerai in un attimo
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

30 giugno 2022

Alle otto sono a Semionovka. Non è la prima volta che ci capito. Venni qui a dicembre 2019, ultimo anno dell’era pre-covid, per un evento di beneficenza. Semionovka è uno dei villaggi più freddi d’Armenia ed in inverno si arriva a -35° C. Forse per questo viene definita la lapponia armena, in ogni caso l’evento consisteva nella preparazione e consumazione di pentoloni di khash la zuppa tradizionale armena a base di zampe di mucca. Un piatto conviviale e quasi mitologico che viene solitamente servito accompagnandolo con una salsa a base di aglio ed infiniti brindisi di vodka. Per tradizione andrebbe mangiato al mattino e viene considerato un ottimo rimedio contro le sbornie.
Su suggerimento di mia moglie io ne consumai una versione eretica: pochissimo aglio, poco lavash secco sbriciolato dentro, poca vodka e tante fette di rapa cruda. Forse così risulta meno gustoso ma sicuramente più leggero e digeribile. L’incasso dell’evento era destinato a finanziare alcuni lavori di ristrutturazione della scuola all’interno della quale, nella palestra non riscaldata, si tenne il pranzo.

La temperatura oggi è decisamente più mite, sebbene frizzante per essere fine giugno. Siamo pur sempre ben oltre i 2000 metri.
Il cielo è plumbeo e minaccia pioggia mentre affronto il tratto iniziale in salita a cui segue una lunga discesa su carrabile che costeggia un impetuoso ruscello. I suoi affluenti offrono agevoli opportunità di rifornimento idrico. Talvolta l’attraversamento di questi ruscelli si rivela insidioso ed in un caso devo ricorrere ai sandali vista l’impossibilità di transitare senza marcirsi calze e scarponi.
Finalmente qui si può parlare di trekking per come lo intendiamo alle nostre latitudini.
Certo si fa fatica, occorre prestare un po’ di attenzione alla direzione da seguire ed a dove si mettono i piedi ma il fondo è agevole, la direzione piuttosto chiara, addirittura di tanto in tanto si trovano dei segnavia. Lo scenario poi ricorda quello delle nostre alpi con alternanza di boschi, ruscelli, pascoli. Non a caso il Tavush, regione in cui mi trovo ora, viene definita la Svizzera d'Armenia.

Dopo la lunga discesa, proprio quando il sentiero riprende a salire, le nubi lasciano spazio al sole ma per fortuna si cammina spesso all’ombra del bosco. Non siamo molto in alto ora, intorno ai 1800 metri, e sotto il sole che qui è molto più feroce, farebbe piuttosto caldo.
Fuori da un alpeggio impreziosito da una bandiera armena vedo due zaini da trekking. Rinuncio a chiedere ospitalità visto che ci sono già ospiti. Trovare acqua qui comunque non è un problema e le scorte di viveri le ho ripristinate ieri. Dalle finestre giungono note di musica popolare.
Poco dopo inizio a vedere funghi che nessuno raccoglie: sono soprattutto porcini ma non mancano gallette o finferli e colombine more. Spiace un sacco non raccoglierli e mi limito a fotografarli.
Ce ne sono veramente tantissimi, sebbene in gran parte camolati e marci per la troppa pioggia.

Quando raggiungo il laghetto di Gosh capisco di essere quasi arrivato e non resisto alla tentazione. Un porcino giovane, bello sano, finisce nel mio zaino, me lo mangerò più tardi in insalata in albergo.
Curiosamente qui nei negozi e nei ristoranti non ho mai visto vendere o cucinare porcini. Al mercato si trovano ceste di altri funghi che noi invece ignoriamo. Meglio così...tornerò in autunno. : Thumbup :

La mia stanza è minuscola ma non manca nulla: nemmeno un tavolino con sgabelli ed un terrazzo per far asciugare il bucato. Gosh è nella lista dei monasteri più belli d’Armenia. Non è all’altezza di Tatev o di Noravank ma custodisce al suo esterno uno dei kachkar più belli in assoluto, forse il più bello ora che Dadivank è caduto in mano azera. I kachkar sono croci scolpite nella pietra e se ne trovano a migliaia. Questo è così raffinato che sembra fatto all’uncinetto e risale al 1291.

Mentre ceno nella frescura della veranda dell’albergo, prende forma un’idea malsana.
Domani è venerdì e dovrei arrivare a Dilijan, una località ben interconnessa con Yerevan.
Se troverò porcini lungo la strada potrei raccoglierli, trascorrere il weekend nella capitale e poi ritornare indietro al lunedì per ultimare il mio trekking o semplicemente fermarmi a casa qualora fosse la pigrizia a prevalere.
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Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Ratasuira »

Io non amo leggere, anzi proprio il contrario ma questa tua avventura non so perché mi ha coinvolto e la sto seguendo con piacere

Inviato dal mio SM-G998B utilizzando Tapatalk
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

Ratasuira wrote:Io non amo leggere, anzi proprio il contrario ma questa tua avventura non so perché mi ha coinvolto e la sto seguendo con piacere

Inviato dal mio SM-G998B utilizzando Tapatalk
Ciao e grazie. Sono felice che ti faccia piacere leggere di questo mio trekking. Forse è per via del fatto che parlo di una nazione e di un popolo con una storia millenaria sebbene sia quasi sempre stato vessato da popoli confinanti più ricchi, potenti e popolosi, mantenendo e non rinnegando la propria lingua e la propria religione a costo di atroci sofferenze. Luoghi anche affascinanti da un pdv storico. Il monte Ararat è armeno per definizione sebbene sia ora in territorio turco, vederlo da yerevan così vicino e irraggiungibile e come vedere la propria anima gemella attraverso un vetro e non poterla abbracciare. La civiltà nacque in quest'angolo di mondo sotto molti punti di vista. Sebbene spolpato e smembrato il territorio armeno mantiene ancora oggi un'incredibile varietà geologica e naturalistica
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

1 luglio 2022

Esco furtivamente dall’albergo alle sei e mezza. Dentro dormono ancora tutti ma all’esterno già circolano mandrie e pastori diretti al pascolo. Un cane inizia a seguirmi a dispetto dei miei inviti a tornare a Gosh. Temo che finisca con il perdersi ma anche che magari finisca per lo stanare qualche lupo oppure un orso mettendo a rischio anche la mia incolumità.
Il tratto Gosh-Dilijan è l’autostrada del TCT. Il sentiero è così battuto e segnato che per la prima volta posso quasi scordarmi del GPS ed osservare il paesaggio con attenzione.
Ad un certo punto sento un rumore nel bosco, come temevo il cane ha stanato un animale selvatico e lo sta rincorrendo. Per fortuna è solo una volpe che quasi mi sfiora fuggendo a velocità folle.

Si attraversano splendidi boschi di faggi e querce e, come immaginavo, iniziano a spuntare funghi ad ogni passo. Come constatato già ieri, molti sono camolati e così cerco di raccogliere solo i più piccoli ed i più sani. Nella maggior parte dei casi prendo solo il cappello. Sono ancora a dieci chilometri da Dilijan che già la borsa si fa pesante. Ci sono talmente tanti funghi che posso permettermi di fare selezione quando ne trovo di nuovi, così alleggerisco un po’ il peso.
Cammino veloce perché ormai è chiaro che non proseguirò il cammino e dovrò pertanto arrivare il prima possibile a Dilijan e cercare un mezzo di trasporto per Yerevan in giornata.
Il cane continua a seguirmi, ho capito che lo farà fino in fondo, e di tanto in tanto si abbevera in uno dei mille ruscelletti che incontriamo. Io ho scorta abbondante d’acqua e poca sete. Sono in trance agonistica da porcini...

Ad un tratto inizia anche a piovere. Dilijan è una delle zone più umide d’Armenia e non si smentisce. Sta piovendo con il sole e lo fa anche in maniera piuttosto intensa tanto che devo indossare la mantellina. Quando smette sono ormai a pochi chilometri dalla mia meta e nei pressi di una fattoria incrociamo una mandria di mucche al pascolo. Il mio assistente di viaggio si mette ad abbaiare e temo possa attirare i cani pastore del proprietario ma per fortuna non arriva nessuno.
Oramai sono nei pressi della civiltà da cui mi separa una lunga discesa. Ne approfitto per fare uno spuntino e cambiarmi i vestiti in modo da essere più presentabile salendo su un taxi o un bus.
Dilijan è meta turistica tra la capitale e Tbilisi ed è una delle poche città oltre a Yerevan che offra servizi ed uno standard di vita non troppo lontano dai nostri. Per fare un esempio: ristoranti, bar e caffetterie come li intendiamo noi si trovano solo qui oltre che a Yerevan, Gyumri e Vanadzor.
Entrando nel centro abitato finisco per perdere contatto con il mio occasionale compagno di viaggio a quattro zampe. Spero che abbia ritrovato la via di casa oppure una famiglia ospitale.

A mezzogiorno e mezzo sono nella piazza da cui partono i mezzi per Yerevan.
Sto cercando un taxi collettivo del servizio GG (l’equivalente locale di Huber) quando una signora anziana mi chiede in inglese se sto cercando Gigi. Grazie signora, è proprio così e mi spetta l’ultimo posto a bordo prima che l’auto a sette posti muova in direzione della capitale.
Lo zaino viene fissato al portapacchi con una corda elastica, accompagnata dai miei timori. I funghi preferisco tenermeli tra i piedi, temendo che nel vano bagagli, reso microscopico dal bombolone del gas, vengano schiacciati da altri oggetti.

Alle 15 sono già a casa e mi occupo subito della lavatrice, nell’eventualità di riprendere il cammino tra un paio di giorni.
Festeggio il rientro con una bella spadellata di patate al funghetto, altri li impanerò, altri ancora li congelerò ma la maggior parte dovrò seccarli.
Alla domenica, di ritorno da una puntata al mercato, si presenta una fastidiosa irritazione alle vie urinarie con febbre tra 38 e 39 per tre giorni che pone fine ad ogni velleità di riprendere il cammino.
Occasionalmente soffro di questi problemi ed in più negli ultimi venti giorni ho vessato un po’ troppo il mio corpo: botte di caldo e di freddo, ho avuto sete e fame, ho bevuto dai torrenti e dalle mammelle delle mucche, ho potuto lavarmi poco. Il tutto sottoponendomi a notevoli sforzi quotidiani, stando in cammino per dieci o dodici ore con sulle spalle uno zaino tra i venti ed i venticinque chilogrammi, quasi sempre con l’assillo di non perdermi in lande disabitate ed inospitali.
Chissà, forse se avessi proseguito il cammino l’istinto di sopravvivenza e l’adrenalina mi avrebbero preservato da questo crollo fisico, ma di sicuro l’idea che avrei potuto affrontare questi problemi da solo e sui monti selvaggi (dopo Dilijan mi aspettavano altri 3-4 giorni di nulla) mi mette i brividi.
O forse a farlo è solo la febbre alta… :risata:
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il raccolto...
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il mercato di frutta e verdura a Yerevan
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by daniele64 »

=D> =D> =D> =D>
Ho seguito quotidianamente i tuoi appassionanti resoconti di questa esperienza epicamente avventurosa ... :risata: Sinceramente non so come tu possa aver fatto a portarla a termine . Io non avrei resistito due giorni in quelle condizioni , tra sentieri che non esistono , zaino pesantissimo , serpenti , guerre , scarponi rotti , zone totalmente disabitate e ... cibi esotici :risata: . Meno male che c'era abbondanza di porcini e che da quelle parti l' ospitalità è ancora una cosa sacra : Thumbup : . Comunque , confermo che è sempre un piacere leggere le tue ( dis ) avventure ... :risataGrassa:
:smt006
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

daniele64 wrote:=D> =D> =D> =D>
Ho seguito quotidianamente i tuoi appassionanti resoconti di questa esperienza epicamente avventurosa ... :risata: Sinceramente non so come tu possa aver fatto a portarla a termine . Io non avrei resistito due giorni in quelle condizioni , tra sentieri che non esistono , zaino pesantissimo , serpenti , guerre , scarponi rotti , zone totalmente disabitate e ... cibi esotici :risata: . Meno male che c'era abbondanza di porcini e che da quelle parti l' ospitalità è ancora una cosa sacra : Thumbup : . Comunque , confermo che è sempre un piacere leggere le tue ( dis ) avventure ... :risataGrassa:
:smt006
Grazie Dani.
In effetti i primi giorni sono stato davvero vicino alla resa.
Se non avessi fatto chiamare un taxi a Shishkert ed avessi proseguito salendo al monte Khustup affrontando così altri due giorni ed una notte in modalità "wild", probabilmente sarei andato in burn-out ed avrei alzato bandiera bianca. Prima di Shishkert invece non avrei potuto ritirarmi in quanto in mezzo al nulla... :risata: quindi arrivare fin lì era inevitabile
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Littletino »

Anche io mi unisco a chi già ti ha fatto i complimenti per l'avventura (in senso letterale) e per la tenacia dimostrata in circostanze così estreme in materia di trekking.
Mi rendo conto che al confronto le mie escursioni si svolgono nel parco giochi di un asilo infantile. :risata:

Anche il racconto a puntate è stato molto piacevole, con un giusto taglio di pubblicazione quotidiano sincrono allo svolgersi del trekking: ottima soluzione che ci ha resi partecipi alla tua esperienza in modo molto coinvolgente.
Ogni mattina se potevo, oppure la sera, me lo leggevo come prima cosa, restando in sospeso fino al giorno dopo su come si sarebbe evoluta l'avventura.

Un vero Feuilletton estivo di Quotazero. : Thumbup :
"Non importa quanto vai piano ... l'importante è che non ti fermi".
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

Littletino wrote:Anche io mi unisco a chi già ti ha fatto i complimenti per l'avventura (in senso letterale) e per la tenacia dimostrata in circostanze così estreme in materia di trekking.
Mi rendo conto che al confronto le mie escursioni si svolgono nel parco giochi di un asilo infantile. :risata:

Anche il racconto a puntate è stato molto piacevole, con un giusto taglio di pubblicazione quotidiano sincrono allo svolgersi del trekking: ottima soluzione che ci ha resi partecipi alla tua esperienza in modo molto coinvolgente.
Ogni mattina se potevo, oppure la sera, me lo leggevo come prima cosa, restando in sospeso fino al giorno dopo su come si sarebbe evoluta l'avventura.

Un vero Feuilletton estivo di Quotazero. : Thumbup :
Ma grazie, mi fai arrossire :imbarazzo:
Il formato "diario giornaliero a puntate" facilita sicuramente la lettura.
Personalmente dico sempre che si presta ad essere letto in bagno o prima di addomentarsi... spero non per gli effetti lassativi e/o soporiferi :risataGrassa:
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by awretus »

Durante le vacanze estive avevo rimbrottato per le pietraie malenche, ma qui siamo su un altro livello. Non sono abbastanza avventuroso per queste cose, per me sarebbe solo sofferenza pura e non mi godrei il bello. Ad ogni modo i paesaggi e le architetture mi piacciono, anche se devo dire che mi stupisce l’assenza totale di sentieri in una regione di pastori. Forse erano talmente più poveri dei nostri, da non essere neppure in grado di costruire sentieri decenti e duraturi, di cui nelle Alpi beneficiamo a quasi un secolo dall’emorragia.
Il tuo diario mi ricorda le salite lette sui primi bollettini CAI, nelle quali gli alpinisti partivano con le cartine, ma senza grandi conoscenze del terreno e delle difficoltà da affrontare.
In più qui ci sono i contatti con la gente del posto, tipica delle zone dove nessuno cammina e gli escursionisti sono bestie strane. Anche in Italia, fuori dalle Alpi, la gente del posto ti indica la strada asfaltata quando ti vede a piedi con lo zaino, perché non conosce altre vie. Mi è capitato nei pressi di Tortona, senza andare tanto lontano.
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

awretus wrote:Durante le vacanze estive avevo rimbrottato per le pietraie malenche, ma qui siamo su un altro livello. Non sono abbastanza avventuroso per queste cose, per me sarebbe solo sofferenza pura e non mi godrei il bello. Ad ogni modo i paesaggi e le architetture mi piacciono, anche se devo dire che mi stupisce l’assenza totale di sentieri in una regione di pastori. Forse erano talmente più poveri dei nostri, da non essere neppure in grado di costruire sentieri decenti e duraturi, di cui nelle Alpi beneficiamo a quasi un secolo dall’emorragia.
Il tuo diario mi ricorda le salite lette sui primi bollettini CAI, nelle quali gli alpinisti partivano con le cartine, ma senza grandi conoscenze del terreno e delle difficoltà da affrontare.
In più qui ci sono i contatti con la gente del posto, tipica delle zone dove nessuno cammina e gli escursionisti sono bestie strane. Anche in Italia, fuori dalle Alpi, la gente del posto ti indica la strada asfaltata quando ti vede a piedi con lo zaino, perché non conosce altre vie. Mi è capitato nei pressi di Tortona, senza andare tanto lontano.
Indubbiamente l'assenza di sentieri agricoli e pastorali in prima battuta ha stupito anche me.
In realtà, oltre a quello da te indicato, ci sono molti altri aspetti da considerare.
Per esempio gli armeni più che pastori erano artigiani e commercianti, nonchè considerati tra i migliori costruttori in medio oriente (difficile da credere visto che le case che si vedono ora sono mediamente orribili).
E molti di loro vivevano al di fuori degli attuali confini: metà dell'attuale Turchia, dalla Cappadocia al Caucaso, era etnicamente armena prima del genocidio del 1915 (non a caso si parla di Armenia occidentale, Ararat incluso), tantissimi vivevano in Iran, ed in vaste aree della Georgia ancora oggi la gente parla più armeno che georgiano.
Si stima che gli Armeni nel mondo siano circa dieci milioni, di cui solo due risiedono nella madrepatria. Solo una piccola parte della diaspora si è riversata negli attuali confini. Quasi tutti non erano pastori/agricoltori e si sono riversati soprattutto nella capitale ed in alcune altre città maggiori.
Il territorio ricompreso negli attuali confini era ed è in gran parte inospitale, brullo e arido, pertanto poco adatto anche all'allevamento e spesso addirittura disabitato.
Gran parte dei pascoli si trova nella regione delle Geghama: essendo un altopiano praticamente non c'è mai stata necessità di creare sentieri: ci si spostava a cavallo (ed ora in jeep) senza grossi ostacoli da aggirare.
A ciò si può aggiungere anche il periodo sovietico: settant'anni di industrializzazione ed inurbamento forzati che hanno quasi fatto sparire gli agricoltori. Le ben più fertili Ucraina, Bielorussia, Russia stessa bastavano al fabbisogno alimentare dell'URSS. Per fortuna se non altro non si sono verificate situazioni di monocoltura forzata come quelle dell'Uzbekistan e del Kazakstan (seta e cotone) con danni enormi all'ecosistema a partire dal prosciugamento di Caspio e Aral.
Questo per cercare di dare, con i miei limitati mezzi, una spiegazione storico-culturale all'assenza di sentieristica.

Riguardo alla diffidenza per chi cammina concordo: al di fuori dei sentieri battuti su Alpi o appennino, chi cammina su lunghe distanze viene quasi visto con fastidio in Italia, come un potenziale barbone o quantomeno un disadattato. In Armenia, allo stupore segue invece una maggiore ospitalità ed accoglienza.
PS: attendo sempre il racconto della via degli abati !!
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awretus
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by awretus »

Grazie per il contesto. Conosco la storia delle sole Alpi e estrapolavo erroneamente.

Quanto ai miei resoconti, ho cominciato a trascrivere gli appunti della Valmalenco, che erano più freschi. Ora devo passare a quelli degli Abati, ma la maggior parte del lavoro sarà ricostruire il contesto storico, qui fondamentale. Mi sono già procurato già qualche libro, oltre quelli che già possedevo, e altri ne dovrò recuperare, quando gli editori rientreranno dalle ferie agostane. Spero di terminare per fine settembre.
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

Può essere che la mia spiegazione sia completamente sballata...ho cercato di darmi delle risposte valutando la storia del popolo armeno (genocidio, diaspora, dominazione sovietica) ed il paesaggio (scarsamente antropizzato ed in gran parte brullo, semidesertico, freddo ed inadatto quasi ad ogni forma agricolo-pastorale).
Spero di non aver scritto troppe vaccate :imbarazzo:

Il tuo lavoro di documentazione prima dei tuoi scritti è ammirevole...e non fa altro che incrementare la voglia di leggerlo quando sarai pronto. Come ho detto, la Via degli Abati la ho nel mirino da alcuni anni.
Non richiede troppi giorni (farei da Bobbio a Pontremoli, come nell'Abbots way trail) e potrei affrontarlo in futuro durante qualche soggiorno italico.
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by awretus »

Mi hai fatto venire il tarlo. Prima o poi leggerò un libro sulla storia degli armeni, anche se non sarò mai in grado di affrontare questo trek
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

awretus wrote:Mi hai fatto venire il tarlo. Prima o poi leggerò un libro sulla storia degli armeni, anche se non sarò mai in grado di affrontare questo trek
Spezzettandolo il TCT è molto più fattibile ed inseribile in una vacanza in Armenia. Per esempio la tre giorni da Semionovka (taxi da Sevan che si raggiunge in marshrutka da yerevan) al monastero di haghartsin (16-18 km oltre il punto in cui mi son fermato) è fattibile per tutti.

Per il libro proverò a chiedere consiglio a mia moglie.
Io conosco solo la masseria delle allodole perché scritto da autrice italiana, figlia del genocidio e della diaspora
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)

Post by Andrea Bezimen »

Per chi avesse la curiosità di recarsi in Armenia, che sia per una vacanza culturale o per un trekking, segnalo che la compagnia low-cost Wizzair ha da poco inaugurato voli diretti tra Yerevan ed alcune città italiane (Milano, Roma e Venezia).
Per eventuali consigli su come muoversi, cosa vedere/fare/mangiare fatemi un fischio : Thumbup :
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