Questo è solo un abbozzo di relazione, riordinando in fretta il dettato vocale, perché l’escursione andrà rifatta con percorso aggiustato e stagione più consona (l’ideale sarebbe con nuvole basse da bucare in alto, per avere panorami in quota e nebbia nei boschi).
Sono però mosso da urgenza, perché come leggerete la montagna è parzialmente franata e il resto sta per seguire, ragion per cui vi invito ad andarci prima che non sia più possibile. Mi pare una scoperta ideale per il giorno di san Giovanni (per me festivo in quanto patrono della città in cui lavoro), in cui nei racconti dei montanari si rendevano disponibili accessi ad arcani tesori, destinati però a svanire al calar delle tenebre.
Zona: valle di Susa
Partenza: Beaulard 1140 m
Lunghezza: 20,5 km
Tempo: 7.00h
Dislivello 1250 m
Lungo la militare, prima di San Valeriano di Borgone, un cinghialetto giace stecchito a bordo strada per investimento; tizi parcheggiati a fianco pare vogliano caricarlo.
Beaulard è un paese dominato dalla mole della Grand’Hoche, con la sua grande parete grigia. È formato da un nucleo storico di casettine intonacate all'esterno e un periferia di ville e villette in legno per sciatori. Devono essere borghesi radical-chic, a giudicare dall’offerta raffinata del bar. Il decoro poi è molto curato, con dipinti sui muri e numeri civici decorati a mano. Mi fermo a riempire la borraccia ad un lavatoio, dove un dipinto ricorda che le donne si radunavano a chiacchierare lavando, come faceva ancora mia nonna quando ero bambino, sebbene da decenni avesse la lavatrice.
La traccia parte ufficialmente dalla chiesa di San Michele arcangelo, purtroppo chiusa. Ha un campanile gotico e un portale con sopra dipinto San Michele arcangelo e sotto una scritta in caratteri gotici, in francese mi pare. Dalla chiesa seguo il sentiero che sale dapprima molto ripidamente, con fondo sassoso, roccioso, ma più che tutto molto fangoso per le abbondanti piogge primaverili; dopo un secondo bivio per Refour spiana decisamente. Nel primo tratto incrocio una signora sudamericana, l’unico altro pedone odierno, molto coperta a differenza di me accaldato in maglietta, ma non ci salutiamo perché lei che conosce la una variante più agevole della mia e all’incrocio siamo separati da un muro di alberelli. Lungo il sentiero ci sono alcune cappelle in avanzato stato di decomposizione. Attraverso un bosco misto di pini Silvestri e di latifoglie di ripopolamento, così umido e fresco che, quando mi decido a scattare una foto, si appanna l'oculare degli occhiali. Il sentiero diventa sempre più fangoso mentre mi avvicino a Puy, che raggiungo dal cimitero, presso cui c'è un edicola votiva ancora in buono stato con dentro delle immagini sacre che però non riesco a vedere a causa del buio. Poi proseguo non seguendo il cartello che indirizza alla circonvallazione, ma passo nel paese per vederlo. Ci sono prima delle vacche, penso da latte, che stanno brucando in un prato e poi mi accoglie il cucciolo di cane di un signore che si chiama Asterix e che mi fa un sacco di feste, mi lecca, mi mordicchia e salta su e giù. Tenta anche di seguirmi, avviso il padrone, ma prima della fine del paese tornerà da solo. C'è qualche pastore con il suo trattore, le casette intonacate tipiche di questa zona della valle di Susa, con tetti in lamiera a sostituire i tetti in paglia di segale, non più prodotta, e la chicca di un edificio a Blockbau. L'acqua delle fontane non è potabile a causa del trattamento di clorazione contro le alghe in corso.
Imbocco la strada per il colle di Colomion, che è aperta al ai mezzi motorizzati, seppure con cartelli minatori sulla sua pericolosità. Sale nel lariceto quasi subito si vedono quelli che erano i campi coltivati terrazzati; sul bordo ci sono abbondanti fioriture di geranio da muri a secco fatte con pietre di forma irregolare, ma incastrate molto accuratamente, secondo lo stile tipico delle strade militari. Passo un torrente che è molto limaccioso e ha il colore tipico dello scioglimento della neve con detriti ed è anche abbastanza abbondante. Il bosco quindi si fa misto con pini silvestri e latifoglie tipo sorbi; in uno squarcio compaiono sullo sfondo sauze d'oulx e il gran bosco di salbertrand, con naturalmente sempre la grand hoche. L'altra grande protagonista delle fioriture è la salvia campestre nei prati. Serpreggio attorno ad un prato, dove pascolano bovini da carne e Piemontesi, con qualche loro mamma; mi sbizzarrisco a fotografarli con tutti gli sfondi possibili. Intanto le fioriture aumentano ancora di numero includendo anche i garofani e gigli di monte oltre alla rosa canina. Dov'è un lariceto pascolato misto al degli aceri, sento un rombo sordo come se mi dovesse atterrare un aereo sulla testa, ma sono invece tre motociclisti; dalle scie sul fango si vede che comunque questa strada è molto frequentata non solo dalla motociclisti con gomme scolpite anche da auto più cittadine. Un cartello mi dice che sono in un'oasi xerotermica protetta (strano con gli aceri poco sotto) e però ci fanno passare le moto. Ci sono molti asfodeli nei prati, a quanto pare di indice di zona solatia e fortemente pascolata, perché hanno un tasso di rigenerazione che non risente del brucaggio. Salgono frattanto e scendono alcuni motociclisti solitari Sulla dorsale raggiungo poi un bivio, provo ad un attimo vedere lo snack bar di punta colomion, a servizio di moto e jeep d’estate, invece d'inverno degli sciatori che arrivano con gli impianti di Bardonecchia sul versante opposto. Da un intaglio c'è una bella vista sulla montagne di attorno Bardonecchia
Dal bivio dove imbocco l'altra pista militare, che porta verso il colle della mulattiera che seguirò per un tratto prima di scendere. Un cartello la vieta ai mezzi a motore. Frattanto le nubi si sono ispessite e cade anche qualche goccia di pioggia, indosso il coprizaino e il guscio, ma questo più per il freddo assieme ai guanti. Proseguendo in quota quasi subito entro in un lariceto più fitto e più maturo con anche grandi esemplari, tranne che lungo gli impluvi di slavina, dov’è invece spoglio. Si vede un buon panorama attraverso la loro chiome rade sulle montagne attorno. Quasi subito le nuvole si diradano e compare anche un pallido sole per brevi istanti. resto comunque coperto perché non fa caldo. Dalle zone fangose vedo che le moto passano abbondantemente anche di qua. Trovo il segnavia per le Grange Soullieres, indicato con un cartello a un espluvio, e seguo il sentiero nel lariceto più rado per una ventina di minuti. Le baracche sono molto semplici e essenziali e molto povere, in lamiera e legno raffazzonati.
Nelle Grange il sentiero si perde completamente e il terreno s’impaluda assai. Se leggessi la descrizione o guardassi la cartina cartacea, vedrei che basterebbe puntare ai segni di jeep a monte del prato, invece per non dover posare lo zaino uso la cartina GPS del cellulare, ritrovandolo nel bosco a valle del prato; mi arriva anche la conferma dai segnavia. Il sentiero non diventa però mai univoco, ma d tracce discontinue e dispersive; le tacche rade mi guidano lungo un percorso che non so quanto più logico o più strutturato che andare a casaccio, tra molti acquitrini pure profondi e erba e pietre scivolose, di cui faccio le spese. Alla fine confluisco su un sentiero più strutturato che scende dal passo della mulattiera: forse avrei fatto meglio ad arrivare da lì, anziché ricalcare a memoria la cartina della descrizione. Supero un torrente con i piedi in acqua perché è più semplice che tentare l’equilibrismo, vedo una lingua di slavina giungere fin quasi al sentiero, rosa per le nevicate sahariane, e poco dopo trovo l' indicazione per la madonna della sanità, chiesetta bianca nel lariceto tra due impluvi di frana.
Il nome è una traduzione ad minkiam della Notre Dame de Santè sul versante francese, che ha poi dato il nome al passo soprastante e al vallone da cui scende la slavina, pertanto significa salute. La cappella ha un minimo di decorazione interna ma molto spartana e c'è anche una carriola per fare i lavori; dal quaderno contenuto in una cassetta metallica sotto il tetto, si vede che la gente ci viene pure in quad. Prendendo in mano la borraccia per la pausa pranzo mi rendo conto di non aver mai bevuto per 4 ore di cammino; mangio riso rosso con lenticchie e melanzane alla menta.
Oltre la strada militare prosegue in un lariceto, abbastanza devastata dal recente passaggio dei bovini sull’abbondante fango Al bivio per la chiesa di San Giusto e vedo che i bovini sono passati di lì un po' di preoccupazione mi monta, ma non sarà così terribile. Il sentiero proseguì in un lariceto pascolato molto ameno, con alberi radi e alternati a qualche abete vedo anche due bovini bianchi macchiati di nero che paiono dimenticati.
Poco prima di arrivare a San Giusto trovo una devastazione di pini uncinati cespugliosi e contorti, poi un profondo orrido di detriti e slavine, con la capella sul margine, protetta da un roccione. immagino che queste due cappelle siano state costruite apposta per proteggere i paesi a valle da questi agenti atmosferici-geologici. Riprende a gocciolare (sono ripartito con due magliette e il coprizaino). Poco più avanti c'è un orrido altrettanto spaventoso con tanto di massi in bilico sopra il taglio del sentiero, che indi prosegue molto molto aereo, con saliscendo molto ripidi e profondi, in un bosco stavolta prevalenza di di abeti rossi, che immagino siano il climax che altrove è stato sostituito dai larici per il pascolo, mentre qui si sono conservati perché la zona è troppo impervia anche per le capre, con vista sugli orridi di San Giusto (chiamiamoli così). In un impluvio spoglio sento fischiare un camoscio, ma non lo vedo. Successivamente trovo un cartello dove mi da due possibilità per il rifugio Rey: una da 10 minuti e una da mezz'ora. Dalla cartina vedo che dalla seconda devo ancora risalire ancora lungamente, per cui scelgo quella da 10 minuti. Mi trovo però a precipitare verso un canalone di frane gigantesco, lo attraverso come posso seguendo i paletti segnavia, finché all’ultimo mi rendo conto che non può essere il sentiero la traccia scavata che vuoi sul dritto in verticale nel bel mezzo della frana. Allora prendo il GPS vedo che continua in piano, per cui non lo vado a cercare a cercare, lo trovo oltre dei cespugli. sempre profondamente scavato e scivoloso, seppure non pericoloso, ma disagevole, sul margine della frana. In qualche modo ne esco ritrovo un sentiero un po' più strutturato, sempre abbastanza impervio e poco tracciato e fino a raggiungere un prato dove metto in fuga un capriolo. Vi trovo dei cartelli che mi dicono che effettivamente ho fatto il sentiero balcone giusto, stranamente. Ci trovo pure delle orchidee e dei narcisi; ancora qualche prato e poi arrivo alla zona dove c'è il rifugio Rey, dove arrivavano delle piste da sci e ci sono infatti anche altri edifici in abbandono legati allo sci, oltre al rifugio. Vado a prendere un caffè. Nella sala c'è un ragazzo che lavora da remoto con Mac (il sito del rifugio pubblicizza la sua connettività a questo scopo e offre pacchetti appositi). Il gestore è un trentenne con la barbetta; mi chiede come sono arrivato, dove sono passato e poi mi dice che questa quella frana si è staccata nel 2006 e è andata a ostruire il rio di san Giusto facendo temere che si formasse un lago poi a rischio di collasso improvviso, ma per fortuna il nostro santo non venne meno ai suoi doveri e fece trovare un varco all’acqua, che defluì poco alla volta. Lui consiglia sempre di evitare e di passare da sopra. Mi dice che anche sta franando un po' tutta la montagna qua attorno, mi indica un pino che si è inclinato e poi mi dice anche appunto che ha problemi con la strada di accesso: gli sta franando un pezzo di strada e rischia di non passare di non riuscire a passare più con il fuoristrada. Il servizio forestale ha iniziato dei lavori ma con un budget di soli 5.000 euro, quanto serve a ristrutturare un bagno, dico io, piccolo aggiunge lui, per cui sono riusciti a fare pochissimo pochissimo, ma gli ghanno promesso di allargarla verso monte nel punto critico. Bisognerebbe piantare dei pali, ma dentro la roccia lui da solo a mano non ce la può fare, servono macchinari macchinari.
Dal rifugio scendo in un bosco lungo il torrente, dove ci sono grandi Larici e abeti generalmente più piccoli ma con un tasso di rinnovamento nettamente superiore, probabilmente perché ci portavano gli animali e di adesso hanno smesso e gli abeti si stanno riprendendo. Il sentiero passa il torrente su un ponte di legno e pietre in un punto in cui almeno oggi si potrebbe guadare, ma le sponde sono molto alte e franose. Oltre proseguo tra ameni boschi di abeti rossi con cappellette, una con dedica del 1748, fino a sbucare sul grande prato a monte di Chateau Beaulard, nel quale pascolano hanno delle vacche piemontesi, che l’hanno completamente rasato, Dietro il paese c’è un curioso dosso modellato da mano d’uomo, chiamato Forte sulla carta: un cartello spiega che sono stati i francesi a fortificarlo, nel Seicento dopo aver perso Exilles. La chiesa aperta e dentro una donna sta restaurando un dipinto barocco alla luce di due potenti faretti, mentre un uomo maneggia apparecchiature elettriche e scrive al PC e due bambine giocano in un angoletto. Mi fermo a fare merenda presso una fontana, con il fondo del termos di tè speziato e dei biscotti alla panna. Mi convinco di aver perso i guanti, ma li ritroverò a casa nel recesso della tasca dove li ho riposti. Alla ripartenza scendo al secondo tornante della strada, seguendo le segnalazioni per Beaulard imbocco una pista, lungo cui c’è un piccolo fungo di terra, e quindi un sentiero sentiero segnalato curiosamente, nel senso che non ha tacche ma cartelli con la meta a ogni curva a gomito. Intanto pioviggina un po' più insistentemente. Passo un bosco di pini Sylvester molto fitti alti e dritti
quindi vuoi un bosco misto con aceri e frassini, giungendo infine a un prato poco sopra Beaulard, dove vedo finalmente genziana pienamente fiorita, dopo averne visto solo i boccioli per tutto il giorno e raggiungo infine la fontana del mattino.
A casa , dopo un salto dalla fidanzata, vado a mangiare le patatine dallo schifezzaio sotto casa. È stracolmo di ragazzi per la partita, ma mi trovano un angolino. Tra urla collettive l’Italia segna allo scadere il gol della qualificazione e mi fa ancora sperare in domeniche con la gente che sparisce presto dai monti per radunarsi a vederla. Ricordo ancora con nostalgia quelle domeniche del 2006 e 2021, con i monti svuotati già a metà pomeriggio e la Torino Savona e la Torino Aosta deserte in due domeniche sera estive.
Urgente !! Sentiero balcone di Beaulard
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Urgente !! Sentiero balcone di Beaulard
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ma che colpa io posso avere se la montagna presenta tanto di bello, che lo scritto ed il discorso diventano prolissi per accennare solo di volo ciò ch'essa porge d'interessante all'osservazione
M. Baretti, “Per rupi e ghiacci: frammenti alpini”, 1875
M. Baretti, “Per rupi e ghiacci: frammenti alpini”, 1875