Qualche giorno fa, insieme alla cosiddetta Compagnia del Potto,
siamo andati in Antola partendo da Torriglia e ritornando ad Avosso. La spedizione, per degli escursioni della domenica come noi, è stata suddivisa in due giornate, con pernottamento al Rifugio dell’Antola.
Partenza dunque da Torriglia, presso il capolinea dell’ATP verso le nove, ma la mia giornata era cominciata ben prima essendo partito da Busalla con il treno delle 6:15, diretto a Brignole per radunare la truppa. Poco male: c’è stata una capatina in Via S. Vincenzo per comprare mezzo chilo di focaccia ancora calda.
Affrontiamo subito una bella mulattiera che una volta doveva essere una specie di autostrada dei muli, vista la cura con cui fu lastricata. Saliamo allegramente, ma i punti nel mio
carnet iniziano a diminuire (è prassi comune, nella Compagnia del Potto, togliere punti all’organizzatore, cioè io, ogni volta che c’è una salita ripida, un tratto al sole, una nuvola di mosche, una discesa ardita, un tratto nei rovi, etc.) con l’aumento della pendenza. Il sentiero procede deciso fra gruppi di belle case eleganti e punta in direzione di Donetta, ma chissà come, mi perdo i due pallini gialli e la mulattiera, sempre ben lastricata, perde quota fino ad un torrente per poi risalire. Nessuno sembra accorgersene e io tengo la cosa per me, fino a quando non sbuchiamo bel belli a Cornaro, stessa quota di Donetta, ma poco più in là. Con la disinvoltura tipica di chi è infallibile, dopo aver consultato brevemente la cartina, dico: «per di qua!» e arriviamo all’imbocco del sentiero a Donetta, dalla parte opposta del bivio...
Ricominciamo a salire, finalmente lasciandoci indietro la civiltà. La giornata non è tersa, ma il panorama dinnazi a noi si merita comunque qualche foto. Arriviamo al Passo dei Colletti, con il mezzo chilo di focaccia equamente distribuito nei nostri stomaci e ci mettiamo di buona lena ad attraversare un bel bosco di faggi ancora nella penombra del mattino. Prima nella val Pentemina, poi sul Brugneto percorriamo un bel sentiero che mi fa riguadagnare punti, essendo ormai la Compagnia del Potto rinfrescata dalla penombra e rinfrancata dalle pendenze via via sempre più dolci. Aggiriamo il monte Duso e arriviamo al cospetto della famosa Casa del Piccetto, una vecchia osteria su una delle strade più trafficate dei tempi andati. Doveva essere una sorta di autogrill dell’epoca. Saranno pure mucchi di pietre pericolanti, ma queste vecchie case isolate hanno un forte ascendente su di me. Penso alle esistenze delle persone che ci hanno vissuto con il sole, la pioggia, la neve, la siccità; quando bisognava uscire con le fiaccole di notte per paura dei lupi; quando in giro c’erano i briganti o i tedeschi a fare i rastrellamenti. E penso a tutta la fatica per tirare su quei muri di pietre, in cima ad un monte, lontani da tutto. Fosse adesso, bisognerebbe aspettare i fianziamenti della comunità europea, fare lo studio di fattibilità, l'impatto ambientale, studio dell’ecosistema, mappatura con il gps e infine numerosi viaggi con l’elicottero… e poi rifare l’intonaco pochi anni dopo l’inaugurazione (Rifugio dell’Antola docet). Bene, tutto questo per dire che case come quella del Piccetto o Teitin a Montoggio, sono ben salde nel mio cuore. Peccato che siano lasciate andare così…
Bando alle romanticherie, ripartiamo, ma per fermarci alle troppo invitanti panche al colletto delle Cianazze. Ora di pranzo, perché rimandare? La cima dell’Antola è lì da ere geologiche, saprà aspettare ancora un po’. Dal beato torpore ci scuote qualche goccia di pioggia sfuggita a nuvoloni sempre più grigi. Si rimanifesta la maledizione dell’Antola: da qualche anno è impossibile arrivare in cima senza bagnarsi o senza volare via per il vento. Arriviamo al rifugio driblando qualche sporadico gocciolone e siamo accolti dal simpatico Federico (e dal suo staff), che si ricorda della maledizione dell’Antola e già si dispera perché è ormai certo che fino al giorno dopo pioverà.
E infatti la maledizione si manifesta: ripartiamo per la cima ma ritorniamo mestamente indietro senza neanche raggiungere il sentiero su in alto perché una bella ramata d’acqua ci scola all’istante. Ma siamo tenaci: aspettiamo che si plachi la furia degli elementi e ripartiamo, giungendo in vetta accolti da una calma assoluta, fra sbuffi di nuvole, scorci di sole e accenni di panorama. E’ bella anche così l’Antola, in versione intimista.
Il soggiorno al rifugio è sempre piacevole, la cucina ottima così come l’accoglienza. Dispiace solamente venire a sapere che questa estate non è stato molto frequentato…
Facciamo conoscenza con la volpe spavalda che mendica cibo facendo finta di essere timida e dopo cena c’è pure il tempo (inteso anche come tempo meteorologico) per guardare le stelle (anche cadenti).
La mattina dopo mi alzo presto, tanto è la regola che non riesco a dormire in un letto diverso dal mio. Assieme alla fidanza assisto all’alba dalla terrazza del rifugio. L’anno scorso, proprio ad agosto ero sulla stessa terrazza insieme a due sconfortate persone, di fronte ad un muro di nebbia. Una di queste, ho scoperto poi, è Antolino.
E’ un’alba resa un po’ più drammatica delle nuvolaglie nel cielo e dalle scie di condensazione degli aerei, con la tavolozza dei colori un po’ sporcata, ma con tinte non meno emozionanti. Sul lago del Brugneto si leva un banco di nebbia che imita la forma della superficie del lago. Nel bosco si sentono i campanacci delle mucche, qualche capriolo
abbaia scocciato, alcuni passeri iniziano a perlustrare i cespugli. Solo non si vede la volpe, evidentemente andata a far colazione giù in qualche bar di fondovalle.
Radunata la truppa, ripartiamo per una giornata escursionisticamente lunga: due quadrati gialli dal rifugio fino ad Avosso. Lungi dall’imitare le performance di Immt (
viewtopic.php?f=5&t=6861&p=163931&hilit ... la#p163931) prevedo come minimo sei ore di scarpinata, soste escluse. Subdolamente ho taciuto alla Compagnia del Potto la distanza in chilometri, ma è evidente che durante la giornata il mio punteggio diminuirà notevolmente.
Fortunatamente faccio riserva di punti nella prima parte del percorso lunga la Costa della Gallina, in un bel bosco di faggi ancora immersi nella penombra. Arriviamo alla Cappella dei Bucci, altro luogo che da anni desideravo vedere e proseguiamo di buona lena, fra gruppi di mucche palesemente scettiche sul nostro arrivo a Casella in tempo per prendere l’ultimo trenino, quello delle 18:27.
Transitiamo nei boschi sopra Cerviasca, al cospetto di imponenti castagni e ci fermiamo a rendere omaggio al re: il plurisecolare castagno di Cerviasca!
Proseguiamo con un buon ritmo, ma alla discesona poco prima della Sella del Gherfo i miei punti iniziano a flettere come la borsa di Milano. Giungiamo alla Sella e non posso fare a meno di apprezzare gli onnipresenti muretti a secco, a contenere le fasce e a delimitare le proprietà e la mulattiera. Quelli che ora noi vediamo distrattamente come inutili prati una volta erano preziosi per le povere genti del posto e venivano curati meglio dei propri figli!
Il sole comincia a picchiare e a filtrare fra le foglie. I chilometri nelle gambe iniziano ad aumentare. Passiamo sotto il Liprando che il nostro unico desiderio è quello di fermarci per il pranzo. La Compagnia del Potto si sfilaccia, nessuno dice niente ma il mio punteggio inizia a calare. Entriamo a Crosi e riceviamo il benvenuto da tre cagnolini molto affettuosi. Più in là un gatto nero ci guarda altezzoso con un’espressione del tipo: «tanto quelli non mi degneranno di una coccola».
Proseguiamo oltre alla ricerca di un posto dove pranzare. Arriviamo ai Piani e ci accampiamo ai trogoli dove l’acqua fresca ci disseta ampiamente. Dopo il pranzo decido di azzardare l’immersione delle gambe nell’acqua fredda. Che sensazione piacevolissima! I piedi iniziano a pulsare, le caviglie tornano a nuova vita e i polpacci si rianimano. Vengo imitato da qualche compagno d’escursione e iniziano a diffondersi nell’aere mugolii di piacere e soddisfazione, tanto che probabilmente gli abitanti dei Piani pensavano stessimo girando un film porno.
Gambe in spalla e si riparte. Transitiamo dai Casoni di Frassinello, passiamo sopra la casa degli spiriti di Frassineto e giungiamo alla Cappella del Grisù, sul passo della Banca. Un bel posto panoramico dove ci fermiamo ancora un attimo. Da qui in poi, procediamo per inerzia, sotto un sole cocente, disarmati dalla fatica. Arriviamo al tiro a volo di Fasciou e ci trasciniamo fino a Cascinette, scendendo poi alla Cappella dell’America nei pressi della Gorra. Lì ormai siamo in preda alle visioni mistiche. Ma è con l’ultimo tratto che mi guadagno un bel N.C. esaurendo tutti i punti a mia disposizione. L’ultimo tratto in discesa per calare su Avosso è micidiale, ripidissimo. Arriviamo in vista delle case quando a spregio della nostra fatica incrociamo un pimpante ragazzo impegnato nella salita di corsa! Ma alla fine, a dispetto dello scetticismo delle vacche su alla Sella del Gherfo, giungiamo alla civiltà in tempo addirittura per prendere la corriera delle 17:15!
Finisce così una gita sicuramente estenuante per degli escursionisti inesperti come noi, ma dal mio punto divista assai gratificante. L’itinerario da Torriglia è molto piacevole e bello. Il percorso verso Avosso è molto interessante, specie nella prima parte, almeno fino ai Piani. Finalmente ho visto quel che resta della Casa del Piccetto, ho posato dinnanzi alla Cappella dei Bucci e mi sono goduto bei panorami su due valli che adoro: la Val Brevenna e la Val Pentemina.
Ora mi devo studiare qualche itinerario più
easy per rimediare lo N.C. La Compagnia del Potto non perdona!