Oggi non ho avuto la stessa fortuna, nè lo stesso piacere... e la via l'ho solo assaggiata!
Esco da casa col cielo sereno (sul mare) e, ben sperando, con Cocchy ci avviamo verso Arenzano.
Ben presto però scopriamo che verso la Baiarda e il Ponente i rilievi sono tutti incappucciati. Telefono a Gecko (anche lei in autostrada diretta verso il capoluogo) e mi dice che ha notato le nuvole e assieme al suo gruppo avrebbero deciso strada facendo. Così hanno fatto e, con la brillante idea di guardare le webcam, scorto un po’ di sole oltre l’Appennino, si sono diretti a Busalla a salire la Biurca.
Io e Cocchy, privi di questo lampo di genio, piombiamo a Prariondo in pieno inverno. Il calendario sul Beigua sembra essersi fermato a Gennaio. Ci accolgono un nebbione da far paura ai fantasmi, un vento di Libeccio più simile alla Bora e una temperatura attorno ai 5 gradi ma, grazie all’effetto windchill, prossima allo zero. Granitici come non mai o
abelinati (è ancora da definire), decidiamo di osare dove non avrebbero osato neppure le aquile e proseguiamo goliardici verso la vetta del Rama e da li scendiamo verso le vie di arrampicata. Lungo la diretta incontriamo giusto qualche abelin… temerario come noi, che ci chiede ironicamente se in vetta si vede il panorama o se per caso splendesse il sole… Rispondiamo a tono che ad attenderli c’è una folla in costume ed il carretto dei gelati.
All’attacco della Mediterranea (oggi la ribattezzerei più che mai caucasica) indossiamo le scarpette e sotto la verticale della 1 lunghezza - una ripida placca, tecnica sul IV, V. – Cocchy si offre di tirare da primo. “
Vaggu mi” - u dixe - e subito u trova da giastemmà pe u freidu e perché u nu se sente in furma. Ma arriva in sosta. Salgo anch’io, le dita assorbono in breve il freddo della roccia, quantomeno abbastanza asciutta, diventando insensibili.
Fatico un po’ anch’io e capisco immediatamente che non sarà affatto un “
plaisir” questa salita.
Il secondo tiro tocca a me, devo attaccare un camino nero e bagnato, leggermente aggettante e piuttosto repellente in quelle condizioni fino ad uscirne a destra con un difficoltoso passo di V+. Metto il rinvio e provo, esco senza problemi ma con qualche pensiero perché non vedo lo spit successivo che, dispettoso, si nascondeva poco più in alto. Salgo ancora, il mio maglione rosso sembra la bandiera del mare in burrasca, ma non c’è il bagnino con il fischietto a richiamarmi alla prudenza. Salgo, anche la nebbia sale e di corsa, sembra impazzita, è bagnata e si appiccica sul mio maglione. I pensieri negativi prendono forma e si amplificano davanti al muro successivo, meno duro (V e poi IV).
Appeso ad un appiglio immagino la gente che in questo 25 Aprile ha scelto di restare con le gambe sotto al tavolo, al calduccio, oppure beatamente sdraiata su qualche spiaggia, a godere quel poco cielo sereno che la giornata aveva da offrire. Mi viene in mente anche Andrea Parodi mentre, in un fine Settembre soleggiato, si gode la via scalando con una mano sola, perchè con l’altra regge con maestria una fetta di pane e nutella e mi chiedo come mai, ancora, non ho aperto il club degli alpinesci al quale l’ambito posto di presidente mi è senz’altro riservato. Intanto il Libeccio soffia imperterrito e senza tregua tra le gole, sibilando in modo sinistro fra gli alberi e scrollandoci come fuscelli, da una parte all’altra.
Sono sempre attaccato a quell’appiglio e non mi decido a superare quel passo di V oltre lo sperone verticale; eppure l’attacco l’ho superato senza problemi ed era più difficile di questo passaggio. Ma la mia testa si rifiuta di tracciare il movimento giusto e osserva impassibile la roccia, senza alcuna logica, preferendo a quell’ambiente freddo e ostile il calore delle bianche spiagge delle Seychelles. In un istante il pensiero, correndo più veloce del Libeccio, si proietta subito dalle rugose rocce del Rama a quel delizioso arcipelago dell’Oceano Indiano, sulle tornite natiche abbronzate di splendide fanciulle, supine sui loro asciugamani, deliziosamente profumate ed unte da essenze tropicali. Cocchy da sotto mi osserva e non capisce perché io stia indugiando così a lungo. “
E’ quinto, non 7a“ - mi urla da sotto. -
La voce mi scuote dal sogno e nel riprendere coscienza, l’occhio scorge a sinistra, un solitario e malinconico chiodo, probabilmente piantato da Parodi nel tentativo di cercare una variante o nel disegnare la linea della Mediterranea, e lì poi dimenticato. Vedendo del facile, infreddolito, mi lancio sul chiodo con la stessa voracità con la quale mi sarei lanciato sulle natiche delle isolane e inizio a salire seguendo una mia logica (quella di uscire dal tiro il prima possibile). Oltre quel chiodo non trovo più niente.. la roccia è marcia ma il terreno è facile. Salgo con estrema delicatezza per non tirare niente sulla testa di Cocchy e finalmente arrivo al pino col bollo bianco, attrezzo la sosta e recupero Cocchy. Sulla terza, breve, sfilata di corda prosegue il compagno.
All’attacco della 4° lunghezza tocca di nuovo a me. E’ il famigerato passo della salamandra e questa volta rispecchia appieno il suo nome perché è viscido come l’anfibio. L’acqua scorre copiosa su tutta la placca, nera come la pece. Mi rimetto le scarpette – tolte durante l’avvicinamento fra il 3 ed il 4 tiro, e provo a salire. Al 1° spit scopro che anche la roccia alle mie spalle è bagnata .. avrei avuto bisogno di una tuta da speleo per questa scalata. Non è proprio giornata, mi ripeto. Non me la sento di affrontare il passaggio, ho perso un po’ l’entusiasmo, col vento che continua ad incalzare non riesco a concentrarmi sulla difficoltà come avrei fatto in una calda giornata di sole. Tolgo il rinvio e disarrampico fino alla base. Cocchy, stanco e infreddolito anche lui, non ha battuto ciglio e di comune accordo siamo usciti dalla via salendo sulla parte finale della via del Vecchio (freccia bianca) fino a riconquistare il sentiero.
In vetta al Rama era impossibile restare in piedi, raggiungiamo il rifugio intirizziti e per toglierci il freddo non basteranno una fetta di torta di mele bella calda e una tazza di cioccolata fumante. Riprenderemo colore solo dopo quaranta minuti d’auto col riscaldamento acceso.
Semmu proprio andaeti pe munti
a pestâ l'ægua in to mortä …