La colpa, il diritto e l'alpe...

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amica mucca
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La colpa, il diritto e l'alpe...

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La colpa, il diritto e l’Alpe… – parte 1
(qualche riflessione di “filosofia alpina del diritto”)
di Massimo Ginesi

In principio era l’alpinismo, attività eroica praticata da pochi personaggi, considerati originali o folli; quando capitava che qualcuno si facesse assai male, o ci lasciasse le piume, si trattava invariabilmente di fatalità.

La predominante incidenza del fato è durata immutata dai primordi della frequentazione dell’alpe sino a relativamente pochi anni fa: per una sorta di codice etico non scritto, gli incidenti in montagna erano sempre ascritti a una disgrazia e a nessuno veniva in mente di andare a chiedere a un Giudice se invece di quella fatalità o disgrazia doveva trovarsi un responsabile. Anche i soccorritori e l’autorità di pubblica sicurezza, che intervenivano sul luogo del disastro, rendevano con grande frequenza relazioni di servizio che inducevano le Procure della Repubblica ad ascrivere il fatto a un evento accidentale o a quello che i giornali amano definire, con orribile espressione, “la montagna assassina”; la faccenda finiva lì, poiché il magistrato non ravvisava negli accadimenti alcuna notizia di reato.

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Oggi la situazione appare radicalmente mutata, poiché molti fattori hanno fatto sì che la montagna e le attività ad essa legate siano diventate non più appannaggio di pochi eroici “conquistatori dell’inutile” ma attività con discreta diffusione sociale: il numero dei frequentatori è cresciuto a dismisura; sono sorte diverse modalità di svolgimento delle attività connesse all’ambiente alpino, dal freeride all’eliski, ai meeting di bouldering tipo Melloblocco piuttosto che le gare di arrampicata indoor e all’aperto, sono nate centinaia di falesie con attrezzatura sistematica a cura di terzi soggetti, è sempre più diffusa la marcata commercializzazione e sportivizzazione di alcuni settori del mondo della montagna e la diffusione e pubblicizzazione – anche mediatica – di certe attività ludico/sportive/avventurose; sono sorti migliaia di corsi con appassionati che agiscono spesso sotto la direzione o la vigilanza di figure tecnicamente sovraordinate e ibride quali gli istruttori o professionali, quali le guide alpine.

Dai “conquistatori dell’inutile” si è arrivati ai “consumatori” dell’alpe, intesi come fruitori di beni e servizi che producono e muovono denaro e che comportano anche più ampia e complessa valutazione dei problemi in caso di eventi patologici connessi, sia perché quella tensione etico/morale di sessanta anni fa e legata a un mondo di pochi, che portava a considerare la montagna una sorta di terra di nessuno ove accadono disgrazie, è svanita, sia perché oggi i costi legati al soccorso e i risarcimenti che possono conseguire da eventi dannosi sono diventati un fenomeno diffuso e rilevante anche per le attività connesse alla montagna.

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Questo scritto si propone di riflettere, ad uso dei frequentatori dell’alpe, in maniera quanto meno tecnica possibile ma con stretta connessione ai cardini di diritto sottostanti, su alcuni principi generali sulla responsabilità e, in una seconda parte, di esaminare come quei principi trovino applicazione all’ambiente assai peculiare nel quale ci muoviamo, esaminando anche alcuni casi concreti finiti agli onori delle cronache negli ultimi venti anni.

In un recente post su questo blog si è discusso molto su un caso di soccorso in confronto di due cascatisti, per i quali qualcuno ha inteso adombrare la responsabilità di aver obbligato la macchina dei soccorsi a muoversi per una loro leggerezza.

E’ intuitivo che, ove quella colpa si ravvisi, ne conseguono diversi effetti in capo all’utente dell’ambiente alpino: se la macchina dei soccorsi si è mossa per sua colpa potrebbe trovarsi a pagare – a seconda delle zone – somme cospicue, se dalla sua colpa è derivata una lesione – o peggio la morte – per qualcuno, potrebbe vedersi costretto a risarcire il danno conseguente a tali eventi oltre che venire tratto a processo per risponderne davanti a un Giudice secondo le regole del diritto penale; se poi è un istruttore che sta facendo una attività che la legge riserva ad alcuni soggetti specifici potrebbe rispondere anche di altri specifici reati.

Insomma lo spirito di Giusto Gervasutti oggi si troverebbe parecchio disorientato…

Ma quali sono i criteri per stabilire se qualcuno ha colpa? e che cosa è la colpa? E come incide sulla responsabilità di un individuo?

E’ necessario esaminare alcuni passaggi del nostro ordinamento, seppur in maniera molto semplice (o semplicistica e prego i tecnici del diritto che si trovassero a leggere di non sparare sul pianista…), prescindendo per il momento dalla circostanza se il soggetto agente vesta o meno un imbrago o abbia i ramponi o le scarpette ai piedi.

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Vi sono valori che il nostro ordinamento considera di rilevanza pubblica e che tutela anche contro e oltre la disponibilità del soggetto interessato. Così è per la vita e l’integrità personale, che sono considerati beni essenziali per il sussistere di un complesso sociale organizzato (quale dovrebbe essere uno Stato…) e che quindi sono protetti dalla norma penale, che punisce chiunque leda quei beni. Quindi arrecare una ferita o uccidere qualcuno è considerato reato, a prescindere dal consenso del soggetto che li subisce, e comporta che chi li ha cagionati venga sottoposto a processo per stabilire se gli siano rimproverabili e – in caso affermativo – irrogargli una sanzione pubblica (ovvero una pena detentiva o una pena pecuniaria: quello è, in concreto, la condanna penale). Ecco perché è punito l’omicidio del consenziente ed ecco perché nei casi più gravi lo stato procede d’ufficio (cioè la Procura della Repubblica si attiva autonomamente e senza necessità di alcuna richiesta dell’interessato, quando riceve la notizia di un fatto che comporta la morte o lesioni gravi, per valutare se vi sia un responsabile e mandarlo a processo). Nei casi più lievi (ovvero reati ritenuti di minor disvalore sociale, ad esempio le lesioni lievi) la decisione se attivare la sanzione pubblica è lasciata al soggetto leso, che potrà decidere se vuole dare impulso al procedimento penale, sporgendo querela nei confronti del responsabile, oppure se intende solo vedersi risarcito in sede civile.

Aldilà della sanzione pubblica che eroga il Giudice penale (che non a caso pronuncia la condanna in nome del popolo italiano), il fatto di reato obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno nei confronti del soggetto leso e a farsi carico di ogni conseguenza dannosa derivante dal fatto stesso: questo è l’aspetto che attiene alla responsabilità civile, che può tendenzialmente essere attivata indipendentemente dagli aspetti penali e che è volta a garantire invece gli interessi privati e patrimoniali di colui che da quel fatto ha tratto un danno…

Sostanzialmente, se sono volato per trenta metri e mi sono spiaccicato al suolo perché il mio secondo mi faceva sicura con il cosiddetto otto velox (è un nostalgico degli anni ‘90) e guardava gli short della climber bionda al suo fianco e mi ha dato pure una decina di metri di lasco, e non si è accorto che ero da dieci minuti a tremare su un passaggio sprotetto e, quando la corda è andata in tensione gli si è strappata l’asola dell’imbrago perché lo aveva comprato a Fointanebleau nel 1962, ci sono serissime probabilità che il Procuratore della Repubblica non lo consideri del tutto estraneo alla vicenda e che i miei eredi gli chiedano di pagarmi per nuovo…

Ma, aldilà dei casi paradigmatici e paradossali come quello evidenziato, quali sono le categorie formali che il diritto detta per individuare le responsabilità e per stabilire se vi è una colpa o se si tratta davvero di una disgrazia?

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Saperlo, oltre che dovere di ogni cittadino visto che la legge penale non ammette ignoranza, è anche di grande interesse perché, spesso, conoscere un problema significa essere in grado di evitarlo.

Le categorie astratte del diritto individuano – a tal proposito – diversi passaggi: vi deve essere un soggetto che si definisce agente, ovvero che pone in essere una condotta; deve accadere un evento, astrattamente riconducibile a una fattispecie che l’ordinamento considera fonte di responsabilità civile o penale; e deve sussistere un nesso di causalità, che deve necessariamente legare la condotta e l’evento.

Senza addentrarci troppo nei tecnicismi ed evitando le complessità del c.d. concorso di cause (non è detto che, sempre nell’esempio sopra, c’entri solo il mio secondo, ma può darsi che quelli del tiro sopra di noi facessero cadere ogni tanto un po’ di sassi ed erba che hanno determinato la mia caduta), concetti che hanno fatto dormire sonni poco tranquilli agli studiosi di diritto penale degli ultimi cento anni, potremmo dire – semplificando – che poiché all’agente sia rimproverabile la sua condotta, questa deve porsi come elemento essenziale dell’evento, ovvero un antecedente logico e fattuale senza il quale l’evento non si sarebbe verificato.

Ovviamente la valutazione deve essere bilanciata e legata a una serie di circostanze che circoscrivano la disamina al caso concreto, sotto il profilo scientifico e statistico, perché altrimenti l’applicazione indiscriminata del principio consentirebbe di risalire all’infinito (se Adamo non avesse rubato la mela, il mio secondo non avrebbe guardato gli short, il climber sopra non avrebbe fatto cadere il sasso e io non mi sarei spiaccicato… mentre occorre comprendere se nello specifico e nel concreto un determinato apporto causale sia o meno determinante).

Non serve essere giuristi per intuire che qui sta uno dei grandi problemi del diritto applicato all’alpe: se il contesto sociale e sportivo è cambiato dai tempi di Gervasutti, l’alpe – seppur un po’ più secca e ferita – è sempre quella e, mentre ad esempio il moto dei veicoli o dei proiettili consente di rifarsi a scienze più o meno esatte, assai meno lo consente il moto dei seracchi o delle falesie.

E’ un aspetto che proveremo a esaminare, con esempi pratici, nella seconda parte.

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Non solo la condotta positiva – ovvero l’azione – può integrare il nesso causale (faccio male sicura e provoco lesioni o morte al soggetto che vola), ma anche l’omissione può essere causa (o concausa) dell’evento, quando si pone come condotta che era invece esigibile in forza degli stessi parametri (pur essendo perfettamente incolume e in grado di scendere senza pericolo, scelgo di aspettare vicino al mio compagno infortunato e il soccorso, allertato con grande ritardo, arriva quando il mio compagno è già assiderato).

Ovviamente vi è una grandissima serie di sfumature sotto questo profilo già nel normale vivere, che essendo il diritto una scienza espressa con le parole e non con i numeri consente risultati non sempre esattamente ripetibili e prevedibili, peculiarità che l’ambiente della montagna contribuisce a rendere ancora più incerte ed evanescenti e che vedono diverso rilievo a seconda delle situazioni e circostanze che possiamo trovarci a fronteggiare (guida/cliente, istruttore/allievo, accompagnamento di minori, attività sportive o d’avventura, eccetera).

Una volta stabilito che dalla mia condotta, attiva o omissiva, è derivato causalmente un evento, dovremo esaminare se quella condotta mi debba o possa essere rimproverata: ed è qui che entra in gioco l’elemento soggettivo del fatto di reato (o, più in generale, del fatto illecito).

Non è infatti sufficiente che si sia verificato un evento e che le scelte o le attività del soggetto abbiano contribuito a causarlo, ma è anche necessario che quella condotta possa essere espressione del soggetto che la pone in essere sotto il profilo psicologico; il codice penale individua tre diversi qualificazioni dell’elemento soggettivo del reato: il dolo, la colpa e la preterintenzione.

Il dolo prevede la volontarietà sia della condotta che dell’evento, la preterintenzione prevede la volontarietà solo di una parte della condotta: ti do una coltellata perché voglio ucciderti (dolo) oppure ti do una coltellata per ferirti, ma sbaglio a colpirti e ti uccido (preterintenzione). Ai fini della nostra riflessione si tratta di aspetti di poco interesse: se uccido o ferisco volontariamente una persona, sotto il profilo dell’analisi giuridica – salvo casi molto particolari – poco importa che ciò avvenga alla prima sosta di Polimago piuttosto che in piazza Duomo a Milano.

Resta invece la terza ipotesi di elemento soggettivo, ovvero la colpa in cui l’agente vuole la condotta ma non l’evento.

In tal caso il soggetto pone in essere un comportamento che sceglie ma non vuole assolutamente che accada l’evento, che invece si verifica: in tal caso si parla di colpa ovvero la condotta è imprudente (faccio ciò che non dovrei), imperita (faccio male ciò che dovrei saper far bene) o negligente (non faccio ciò che dovrei) oppure non si è attenuta a prescrizioni previste in leggi, regolamenti ordini o discipline”.

Ed è qui che casca l’asino alpino: perché se leggi, regolamenti, usi, imprudenza, negligenza e imperizia sono più facilmente declinabili in pianura, la montagna rimane un territorio in cui lo stabilire come ci si doveva comportare in un determinato contesto è faccenda di grande complessità e incertezza.

Affinché sussista responsabilità per colpa si ritiene sia sufficiente “la prevedibilità o la evitabilità del fatto”: emerge quindi un parametro complesso che oggi, a mio avviso, è ancora molto fluido (e, in alcuni casi, potenzialmente pericoloso) quando è riferito alle attività alpine, ovvero l’esigibilità del comportamento.

Per non essere considerato responsabile a titolo di colpa di un evento e quindi finire a processo ad esempio per omicidio o lesioni (alcuni reati, ovviamente, non possono essere colposi come l’esercizio abusivo di una professione) quale condotta era da me esigibile in un determinato contesto?

Appare sin d’ora evidente che l’esigibilità ha gradi e intensità diversi a seconda delle qualifiche personali e professionali del soggetto, così come del contesto nel quale si colloca.

A quali parametri potrà fare riferimento il Giudice per stabilire se sono stato adeguato e se la mia condotta in quel determinato contesto era conforme a quella astrattamente esigibile? A quali usi, prassi, norme tecniche potrà e dovrà fare riferimento? E se la colpa specifica può avere un più facile inquadramento (se il mio compagno si è schiantato perché arrampicavamo con maglie rapide che reggono 200 kg invece che con moschettoni a marchio CE ho violato una norma tecnica), come potrò valutare cosa era esigibile alle tre di notte in cima a una cascata in un determinato giorno dell’anno e in determinate condizioni?

Senza considerare che il Giudice dovrà anche valutare la sussistenza di elementi – come lo stato di necessità – che escludono la rilevanza penale di una condotta (in diritto penale si chiamano scriminanti, categoria cui appartiene anche l’adempimento di un ordine o la legittima difesa), che altrimenti sarebbe considerata reato, quando avviene in presenza di determinate situazioni: taglio la corda e provoco la caduta del compagno per salvarmi da morte certa, come nel caso emblematico di Joe Simpson sul Siula Grande o nella più recente vicenda di Isabel Suppé, narrata nel bellissimo Una notte troppo bella per morire; scendo e abbandono il compagno ferito in cima al Pilone Centrale per andare a cercare soccorsi, lui muore ma se fossi rimasto lì saremmo probabilmente morti in due; abbandono due alpinisti sul plateau sommitale del Monte Bianco per portare in salvo il mio compagno (la nota vicenda di Silvano Gheser e Walter Bonatti narrata in Natale sul Monte Bianco o l’ancor più nota tragedia del Pilone Centrale); sono un soccorritore e arrivo in ritardo – per aggirare una zona pericolosa – sul soggetto sommerso da valanga che, nel frattempo, è deceduto.

Sono tutti casi reali, a volte finiti al vaglio delle Procure o dei Tribunali, che proveremo a esaminare, insieme ad altre ipotesi legate alle attività in montagna di cui si è molto parlato anche su questo blog, nella seconda parte, provando a tracciare alcune linee di lettura di attività che non è sempre semplice ricondurre ai precetti del diritto vigente.

(continua)
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ghibli
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by ghibli »

Sono sempre più contento di non avere studiato giurisprudenza, a volte faccio fatica a sciogliere un nodo, altro che questi garbugli legali... :pensoso:
Aspetto la continuazione!
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amadablam
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by amadablam »

ghibli wrote:Sono sempre più contento di non avere studiato giurisprudenza, a volte faccio fatica a sciogliere un nodo, altro che questi garbugli legali... :pensoso:
Aspetto la continuazione!
....tempo fa...(molto) avevo dovuto, mio malgrado (come consigliere della mia sez. CAI) avere a che fare con il soccorso alpino svizzero e di conseguenza, con il servizio sanitario svizzero.....per un casino fatto da un ns socio.......premetto che il socio aveva torto..........comunque, (a parte la menata burocratica c'era scappata una salita nel Mishabel :wink: ) mi ero dovuta documentare per mediare la posizione del socio imbecille, e già a quei tempi era un ginepraio......ora la giurisprudenza in materia soccorso- montagna- responsabilità- colpa - colo grave etc...è in ulteriore evoluzione (poi i soldi a disposizione dei vari stati UE e non UE sono diminuiti, quindi...per quel che riguarda eventuale pagamento elisoccorso etc..meno welfare....)
Namaste
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Tenzin Gyatso (Dalai Lama)

Tibet libero!!!
"...ognuno di noi, da qualche parte ha il suo Everest da scalare, qualunque nome esso porti (Wanda Rutkiewicz)
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amica mucca
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by amica mucca »

Ecco la seconda parte:

La colpa, il diritto e l’Alpe… – parte 2
di Massimo Ginesi
(qualche riflessione di “filosofia alpina del diritto”)

per leggere la parte 1, vedi qui.

Abbiamo esaminato nella prima parte i principi generali della responsabilità, resta ora da vedere, sempre con un approccio per quanto possibile pratico, come quei principi trovino applicazione nel quotidiano girovagare per rocce e ghiaccio.

Conviene a tal proposito richiamare le ipotesi generali della colpa generica: ovvero una condotta imprudente (faccio ciò che non dovrei), imperita (faccio male ciò che dovrei saper far bene) o negligente (non faccio ciò che dovrei) oppure non si è attenuta a prescrizioni previste in leggi, regolamenti ordini o discipline.

E’ necessario anche far riferimento ad altri due concetti di rilievo: la posizione di garanzia e l’esigibilità.

Sono concetti più da corridoi forensi e toghe che da valli, colli alpini e ramponi, per cui fra breve proveremo a comprendere come debbano intendersi e che conseguenze comportino quando si cerca di individuare responsabilità nella pratica degli sport montani.

Vale però la pena osservare, per chi invece intende avere un approccio più tecnico-giuridico, che di recente sono uscite diverse pubblicazioni che affrontano con molta accuratezza il tema della responsabilità penale e civile nelle attività connesse all’ambiente montano (per esempio, AA.VV. La responsabilità civile e penale negli sport del turismo – Vol. I – collana la Montagna – Giappichelli, Torino, 2013).

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Abbiamo già sottolineato la peculiarità dell’ambiente in cui si svolge l’attività alpinistica, uno di quei settori (fortunatamente) sino ad oggi sfuggito – se non per episodici, esecrabili e circoscritti fenomeni – ad una normativizzazione e codificazione delle condotte (di alcuni se ne è discusso anche qui sopra, http://www.banff.it/patentino-e-guida-a ... n-abruzzo/" onclick="window.open(this.href);return false;).

Se ciò esclude per buona parte la riconducibilità a colpa specifica (ossia la violazione di norme di legge, regolamenti o usi), nella ordinaria attività non professionistica, lascia anche grandissimi interrogativi su quali confini dare a termini di negligenza, imperizia e imprudenza nella pratica di sport che si svolgono in ambienti e condizioni così peculiari.

A tali concetti si collegano, strettamente, i due presupposti che abbiamo evidenziato poco sopra ovvero l’esigibilità (cosa potevo pretendere da un determinato soggetto in una determinata situazione per non considerarlo colpevole e in base a quali parametri) e la posizione di garanzia – strettamente collegata al reato omissivo improprio previsto dall’art. 40 u.c. cod.pen. : “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” – che è riconosciuta a determinati soggetti (Stefania Rossi, Le posizioni di garanzia nell’esercizio degli sport di montagna, Diritto Penale Contemporaneo, 2013).

Chi arrivato sin qui stia per gettare la spugna per troppa giuridicità, consideri queste brevi premesse tecniche come un noioso zoccolo erboso per arrivare all’attacco. Lo zoccolo prevede ancora qualche fastidiosa e insidiosa roccetta giuridica e poi lo facciamo terminare: la Cassazione, anche di recente, ha affermato che “la responsabilità ex art. 40 c.p. “presuppone la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice violata, dalla quale deriva l’obbligo di attivarsi per la salvaguardia di quel bene; obbligo che si attualizza in ragione del perfezionarsi della c.d. situazione tipica. In presenza di tali condizioni la semplice inerzia assume significato di violazione dell’obbligo giuridico (di attivarsi per impedire l’evento) e l’esistenza di una relazione causale tra omissione ed evento apre il campo all’iscrizione penale, secondo la previsione dell’articolo 40 cpv. c.p.” Cassazione penale, sez. IV, sentenza 05/09/2013 n° 36399.

Tradotto dal linguaggio aulico e oscuro dei giudici, che significa tutto ciò per chi arrampica (a Finale Ligure come sulla Est delle Grandes Jorasses)?

Significa che in caso di incidente potremmo finire davanti a un giudice che dovrà valutare:

la mia condotta positiva, ovvero ho fatto qualcosa che ha direttamente influito sulla causazione dell’evento: ho fatto cadere sassi, ho dato corda in maniera inadeguata tirando giù il mio socio, ho tagliato il pendio e fatto cadere una valanga, ho piantato male un chiodo che si è tolto, ecc., ho messo una fila di viti in una cascata che si sbottonata integralmente al momento del volo (caso realmente accaduto);

la mia condotta omissiva, ovvero ho omesso qualcosa che invece avrei dovuto fare: non ho passato alcun chiodo sul tiro, quando il mio compagno è volato non ho messo mano al discensore con cui lo stavo assicurando ma sono rimasto inerte a guardarlo, non ho portato una pila che mi consentisse di rientrare al buio e nel vagare per tutta la cresta Kuffner al Mont Maudit nel tentativo di ritornare al Col de la Fourche il mio socio è assiderato, ecc.

La valutazione di quel Giudice dovrà poi tener conto delle caratteristiche professionali, dei titoli e della esperienza dei soggetti, delle natura della gita, del rapporto che si instaura fra i due, delle concrete condizioni in cui la vicenda si è verificata: in taluni casi la posizione di garanzia è in re ipsa ed è stringente poiché si fonda sull’affidamento di un soggetto ad altra figura preposta a svolgere un determinato compito (guida/cliente, Istruttore allievo, Maestro di Sci/allievo); in tali ipotesi oltre al fatto di reato e alla responsabilità extracontrattuale per fatto illecito può sommarsi anche la responsabilità contrattuale che nasce dal rapporto fra i due; in altre ipotesi la posizione di garanzia è più labile e tutta da verificare oppure non esiste affatto e – per tali ragioni – la situazione processuale può essere ancora più insidiosa (cordata liberamente formata ma con un compagno più esperto, due istruttori che vanno ad arrampicare insieme per diletto, gruppo di scialpinisti con un paio di componenti esperti che scelgono il percorso, ecc.).

E come fa un signore che veste tutto il giorno la toga, che passa due terzi della sua vita su uno scranno con scritto sopra alla testa “la legge è uguale per tutti” e che pensa che Peuterey sia una marca di abbigliamento e Rochers Gruber una marca di cioccolatini tedeschi a decidere se sono o meno colpevole – alla luce di quanto abbiamo appena detto – in caso di incidente in montagna?

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Poiché è assai improbabile che ne abbia scienza propria (esistono pure giudici che sono valenti alpinisti), di solito chiede lumi. A chi? A un perito nel processo penale e a un Consulente Tecnico d’ufficio in sede civile, ovvero a qualche figura qualificata che gli esponga cosa si sarebbe dovuto fare e perché nel caso che è finito al suo esame. In tale ipotesi le parti possono nominare propri consulenti di parte che affiancano il consulente nominato dal giudice e lì, di solito, inizia il parapiglia, poiché mezzi che erano nati come forma di garanzia e di contraddittorio fra le parti – per le storture, la lentezza e la farraginosità sempre più marcata di questo paese – sono diventati leve di forza non sempre equilibrata all’interno del processo.

Non servirà dire che, solitamente, queste figure sono guide alpine, militari istruttori o tecnici del soccorso, ossia figure che hanno (ho dovrebbero avere) una lata competenza specifica e professionale della materia. E non servirà dire che, spesso, per le storture evidenziate, a seconda della parte assistita, i tecnici coinvolti suggeriranno soluzioni diametralmente opposte fra loro.

E’ evidente, da quanto sin qui detto, che è salubre – per quanto possibile – evitare di frequentare qualunque struttura burocratica di questo paese come gli ospedali e i tribunali (cosa che vi dirà qualunque medico o avvocato di buon senso), ma a volte non vi è proprio scelta e allora è utile comprenderne, almeno in maniera sommaria, i meccanismi.

Come si arriva dunque fin sotto la famosa (e ottimistica) scritta sulla legge e l’uguaglianza al fine di essere valutati per la propria condotta od omissione?

Dipende dai casi. Proviamo a esaminarli singolarmente.

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La cordata o la sciata libera
E’ l’incidente che accade alla cordata o al gruppetto di sciatori (alpinisti o freerider) composto da appassionati, quando ci scappa il morto o il ferito grave, appartenente o meno al gruppo suddetto.

Si tratta di due ipotesi procedibili d’ufficio (ovvero l’autorità intervenuta farà un rapporto alla Procura della Repubblica, che dovrà valutare la sussistenza di reati in capo ai sopravvissuti) e in tali casi, a meno di evidenti e manifeste negligenze, il fatto viene ascritto dalla autorità a disgrazia. Il procuratore potrà eventualmente, ove gli agenti di polizia giudiziaria intervenuta abbiano ravvisato elementi che potrebbero dar luogo a colpevolezza (corde consumate, manovre azzardate, condotte omissive evidenti) incaricare un tecnico che valuti la condotta dei soggetti coinvolti per comprendere se sussistano quei requisiti di prudenza, perizia e diligenza che escludano la sussistenza della colpa.

Tali indagini diventano spesso più combattute quando a dare impulso al procedimento vengono coinvolte le persone offese dal reato, ovvero il danneggiato o gli eredi del soggetto che ha avuto la peggio, che hanno facoltà di intervenire nel procedimento adducendo ulteriori elementi di prova e di sollecitazione delle indagini, magari suffragati da un tecnico di parte.

Il dolore e il denaro sono, purtroppo, due fra i peggiori consiglieri dell’animo umano e spesso spingono a cercare nella giustizia umana una ragione e una consolazione per eventi difficili da accettare.

Va opportunamente sottolineato che, nel caso di soggetti che stanno liberamente svolgendo attività ludico ricreativa (alpinismo, arrampicata, sci, ecc.), il giudice dovrà attenersi ad una valutazione della condotta di costoro rapportandola a quella che si dovrebbe pretendere da un alpinista di media capacità, per arrivare a capire se qualcuno dei soggetti coinvolti è sceso sotto quella soglia e ha integrato gli estremi della imprudenza, imperizia o negligenza.

Chiederà quindi a un esperto che cosa è successo e cosa invece si sarebbe dovuto fare affinché l’evento non si verificasse. Non servirà spendere molte parole per comprendere che questo giudizio a posteriori, ma fatto con prognosi ex ante (così dicono i giuristi, ovvero il tecnico deve immaginarsi nella situazione concreta e- seppur a posteriori – deve esprimere una valutazione su cosa avrebbe dovuto prevedere e fare colui che si trovava di fronte a un determinato contesto), è spesso impossibile da rendere in vicende di montagna.

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Le variabili in gioco (climatiche, emotive, tecniche) sono tali e tante che è assai improbabile che da quel giudizio esca una giustizia: un conto è stabilire mediante una consulenza quali sono le tegole più adatte a non far entrare acqua in un tetto o che misura dovevano avere i piloni per non far crollare il viadotto e un conto è stabilire cosa si doveva fare un certo venerdì alle ore 17.30 dopo dodici ore di arrampicata in mezzo alla bufera sulla Colton-McIntyre alle Grandes Jorasses.

Il caso della guida francese morta qualche anno fa insieme alla cliente poco sotto la vetta delle Grandes Jorasses lungo la normale dopo aver salito il Linceul è emblematico: la morte di entrambi ha evitato l’apertura del procedimento ma – posto che era plausibilmente ravvisabile una colpa della guida nell’aver scelto una finestra di sereno troppo breve sapendo di aver maltempo in arrivo già dalla sera – chi avrebbe poi potuto sindacare e decidere le scelte successive che hanno indotto i due a fermarsi al riparo di un sasso dove sono morti assiderati?

L’uomo (o l’alpinista) della strada risponderebbe al giudice e al CTU “vai, prova e poi dicci cosa avresti fatto tu”. E probabilmente non avrebbe, sotto il profilo pratico, etico e morale, neanche tutti torti.

Resta il fatto che il processo è una approssimazione che deve pervenire alla applicazione di un precetto sanzionatorio o alla emissione di una sentenza di condanna sulla base di una ricostruzione storico-fattuale in base a elementi acquisiti a posteriori e che, pertanto, deve basarsi su una serie di meccanismi istruttori che, per loro natura, non danno risultati esatti (tant’è che si sono spese infinite parole sulla verità processuale e la verità storica), che in molti casi sono ben lungi dal coincidere . I risultati sono ancor più imprevedibili e aleatori se si parla di accadimenti alpini, perché per quanto il perito nominato dal giudice sia saggio e conscio delle dinamiche delle diverse discipline, non potrà che trasferire una componente di ipoteticità e soggettività nella propria relazione per fattori che appaiono intuitivi a chiunque abbia frequentato la montagna in maniera meno che occasionale e che attengono alla scarsa riproducibilità di luoghi ambienti e situazioni in concreto accadute e ancor più variamente percepite.

Uno dei primi casi che arrivarono in Tribunale nei primissimi anni ‘80, per un incidente di questo tipo, accadde sul Pilone Centrale del Frêney dove due forti e giovani alpinisti si trovarono coinvolti in un incidente, in tempi ante telefonini; quello rimasto illeso lasciò il compagno a una sosta e scese a cercare soccorso che, purtroppo, arrivò tardi. I genitori dell’alpinista ferito e poi deceduto chiesero al giudice di valutare se la condotta del sopravvissuto era esente da responsabilità penale; il provvedimento dell’autorità giudiziaria fu nel senso di escludere ogni tipo di illeceità, alla luce del contesto, della assenza di nesso causale (se l’agente avesse posto in essere la condotta richiesta, l’evento sarebbe stato evitato?) e della situazione peculiare di grande complessità ambientale e tecnica. Ovvero il soggetto ferito sarebbe comunque probabilmente deceduto anche se il compagno fosse restato con lui e l’attesa dei soccorsi avrebbe pregiudicato anche le sue possibilità di salvezza né era esigibile, in quel contesto, una condotta diversa.

Sotto il profilo delle responsabilità, il caso del gruppo di liberi battitori – siano essi alpinisti, sciatori o climber – rappresenta l’ipotesi giuridicamente meno complessa, seppur suscettibile di infinite sfumature valutazione: il concetto di esigibilità dovrà essere valutato alla luce della esperienza dei soggetti coinvolti, della situazione concreta, del concorrere di situazioni di emergenza, della presenza di un leader di fatto della cordata (possiamo anche essere una cordata di libera formazione ma se – per mera ipotesi – il mio socio è Chris Sharma piuttosto che Ueli Steck – la valutazione del Giudice non potrà non tener conto di tutto ciò e di quello che era esigibile e medio per me e per loro). Il ragionamento vale, mutatis mutandis, anche per le altre discipline alpine.

Pensiamo alla grande tragedia del Frêney del 1961 che, per l’eccezionalità degli eventi (e, forse, anche per quell’aura di etica alpina cui si faceva riferimento nella prima parte) non condusse ad alcun procedimento, ma che può essere esemplificativa della fluidità delle valutazioni in questo campo: Walter Bonatti era all’epoca guida e valentissimo alpinista, Roberto Gallieni era abitualmente cliente di Bonatti seppur con un curriculum di grande valore e Andrea Oggioni era un fortissimo non professionista. Se un giudice volesse perdersi a comprendere chi doveva garantire chi e quali erano le condotte esigibili avrebbe da riflettere per tre vite…

ColpaDirittoAlpe-2-giudice giustizia vignetta 2

La posizione tipica dell’affidamento – Guida, Maestro, Istruttore
La materia è sterminata e la trattazione sarà necessariamente sintetica e assai schematica. I puristi del diritto sono pregati di non scandalizzarsi.

I meccanismi di valutazione generali del nesso di causalità e di valutazione delle condotte – nel loro apporto alla verificazione del fatto – sono identici al caso che precede.

Cambiano tuttavia – totalmente – i parametri di valutazione del Giudice relativamente alla caratteristiche della esigibilità che devo ritenere esigibile dal professionista o dal titolato.

In tali casi “le fattispecie penali più frequentemente ascritte alla guida alpina, all’istruttore-accompagnatore CAI. e al capo gita (vale a dire omicidio colposo e lesioni colpose) si strutturano secondo il modello del reato omissivo improprio: l’addebito di responsabilità si sostanzia, infatti, nel non aver impedito un evento che si aveva l’obbligo giuridico di scongiurare. Ciò deriva dal fatto che nell’accompagnamento in montagna si rinviene un peculiare rapporto di “affidamento” tra accompagnato ed accompagnatore, che ingenera in quest’ultimo una posizione di garanzia rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 40 c. 2 c.p. In realtà, sul punto, occorre distinguere tra accompagnamento professionale, esercitato notoriamente dalla guida alpina, e accompagnamento non professionale (associazionistico o volontario) che si manifesta in molteplici forme (accompagnatori/istruttori CAI qualificati, capogita, accompagnatore occasionale). Il principio di affidamento è, infatti, molto più marcato nel caso in cui l’accompagnamento venga svolto da una guida alpina o da un istruttore CAI ed è, per contro, sostanzialmente escluso se si tratta di un accompagnatore per amicizia o cortesia; diversamente, nel caso del capo gita, la quota di responsabilità che l’escursionista potrà dirottare sull’accompagnatore, pur sussistendo, sarà di gran lunga inferiore, poiché egli non ha a che fare con un garante professionista” (S. Rossi. op.cit.).

Che significa tutto ciò? Che nella valutazione della condotta del professionista il Giudice dovrà informarsi non già alla condotta esigibile dall’alpinista medio nello specifico contesto in cui è accaduto il fatto, ma alla miglior scienza ed esperienza del settore, secondo i principi della responsabilità professionale (principalmente elaborati dalla giurisprudenza con riferimento alla responsabilità medica).

In caso di evento dannoso (alla cordata, così come cagionato a terzi) si dovrà ritenere che al professionista o al titolato incombessero oneri specifici e precisi di prevedere dinamiche e condotte volte alla salvaguardia propria e dell’accompagnato, con una rapporto tipico di direzione in capo all’uno e di subordinazione in capo all’altro per quanto attiene alle scelte e alle iniziative, senza che – per questo – non residui in capo al cliente/allievo un obbligo di diligenza generica media.

In sostanza significa che per andare esenti da colpa la guida o l’istruttore dovranno dimostrare che hanno fatto tutto il possibile alla luce della situazione concreta, secondo lo stato della propria formazione professionale o tecnica, delle condizioni ambientali, dell’applicazione delle migliori scelte tecniche ed esperienziali con riferimento a quella casistica (ho scelto il Prusik o il Marchand, ho preferito scendere di conserva piuttosto che assicurato, ho fatto mettere il casco/ l’imbrago/ i ramponi al cliente/allievo, gli ho fato o meno metterei i coltelli oltre alle pelli di foca) per comprendere se in quella determinata situazione era da parte della guida evitabile e prevedibile quell’infortunio. In tal senso va osservato che le rare pronunce dei giudici sono assai rigide: con riferimento a un caso in cui la guida aveva condotto dei clienti a una gita di scialpinismo e costoro erano periti sotto una valanga la corte ha ritenuto assai rigidamente che era compito della guida prevedere il pericolo (per la natura del terreno ripido, scistoso e senza alberi e per le condizioni della neve): “La guida alpina ha l’obbligo di vigilanza sugli allievi, gli insegnanti sono tenuti a vigilare sull’incolumità degli allievi nel periodo in cui si esercitano sotto la loro guida (Cass. pen. sez.IV, 19 febbraio 1991; Trib. Torino, 28 maggio 1994)”.

ColpaDirittoAlpe-2-giudice_di_pace
Altra ipotesi più recente riguarda la guida condannata per omicidio colposo di un ragazzo morto lungo un torrente durante un’escursione organizzata, in cui il giudice ha ritenuto che la guida non avesse sufficientemente informato e vigilato sui propri accompagnati sì da prevenire eventuali comportamenti anche imprudenti o imperiti degli stessi (Cassazione, Sez. IV, sentenza 24 marzo 2003, n. 13323).

In tali ipotesi gioca un ruolo fondamentale l’affidamento e la competenza tecnica attestata dalla qualifica del soggetto agente: altro caso arrivato nelle aule di giustizia riguarda l’ipotesi di un istruttore che, lungo un tiro in forte diagonale, aveva passato solo due rinvii, facendo salire i due allievi contemporaneamente a pochi metri di distanza l’uno dall’altro (uno dei quali senza casco), i quali sono volati a metà tiro riportando l’uno la morte e l’altro gravi lesioni.

Se per le guide alpine quanto sin qui rappresentato ritengo costituisca pane quotidiano di riflessione, forse coloro che svolgono ruolo da istruttore non sempre hanno ben chiare le responsabilità che assumono e i guai grossissimi che rischiano quando si avventurano per montagne e falesie nelle allegre brigate dei corsi. Per la mia personale esperienza (da istruttore di alpinismo e tecnico di elisoccorso durata molti anni e oggi felicemente conclusa) non posso che far proprio il motto di un caro amico guida e fortissimo alpinista “in fondo in rapporto alle porcherie che si vedono fare per monti si verificano davvero pochissimi incidenti” (e potremmo aggiungere – per maggior fortuna – ancor meno processi…).

Ometto di affrontare tutte le problematiche, che pure sono state sviscerate dalla giurisprudenza, sull’esercizio di attività pericolosa, sulla responsabilità contrattuale nel rapporto negoziale fra guida/cliente e istruttore/scuola/allievo e quelle relative alla responsabilità penale per esercizio abusivo della professione contestata a due istruttori che accompagnavano allievi perché ci porterebbero troppo lontano e complicherebbero vieppiù l’esposizione.

Resta ancora da sottolineare che l’affidamento è presunto ove la prestazione titolata si svolga in maniera istituzionale (ossia si tratti di rapporto guida/cliente o istruttore/allievo che originano da contratto), mentre non sussiste necessariamente invece ove la gita o la salita si svolga tra persone che annoverano anche esperti non titolati: anche se c’è l’amico bravo che decide dove passare o guida il gruppo, costui non assume automaticamente una posizione di garanzia nei confronti degli accompagnati. In un caso, arrivato alle aule di giustizia, un gruppo di scialpinisti è rimasto travolto da una valanga e il giudice è chiamato a verificare sia la responsabilità penale per omicidio colposo di colui che ha staccato con la propria condotta imprudente (attraversamento del pendio) la valanga sia la concorrente responsabilità omissiva dell’esperto e anziano del gruppo che si ipotizzava – in virtù di tali caratteristiche – avesse assunto un obbligo di protezione e garanzia nei confronti degli altri e, per tale ragione, ne era stato chiesto dalla procura il rinvio a giudizio.

Si è già accennato che un accadimento può anche derivare da una serie di concause e, quindi, possono anche essere diversi i soggetti responsabili e le cui distinte condotte concorrono alla causazione dell’evento (nel caso di specie, secondo la ricostruzione della procura, aveva contribuito alla morte dei travolti dalla massa nevosa sia la condotta di colui che ne aveva materialmente causato il distacco sia quella omissiva di colui che non aveva previsto – in virtù delle sue conoscenze ed esperienza – la possibilità che si verificasse tale distacco passando in quel luogo). In tale ipotesi il giudice, mentre ha ritenuto sussistente la responsabilità dello scialpinista che ha concretamente staccato la valanga, ha ritenuto che non sussistesse posizione di garanzia del componente esperto poiché “per l’assunzione di una posizione di garanzia, non basta essere il più esperto di un gruppo di escursionisti. È necessario che il soggetto abbia assunto, anche tacitamente, l’incarico di guidare il gruppo, mettendo a disposizione le sue conoscenze e le sue capacità, e che i componenti del gruppo, trovandosi in una situazione di inesperienza e di incapacità rispetto all’attività intrapresa, abbiano deciso di svolgere quell’attività proprio per la presenza di una persona capace al loro fianco, cui si sono affidati, conferendogli poteri di guida, cura e direzione” (Giudice Udienza Preliminare Tribunale di Sondrio, 10 marzo 2005): nel caso di specie si era concretamente accertato che ciò non fosse accaduto.

Corte Suprema di Cassazione - Lettura della sentenza Mediaset
Vi sono ancora ipotesi in cui invece l’affidamento e la protezione del soggetto sono assoluti e vi è una presunzione totale di responsabilità del soggetto affidatario, come nell’accompagnamento di minori. Più volte i giudici hanno motivato le loro condanne facendo riferimento alla norma che prevede in capo al genitore, o all’insegnante per il periodo in cui il minore gli è affidato, la totale responsabilità per i danni cagionati dal minore stesso salvo che si provi di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (art. 2048 cod.civ.: Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto).

Nell’ambito della montagna tale disposizione è stata applicata spesso dai giudici alla disciplina dello sci, ove in capo al maestro che accompagna ragazzini quel non aver potuto impedire l’evento è stato inteso come un preciso dovere di controllare tutto ciò che non si può pretendere che un minore arrivi a verificare da sé, per quanto sia bravo ed esperto nella disciplina (Trib. Trento, Sez. distaccata Tione, 15 giugno 2001, n. 52: Laddove l’allievo è un soggetto minore occorre ricordare che vi sono ulteriori importanti regole di condotta che devono essere rispettate dal maestro: egli in particolare deve controllare personalmente i sistemi di sicurezza, la corretta taratura degli attacchi, la lunghezza degli sci e quella dei bastoncini; deve, poi, fornire una corretta informazione al genitore sul tipo di lezione che intende svolgere e sulle difficoltà del tracciato, anche in relazione alle condizioni atmosferiche della giornata).

Non sarà difficile trasferire i parametri espressi dal giudice trentino per lo sci al mondo dell’arrampicata e verificare quale e quanta attenzione richieda l’accompagnamento di minori ad arrampicare, sia che si rivesta la qualifica di guida, di istruttore o di semplice appassionato e quale configurazione stringente assumano i meccanismi della colpa in tali ipotesi. Meccanismi che attengono alla responsabilità penale e civile sia per i danni che il minore può subire (è ancora fresca una tragedia di cui si è discusso anche in questo blog e che non analizzeremo per rispetto di tutte le parti coinvolte e della vicenda giudiziaria ancora in corso) sia per quelli che – durante lo svolgimento della attività – il minore può cagionare a terzi (si pensi al ragazzino che ferisce altri perché si cala male da una sosta e urta l’arrampicatore sul tiro vicino, piuttosto che il minore che indossa male l’imbragatura o che – spiccozzando su per una cascata – provochi danno ad un altro iceclimber per uso improprio degli attrezzi: in tali casi l’accompagnatore potrà liberarsi dalla responsabilità per colpa solo dimostrando che quegli eventi travalicano non solo dalla sua possibilità di intervento concreto al momento del fatto ma anche dalla sua capacità di previsione).

Conclusione
Quanto sin qui esposto rappresenta solo una carrellata, veloce, superficiale e incompleta, delle mille sfaccettature che possiamo trovarci ad affrontare in montagna quando pretendiamo di definire il concetto di colpa e di delineare i confini nei quali inscriverla.

Tuttavia conoscere un poco le possibili evoluzioni patologiche delle situazioni, lungi dall’allontanarci dalla pratica delle attività, deve essere di stimolo a svolgerle con maggior accortezza e consapevolezza.

E il confronto su temi così delicati, che spesso giungono all’esame di soggetti che poco o nulla conoscono il mondo della montagna, può aiutare a creare una maggior consapevolezza e un più attento uso della giustizia sia in chi è chiamato ad applicare la legge che in coloro che – in tali compiti – forniscono ausilio come periti e consulenti.

Restano da esaminare ancora molti aspetti, a esempio l’emergente problema del deterioramento delle attrezzature delle falesie e le responsabilità connesse, la figura del chiodatore professionista e l’infinito e complesso mondo delle responsabilità nell’ambito del soccorso, che potranno eventualmente essere oggetto di futura trattazione.

NdR: sul medesimo argomento si può consultare anche il saggio dell’avv. Daniela Messina.

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ghibli
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by ghibli »

ghibli wrote:Sono sempre più contento di non avere studiato giurisprudenza, a volte faccio fatica a sciogliere un nodo, altro che questi garbugli legali... :pensoso:
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E meno male che sono nato scarso così non ho nemmeno rischiato di fare l'istruttore :risataGrassa:
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amica mucca
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by amica mucca »

ghibli wrote:
ghibli wrote:Sono sempre più contento di non avere studiato giurisprudenza, a volte faccio fatica a sciogliere un nodo, altro che questi garbugli legali... :pensoso:
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Purtroppo, al contrario, io penso che ci siano vari punti su cui riflettere. Perchè quanti di noi hanno portato un amico a fare una gita o a provare ad arrampicare, ecc ecc....

"Il dolore e il denaro sono, purtroppo, due fra i peggiori consiglieri dell’animo umano e spesso spingono a cercare nella giustizia umana una ragione e una consolazione per eventi difficili da accettare."

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Titus
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by Titus »

amica mucca wrote:
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Appunto!! Se adesso per portare un "AMICO" in montagna in tutte le sue declinazioni, mi devo sobbarcare l'ennesima presa di posizioni ..........allora le Istituzioni dovrebbero impedirci di uscire di casa. Se no potremmo fare danni o subirne.....
La società moderna, sopratutto italiana(ndr) tende a scaricare sull'individuo accompagnatore, tutto quello che potrebbe succedere fuori dalla porta di casa.....
Ma porca miseriaccia zozza......mai a considerare che le cose succedono e basta...?...Non siamo persone o cose PERFETTE.... :(
E OGNUNO SI DEVE PRENDERE LE SUE RESPONSABILITA'........amici compresi! :imbarazzo:
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by amica mucca »

Titus wrote: Appunto!! Se adesso per portare un "AMICO" in montagna in tutte le sue declinazioni, mi devo sobbarcare l'ennesima presa di posizioni ..........allora le Istituzioni dovrebbero impedirci di uscire di casa. Se no potremmo fare danni o subirne.....
La società moderna, sopratutto italiana(ndr) tende a scaricare sull'individuo accompagnatore, tutto quello che potrebbe succedere fuori dalla porta di casa.....
Ma porca miseriaccia zozza......mai a considerare che le cose succedono e basta...?...Non siamo persone o cose PERFETTE.... :(
E OGNUNO SI DEVE PRENDERE LE SUE RESPONSABILITA'........amici compresi! :imbarazzo:
Sono perfettamente d'accordo con te! Per questo è meglio che non esca mai una legge sull'arrampicata/alpinismo/chiodatura ecc ecc. Nel caso succedesse penso che sarebbero messi dei paletti assurdi. Ed è per questo che è necessaria però un'autoregolazione che può dipendere esclusivamente dall'autofinanziamento.
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Titus
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by Titus »

Grazie mille per l'appoggio....amica dispensatrice di latte : Thumbup : :risataGrassa:
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ghibli
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by ghibli »

Avete scritto adelle cose sacrosante :
amica mucca wrote: ...quanti di noi hanno portato un amico a fare una gita o a provare ad arrampicare, ecc ecc....
Titus wrote: ...OGNUNO SI DEVE PRENDERE LE SUE RESPONSABILITA'........amici compresi! :imbarazzo:
il problema è che se ti ritrovi in tribunale con l'ex amico che sostiene che era venuto con te al pellegrinaggio al santuario del monte x perchè sei esperto e non lo hai avveritito che sulle pietre bagnate si scivola hai voglia a sostenere che è un pirla e che certe cose le sanno anche i ragazzini.
I casi di incidenti alpinistici ovviamente sono notevolmente più complessi.
il buon senso dovrebbe sempre prevalere, ma come ha scritto amica mucca
amica mucca wrote: "Il dolore e il denaro sono, purtroppo, due fra i peggiori consiglieri dell’animo umano e spesso spingono a cercare nella giustizia umana una ragione e una consolazione per eventi difficili da accettare."
:pensoso: :triste:
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Re: La colpa, il diritto e l'alpe...

Post by amadablam »

Titus wrote:
amica mucca wrote:
ghibli wrote:
ghibli wrote:Sono sempre più contento di non avere studiato giurisprudenza, a volte faccio fatica a sciogliere un nodo, altro che questi garbugli legali... :pensoso:
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Purtroppo, al contrario, io penso che ci siano vari punti su cui riflettere. Perchè quanti di noi hanno portato un amico a fare una gita o a provare ad arrampicare, ecc ecc....

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Appunto!! Se adesso per portare un "AMICO" in montagna in tutte le sue declinazioni, mi devo sobbarcare l'ennesima presa di posizioni ..........allora le Istituzioni dovrebbero impedirci di uscire di casa. Se no potremmo fare danni o subirne.....
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Ma porca miseriaccia zozza......mai a considerare che le cose succedono e basta...?...Non siamo persone o cose PERFETTE.... :(
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quoto

(ricordo che nei momenti storici di "democrazia" , come adesso :mrgreen: ...il n° degli avvocati aumenta)
Namaste
"Non esiste una via per la pace, la Pace è la Via"
Tenzin Gyatso (Dalai Lama)

Tibet libero!!!
"...ognuno di noi, da qualche parte ha il suo Everest da scalare, qualunque nome esso porti (Wanda Rutkiewicz)
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