Speriamo di no...tra lupi, orsi e cani non c'è che l'imbarazzo della scelta...ma alla fine i più pericolosi sono sempre i cani in quanto non hanno paura dell'uomo. Il fastidio che ho in zona inguinale non mi ha dato problemi, ma il test era poco più di una passeggiata. Solo una dozzina di km e con uno zainettino da trail running, non con tutto l'armamentario da trekking...speriamo bene, anche per il meteo soprattutto per il fatto che in Lori e Tavush (le regioni in cui camminerò) hanno avuto una disastrosa alluvione un paio di mesi fa, con frane, paesi isolati, ponti e strade crollate...
Trans Caucasian Trail (Armenia)
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Del pericolo dei cani da guardia l'avevo letto anche a proposito del Peloponneso e di Creta. Qui sulle Alpi e sull'Appennino va ancora abbastanza bene, solo qualche maremmano dà problemi. Dei selvatici ho dovuto temere solo camosci e stambecchi, quando nei canaloni scaricano pietre dall'alto, ma frequento di rado quelle zone
ma che colpa io posso avere se la montagna presenta tanto di bello, che lo scritto ed il discorso diventano prolissi per accennare solo di volo ciò ch'essa porge d'interessante all'osservazione
M. Baretti, “Per rupi e ghiacci: frammenti alpini”, 1875
M. Baretti, “Per rupi e ghiacci: frammenti alpini”, 1875
Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Sei come Vasco Rossi. Vuoi proprio una vita spericolata ...Andrea Bezimen wrote: ↑Tue Jun 25, 2024 13:54Speriamo di no...tra lupi, orsi e cani non c'è che l'imbarazzo della scelta...ma alla fine i più pericolosi sono sempre i cani in quanto non hanno paura dell'uomo. Il fastidio che ho in zona inguinale non mi ha dato problemi, ma il test era poco più di una passeggiata. Solo una dozzina di km e con uno zainettino da trail running, non con tutto l'armamentario da trekking...speriamo bene, anche per il meteo soprattutto per il fatto che in Lori e Tavush (le regioni in cui camminerò) hanno avuto una disastrosa alluvione un paio di mesi fa, con frane, paesi isolati, ponti e strade crollate...
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Vero. Diciamo che su Alpi e appennini i cani sono anche più abituati a vedere escursionisti. Qui nel Caucaso il trekking non è diffuso, al massimo qualche gita di merenderos di pochi km ed in luoghi vicini alla civiltà.awretus wrote: ↑Tue Jun 25, 2024 18:02Del pericolo dei cani da guardia l'avevo letto anche a proposito del Peloponneso e di Creta. Qui sulle Alpi e sull'Appennino va ancora abbastanza bene, solo qualche maremmano dà problemi. Dei selvatici ho dovuto temere solo camosci e stambecchi, quando nei canaloni scaricano pietre dall'alto, ma frequento di rado quelle zone
Come immaginavo gli unici pericoli percepiti in questa settimana sui monti sono stati i cani pastore, soprattutto quando in branco.
In un caso ero sul percorso e stavo passando tra un paio di capanni di pastori e me ne sono venuti incontro quattro, molto aggressivi.
Per fortuna la padrona è uscita a richiamarli mentre io mi muovevo tipo giostra del saracino usando i bastoncini per tenerli a distanza.
Oggi o domani inizio a buttare giù qualche riga su questa recente esperienza
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
27 giugno 2024
Gli ultimi preparativi hanno richiesto più tempo del previsto ma ho ancora un patrimonio di circa 4 minuti per scendere in strada e prendere il taxi che mi porti dove un altro mezzo, questa volta condiviso, mi caricherà per scaricarmi a Dilijan, il punto dove avevo dovuto interrompere il cammino due anni fa. Tutto questo salvo tragici imprevisti...Sto per infilare gli scarponi quando mi suona il telefono. E’ un caro amico a cui non posso non rispondere. Così finisco per fare due cose in contemporanea, e da buon maschio faccio casino. Usando maldestramente il calzante finisco con il lacerare il tessuto dell’imbottitura interna degli scarponi, appena sopra il tallone. Gli altri scarponi sono dai suoceri. Non ho altra scelta che partire con gli scarponi rovinati, sperando che non mi creino irritazione da sfregamento. Statisticamente iniziare il TCT con problemi alle calzature mi porta fortuna, speriamo bene.
Prendo al volo entrambi i summenzionati taxi e poco dopo le 18 sono a Dilijan, da dove domani mattina partirò per questa nuova avventura che mi porterà a completare il trekking iniziato due anni fa. Nella piazza dove il taxi mi scarica ci sono negozi di alimentari e tavole calde. Ne approfitto per godermi un gustoso khorovats (bbq) di maiale con patate visto che per i prossimi tre giorni dovrò cibarmi di schifezzuole varie. Alle 19 entro nel vicino Dilijan Hikers hostel gestito da Tenny, la moglie di Tom Allen, il carismatico fondatore del Trans Caucasian Trail. Sono l’unico ospite e la camerata è tutta per me. La struttura è semplice e molto funzionale per le esigenze degli escursionisti. Bella l’idea di una bacheca in cui gli escursionisti possono lasciare o prendere materiale necessario in cambio di un’offerta. Verso le 21 finalmente arriva anche Tom e ne approfitto subito per sottoporgli una serie di domande relative al percorso che mi aspetta. Per prima cosa mi convince ad abbandonare parzialmente la mia variante iniziale che avrebbe previsto alcuni tratti privi di sentiero e con vegetazione fitta su un pendio molto ripido. Poi mi suggerisce alcuni posti tappa in cui conviene spezzare le prime tre tappe, in cui non incontrerò villaggi ne strutture. Chiariti i dubbi e confortato il morale sono pronto per andare a dormire. Mi dico che sarebbe giusto dare un ultimo controllo ed ultima carica ai miei devices: powerbank, telefono e orologio gps. Non trovo il cavetto per caricare l’orologio e mi corico in un misto di scoramento e preoccupazione che mineranno la tranquillità del mio sonno.
Gli ultimi preparativi hanno richiesto più tempo del previsto ma ho ancora un patrimonio di circa 4 minuti per scendere in strada e prendere il taxi che mi porti dove un altro mezzo, questa volta condiviso, mi caricherà per scaricarmi a Dilijan, il punto dove avevo dovuto interrompere il cammino due anni fa. Tutto questo salvo tragici imprevisti...Sto per infilare gli scarponi quando mi suona il telefono. E’ un caro amico a cui non posso non rispondere. Così finisco per fare due cose in contemporanea, e da buon maschio faccio casino. Usando maldestramente il calzante finisco con il lacerare il tessuto dell’imbottitura interna degli scarponi, appena sopra il tallone. Gli altri scarponi sono dai suoceri. Non ho altra scelta che partire con gli scarponi rovinati, sperando che non mi creino irritazione da sfregamento. Statisticamente iniziare il TCT con problemi alle calzature mi porta fortuna, speriamo bene.
Prendo al volo entrambi i summenzionati taxi e poco dopo le 18 sono a Dilijan, da dove domani mattina partirò per questa nuova avventura che mi porterà a completare il trekking iniziato due anni fa. Nella piazza dove il taxi mi scarica ci sono negozi di alimentari e tavole calde. Ne approfitto per godermi un gustoso khorovats (bbq) di maiale con patate visto che per i prossimi tre giorni dovrò cibarmi di schifezzuole varie. Alle 19 entro nel vicino Dilijan Hikers hostel gestito da Tenny, la moglie di Tom Allen, il carismatico fondatore del Trans Caucasian Trail. Sono l’unico ospite e la camerata è tutta per me. La struttura è semplice e molto funzionale per le esigenze degli escursionisti. Bella l’idea di una bacheca in cui gli escursionisti possono lasciare o prendere materiale necessario in cambio di un’offerta. Verso le 21 finalmente arriva anche Tom e ne approfitto subito per sottoporgli una serie di domande relative al percorso che mi aspetta. Per prima cosa mi convince ad abbandonare parzialmente la mia variante iniziale che avrebbe previsto alcuni tratti privi di sentiero e con vegetazione fitta su un pendio molto ripido. Poi mi suggerisce alcuni posti tappa in cui conviene spezzare le prime tre tappe, in cui non incontrerò villaggi ne strutture. Chiariti i dubbi e confortato il morale sono pronto per andare a dormire. Mi dico che sarebbe giusto dare un ultimo controllo ed ultima carica ai miei devices: powerbank, telefono e orologio gps. Non trovo il cavetto per caricare l’orologio e mi corico in un misto di scoramento e preoccupazione che mineranno la tranquillità del mio sonno.
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
28 giugno 2024
Al risveglio magicamente il cavetto dell’orologio riappare. Il morale ne risente positivamente. L’appetito no, perché era già robusto di suo, conscio di una giornata in cui brucerò tantissime calorie. Uscendo dall'ostello un cane randagio prende a seguirmi, cerco di ignorarlo nella speranza che presto demorda. Alle 8 sono di fronte alla statua che celebra il film Mimino, famosissimo in Unione Sovietica. Lo considero il punto di inizio del mio Trans Caucasian Trail 2024. Inizio subito con una variante, per me più logica del percorso ufficiale che prevede alcuni km su asfalto ed il transito per alcuni quartieri periferici di Dilijan. Io invece fin da subito sono in mezzo al verde di una pineta, sebbene per circa un km si proceda su un fondo di cemento che poi lascia il passo ad una carrabile sterrata tra faggi, roveri, olmi. A pochi passi dal tracciato intravedo dei porcini e dei finferli. Mi piange il cuore a non poterli raccogliere. La carrabile termina nei pressi dell'EcoKayan, una sorta di villaggio turistico con animali in libertà, tra cui anche alcuni cani che mi si avvicinano minacciosi perché il randagio è sempre alle mie calcagna. Per fortuna uno dei dipendenti della fattoria lo allontana e posso proseguire da solo. I randagi qui accompagnano spesso gli escursionisti. Forse sperano in un po’ di cibo se non in una adozione, ma io preferisco evitarli. Intanto perché non potrei adottarli, cibo ne ho poi una quantità ridotta anche per me ed infine la presenza di un quattro zampe può innervosire altri animali, anche selvatici. La carrabile diventa una pista da jeep poco battuta ma la traccia resta decisamente visibile. Evito la fattoria dove ero stato aggredito dai cani alcuni giorni fa quando venni in perlustrazione, e passo accanto ad un’altra casupola dove i cani sono decisamente più mansueti. Poche centinaia di metri dopo, carico acqua in una bella piazzola recintata che si presterebbe anche per un pernottamento. Oltre alla fontanella e ad un gazebo con panche, vi si trova anche un barbeque. In breve mi ricongiungo al percorso ufficiale. La salita non molla mai ed in alcuni punti, ovviamente quelli più ripidi, si fa sentire anche il sole già rovente. Arrivato verso quota 2000 metri il sentiero diventa un single track, talvolta invaso da vegetazione. Incontro una escursionista non più giovanissima ma in gran forma. Viaggia leggera e va in direzione opposta alla mia per una breve escursione giornaliera. Mi conforta dicendo che la salita è quasi terminata. Mentre mi avvicino allo scollinamento, intorno a quota 2300 (Dilijan da cui sono partito è a 1400mt ed ho percorso solo dieci km), il cielo inizia ad oscurarsi e si alza un’aria fredda che mi suggerisce di indossare un leggero antivento. Dallo scollinamento inizia una notevole picchiata che si svolge in gran parte tra vegetazione fitta e alta. Quasi in fondo a questo tratto si arriva in una zona un po’ fangosa e scivolosa. Qui incontro due escursionisti in direzione opposta. Pure loro stanno facendo il TCT. Tra di loro parlano una lingua slava che non riesco ad identificare, ma per fortuna conoscono anche l’inglese e ci scambiamo un po’ di informazioni. Mi dicono di aver impiegato quattro giorni da Sanahin, dove sono diretto, a qui. Nei miei piani avevo pronosticato solo tre tappe e temo che il cibo possa non essere sufficiente. Proseguo la discesa ed incontro una "merendera" asiatica che ha già perso il sentiero due volte. Mi chiede indicazioni per Dilijan ma la persuado a desistere e la convinco a girare nei pressi del monastero che oramai è vicino. Qui faccio una lunga sosta non solo per riposarmi, bere e ripristinare le scorte d’acqua, ma anche per approfittare di un forno che propone gustosissime gata, una sorta di focaccine che possono essere sia dolci che salate. Io ne prendo tre anche in virtù del fatto che stando ai discorsi degli slavi potrebbe volerci un giorno più del previsto e non ho abbastanza scorte. Una delle due gata dolci la metto da parte per la sera, l’altra e quella salata (a base di formaggio e dragoncello) le mangio avidamente su una panchina. Quando riparto vedo la merendera seduta su un cordolo vicino al monastero, poi un altro cane inizia a seguirmi. Questa volta è un cucciolone di pastore del Caucaso. Non passano poche centinaia di metri che subito incontriamo altri due cani, ma li mette in fuga dimostrando forza e coraggio. Effettuo una piccola deviazione dal percorso per raggiungere la cosiddetta "cascata nascosta", ma inizio ad essere un po’ stanco e non apprezzo più di tanto le pozze naturali formate dal torrente. La cascata poi la intravvedo appena perchè per vederla meglio dovrei percorrere un tratto scivoloso e rasente al torrente, con il rischio di cadere in acqua. Dal monastero la strada ha ripreso a salire senza soste. Dapprima nel fitto del bosco e poi tra pascoli in una alternanza di single track e piste da jeep. Ad un certo punto ho un principio di crampi che mi rallenta ma che supero velocemente mangiando e bevendo un po'. Finora il sentiero è stato piuttosto facile da seguire. Tutto troppo bello per il TCT infatti ad un certo punto si lascia una pista da jeep per arrampicarsi in una gola e come per magia il sentiero sparisce, inghiottito da una vegetazione fittissima che arriva fino alle ginocchia. Il cane continua a seguirmi, a volte vorrebbe giocare accennando saltelli e piroette ed in un caso stana pure una beccaccia. Oramai sono nuovamente a quota 2300 ed orario e stanchezza iniziano a suggerire di trovare un posto per la notte che si preannuncia in tenda. Invece proprio sullo scollinamento, a poche decine di metri dal tracciato, si trova un pascolo abbandonato. Un edificio in sassi e legno è crollato ed inagibile, ma accanto si trova una specie di vagone ferroviario arrivato fin lì chissà come. Lo immagino chiuso, invece è aperto. All’interno non è nemmeno poi così sporco ed addirittura è presente un tavolato che userò come giaciglio per la notte. Preparo il bivacco, mi cambio di abiti e posso finalmente cenare sebbene la stanchezza mi porti difficoltà a deglutire. La gata dolce che ho tenuto da parte però è così golosa che la mangio volentieri. Nella speranza che il cane mi abbandoni e torni indietro, non gli concedo alcun cibo. Ad un certo punto lo sento abbaiare, mi affaccio sulla soglia per vedere che succede e vedo due cavalieri allontanarsi. In primis temo possano essere i padroni di casa, ma poi sento le loro voci e sembrano quelle di due ragazzini spaventati. Sono decisamente stanco, il sole inizia a tramontare e mi preparo per la notte, non prima di aver ricaricato cellulare ed orologio con il powerbank.
Prima tappa: 25km D+1750
Al risveglio magicamente il cavetto dell’orologio riappare. Il morale ne risente positivamente. L’appetito no, perché era già robusto di suo, conscio di una giornata in cui brucerò tantissime calorie. Uscendo dall'ostello un cane randagio prende a seguirmi, cerco di ignorarlo nella speranza che presto demorda. Alle 8 sono di fronte alla statua che celebra il film Mimino, famosissimo in Unione Sovietica. Lo considero il punto di inizio del mio Trans Caucasian Trail 2024. Inizio subito con una variante, per me più logica del percorso ufficiale che prevede alcuni km su asfalto ed il transito per alcuni quartieri periferici di Dilijan. Io invece fin da subito sono in mezzo al verde di una pineta, sebbene per circa un km si proceda su un fondo di cemento che poi lascia il passo ad una carrabile sterrata tra faggi, roveri, olmi. A pochi passi dal tracciato intravedo dei porcini e dei finferli. Mi piange il cuore a non poterli raccogliere. La carrabile termina nei pressi dell'EcoKayan, una sorta di villaggio turistico con animali in libertà, tra cui anche alcuni cani che mi si avvicinano minacciosi perché il randagio è sempre alle mie calcagna. Per fortuna uno dei dipendenti della fattoria lo allontana e posso proseguire da solo. I randagi qui accompagnano spesso gli escursionisti. Forse sperano in un po’ di cibo se non in una adozione, ma io preferisco evitarli. Intanto perché non potrei adottarli, cibo ne ho poi una quantità ridotta anche per me ed infine la presenza di un quattro zampe può innervosire altri animali, anche selvatici. La carrabile diventa una pista da jeep poco battuta ma la traccia resta decisamente visibile. Evito la fattoria dove ero stato aggredito dai cani alcuni giorni fa quando venni in perlustrazione, e passo accanto ad un’altra casupola dove i cani sono decisamente più mansueti. Poche centinaia di metri dopo, carico acqua in una bella piazzola recintata che si presterebbe anche per un pernottamento. Oltre alla fontanella e ad un gazebo con panche, vi si trova anche un barbeque. In breve mi ricongiungo al percorso ufficiale. La salita non molla mai ed in alcuni punti, ovviamente quelli più ripidi, si fa sentire anche il sole già rovente. Arrivato verso quota 2000 metri il sentiero diventa un single track, talvolta invaso da vegetazione. Incontro una escursionista non più giovanissima ma in gran forma. Viaggia leggera e va in direzione opposta alla mia per una breve escursione giornaliera. Mi conforta dicendo che la salita è quasi terminata. Mentre mi avvicino allo scollinamento, intorno a quota 2300 (Dilijan da cui sono partito è a 1400mt ed ho percorso solo dieci km), il cielo inizia ad oscurarsi e si alza un’aria fredda che mi suggerisce di indossare un leggero antivento. Dallo scollinamento inizia una notevole picchiata che si svolge in gran parte tra vegetazione fitta e alta. Quasi in fondo a questo tratto si arriva in una zona un po’ fangosa e scivolosa. Qui incontro due escursionisti in direzione opposta. Pure loro stanno facendo il TCT. Tra di loro parlano una lingua slava che non riesco ad identificare, ma per fortuna conoscono anche l’inglese e ci scambiamo un po’ di informazioni. Mi dicono di aver impiegato quattro giorni da Sanahin, dove sono diretto, a qui. Nei miei piani avevo pronosticato solo tre tappe e temo che il cibo possa non essere sufficiente. Proseguo la discesa ed incontro una "merendera" asiatica che ha già perso il sentiero due volte. Mi chiede indicazioni per Dilijan ma la persuado a desistere e la convinco a girare nei pressi del monastero che oramai è vicino. Qui faccio una lunga sosta non solo per riposarmi, bere e ripristinare le scorte d’acqua, ma anche per approfittare di un forno che propone gustosissime gata, una sorta di focaccine che possono essere sia dolci che salate. Io ne prendo tre anche in virtù del fatto che stando ai discorsi degli slavi potrebbe volerci un giorno più del previsto e non ho abbastanza scorte. Una delle due gata dolci la metto da parte per la sera, l’altra e quella salata (a base di formaggio e dragoncello) le mangio avidamente su una panchina. Quando riparto vedo la merendera seduta su un cordolo vicino al monastero, poi un altro cane inizia a seguirmi. Questa volta è un cucciolone di pastore del Caucaso. Non passano poche centinaia di metri che subito incontriamo altri due cani, ma li mette in fuga dimostrando forza e coraggio. Effettuo una piccola deviazione dal percorso per raggiungere la cosiddetta "cascata nascosta", ma inizio ad essere un po’ stanco e non apprezzo più di tanto le pozze naturali formate dal torrente. La cascata poi la intravvedo appena perchè per vederla meglio dovrei percorrere un tratto scivoloso e rasente al torrente, con il rischio di cadere in acqua. Dal monastero la strada ha ripreso a salire senza soste. Dapprima nel fitto del bosco e poi tra pascoli in una alternanza di single track e piste da jeep. Ad un certo punto ho un principio di crampi che mi rallenta ma che supero velocemente mangiando e bevendo un po'. Finora il sentiero è stato piuttosto facile da seguire. Tutto troppo bello per il TCT infatti ad un certo punto si lascia una pista da jeep per arrampicarsi in una gola e come per magia il sentiero sparisce, inghiottito da una vegetazione fittissima che arriva fino alle ginocchia. Il cane continua a seguirmi, a volte vorrebbe giocare accennando saltelli e piroette ed in un caso stana pure una beccaccia. Oramai sono nuovamente a quota 2300 ed orario e stanchezza iniziano a suggerire di trovare un posto per la notte che si preannuncia in tenda. Invece proprio sullo scollinamento, a poche decine di metri dal tracciato, si trova un pascolo abbandonato. Un edificio in sassi e legno è crollato ed inagibile, ma accanto si trova una specie di vagone ferroviario arrivato fin lì chissà come. Lo immagino chiuso, invece è aperto. All’interno non è nemmeno poi così sporco ed addirittura è presente un tavolato che userò come giaciglio per la notte. Preparo il bivacco, mi cambio di abiti e posso finalmente cenare sebbene la stanchezza mi porti difficoltà a deglutire. La gata dolce che ho tenuto da parte però è così golosa che la mangio volentieri. Nella speranza che il cane mi abbandoni e torni indietro, non gli concedo alcun cibo. Ad un certo punto lo sento abbaiare, mi affaccio sulla soglia per vedere che succede e vedo due cavalieri allontanarsi. In primis temo possano essere i padroni di casa, ma poi sento le loro voci e sembrano quelle di due ragazzini spaventati. Sono decisamente stanco, il sole inizia a tramontare e mi preparo per la notte, non prima di aver ricaricato cellulare ed orologio con il powerbank.
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
29 giugno
Durante la notte ho patito un po’ il freddo anche perché proprio dietro la testa c’era un fastidioso spiffero e fuori il passo (2300mt) era spazzato da forti venti gelidi. Anche il tavolato non si può dire fosse il massimo del comfort quando scivolavo al di fuori del perimetro del tappetino gonfiabile. Alle 6 sono già sveglio, mi alzo e controllo speranzoso che il cane sia andato via. Invece è sempre lì, accovacciato vicino all’ingresso del vagone. Faccio colazione con lavash e latte condensato al cioccolato. Questa volta mi faccio intenerire e concedo al cane un po’ del mio cibo. I vestiti di ieri non sono asciugati un granchè, quindi mi cambio almeno la maglietta. Fuori fa freschino, siamo sui 13 gradi alle 7,30, ed anche in questo caso indosso il leggero antivento che ho con me. Lo riporrò poco dopo, alla prima sorgente, rimanendo in maglietta e shorts. La prima parte del cammino è piacevole. Su carrabile sterrata in discesa, si va che è un piacere. Non è neppure troppo ripida, per la felicità di ginocchia e caviglie. Il cielo è nuvoloso, il sole non brucia, la temperatura è fresca e gradevole. Ad un certo punto un giovanissimo cavaliere mi si avvicina. Immagino sia uno di quelli fatti scappare dal cane ieri sera. Scambiamo un po’ di parole e mi suggerisce una scorciatoia che porta pure ad una bella sorgente dove entrambi ci dissetiamo. Poi andiamo in direzione del tugurio in cui abita con i genitori ed altri fratelli. Mi anticipa per avvisare i fratelli ma anche per ammansire i suoi cani che infatti non aggrediscono il mio occasionale compagno di viaggio a quattro zampe. Tre fatelli tra i 6 e i 15 anni, altri cani, una famiglia di pastori...il mio cervello elabora velocemente un piano. Propongo loro di tenersi il mio cucciolone e ne sembrano entusiasti. Sulle prime il cagnolone vorrebbe seguirmi ugualmente, ma poi lo convincono a restare offrendogli uno zuppone e coprendolo di coccole. Riprendo il cammino finalmente da solo, sempre su carrabile e poi per un breve tratto in single track nei pascoli. Raggiungo un borgo di poche case in una bella vallata. Faccio amicizia con un anziano cavaliere e ripristino le scorte d’acqua ad una sorgente. Da qui per un paio d’ore si procede che è un piacere, in leggero falsopiano in discesa, fino a raggiungere un gazebo che scelgo per la pausa pranzo. Nel frattempo però il meteo cambia rapidamente. Sale la nebbia o scendono le nuvole, spinte da un vento gelido che mi costringe di nuovo ad indossare l’antivento e poi anche la mantella. Nei pressi di un gruppo di case, rese quasi invisibili dalla pioggia fitta, vengo aggredito da un paio di cani che allontano gentilmente a pietrate. Un lancio va a segno ed il bersaglio se ne va guaendo con la coda tra le gambe, imitato prudenzialmente dal suo sodale. Sono sempre su una piacevole carrabile, pure troppo. Infatti perdo una deviazione resa invisibile dalla mia distrazione e dalla nebbia. Me ne accorgo dopo quasi un km. Devo tornare indietro per riagganciarmi al sentiero che in realtà non esiste. Una miriade di tracce create da bovini al pascolo, si intreccia e si sovrappone. Perdo costantemente la direzione ed accumulo ritardo su ritardo. Nel frattempo i miei piedi sono zuppi. L’erba alta e fradicia in cui mi trovo a camminare, inzuppa le mie calze. Passo accanto ad un grosso allevamento ed inizio a cercare un riparo per la notte. Un altro tratto di sentiero invisibile nell’erba alta mi stanca e mi sconforta. Poi si entra in un bosco e si procede su sterrato con benefici effetti anche sul morale. Trovo un paio di edifici ma sono chiusi. Poi mi imbatto in un gruppuscolo di casette di pastori. Una signora sta dando da mangiare a delle galline, ma non le chiedo nulla. Ho già individuato i miei possibili ospiti. Un gruppo di quattro signori sta mangiando sotto ad una tettoia (rigorosamente in amianto). Hanno appena macellato un agnello e festeggiano con interiora fritte e vodka. Chiedo loro se abbiano un posto riparato in cui possa fermarmi per la notte. Non solo me lo concedono ma mi invitano a mangiare un po’ di cibo caldo con loro. Inutile dire che qui mancano luce elettrica, gas e segnale telefonico. I bagni sono latrine . L’unico comfort è l’acqua corrente pescata un poco a monte con un tubo di plastica. Il calore umano ricevuto e quello della stufa (che pure mi affumica non poco prima di accendersi) mi rincuorano e mi riempiono di energia positiva. Verso le 20,30 mi preparo per la notte e nel mentre entra nel tugurio assegnatomi, sempre con tetto in amianto, un anziano pastore , probabilmente sordomuto perché non spiaccica parola ma solo alcuni fonemi. Io preparo il giaciglio su un tavolato, lui si siede sul suo pagliericcio e si prepara una sigaretta enorme. Alle 21 sono già in busta. Calano le tenebre e contemporaneamente anche le palpebre, dopo una giornata che mi ha messo a dura prova.
Km 31 D+990
Durante la notte ho patito un po’ il freddo anche perché proprio dietro la testa c’era un fastidioso spiffero e fuori il passo (2300mt) era spazzato da forti venti gelidi. Anche il tavolato non si può dire fosse il massimo del comfort quando scivolavo al di fuori del perimetro del tappetino gonfiabile. Alle 6 sono già sveglio, mi alzo e controllo speranzoso che il cane sia andato via. Invece è sempre lì, accovacciato vicino all’ingresso del vagone. Faccio colazione con lavash e latte condensato al cioccolato. Questa volta mi faccio intenerire e concedo al cane un po’ del mio cibo. I vestiti di ieri non sono asciugati un granchè, quindi mi cambio almeno la maglietta. Fuori fa freschino, siamo sui 13 gradi alle 7,30, ed anche in questo caso indosso il leggero antivento che ho con me. Lo riporrò poco dopo, alla prima sorgente, rimanendo in maglietta e shorts. La prima parte del cammino è piacevole. Su carrabile sterrata in discesa, si va che è un piacere. Non è neppure troppo ripida, per la felicità di ginocchia e caviglie. Il cielo è nuvoloso, il sole non brucia, la temperatura è fresca e gradevole. Ad un certo punto un giovanissimo cavaliere mi si avvicina. Immagino sia uno di quelli fatti scappare dal cane ieri sera. Scambiamo un po’ di parole e mi suggerisce una scorciatoia che porta pure ad una bella sorgente dove entrambi ci dissetiamo. Poi andiamo in direzione del tugurio in cui abita con i genitori ed altri fratelli. Mi anticipa per avvisare i fratelli ma anche per ammansire i suoi cani che infatti non aggrediscono il mio occasionale compagno di viaggio a quattro zampe. Tre fatelli tra i 6 e i 15 anni, altri cani, una famiglia di pastori...il mio cervello elabora velocemente un piano. Propongo loro di tenersi il mio cucciolone e ne sembrano entusiasti. Sulle prime il cagnolone vorrebbe seguirmi ugualmente, ma poi lo convincono a restare offrendogli uno zuppone e coprendolo di coccole. Riprendo il cammino finalmente da solo, sempre su carrabile e poi per un breve tratto in single track nei pascoli. Raggiungo un borgo di poche case in una bella vallata. Faccio amicizia con un anziano cavaliere e ripristino le scorte d’acqua ad una sorgente. Da qui per un paio d’ore si procede che è un piacere, in leggero falsopiano in discesa, fino a raggiungere un gazebo che scelgo per la pausa pranzo. Nel frattempo però il meteo cambia rapidamente. Sale la nebbia o scendono le nuvole, spinte da un vento gelido che mi costringe di nuovo ad indossare l’antivento e poi anche la mantella. Nei pressi di un gruppo di case, rese quasi invisibili dalla pioggia fitta, vengo aggredito da un paio di cani che allontano gentilmente a pietrate. Un lancio va a segno ed il bersaglio se ne va guaendo con la coda tra le gambe, imitato prudenzialmente dal suo sodale. Sono sempre su una piacevole carrabile, pure troppo. Infatti perdo una deviazione resa invisibile dalla mia distrazione e dalla nebbia. Me ne accorgo dopo quasi un km. Devo tornare indietro per riagganciarmi al sentiero che in realtà non esiste. Una miriade di tracce create da bovini al pascolo, si intreccia e si sovrappone. Perdo costantemente la direzione ed accumulo ritardo su ritardo. Nel frattempo i miei piedi sono zuppi. L’erba alta e fradicia in cui mi trovo a camminare, inzuppa le mie calze. Passo accanto ad un grosso allevamento ed inizio a cercare un riparo per la notte. Un altro tratto di sentiero invisibile nell’erba alta mi stanca e mi sconforta. Poi si entra in un bosco e si procede su sterrato con benefici effetti anche sul morale. Trovo un paio di edifici ma sono chiusi. Poi mi imbatto in un gruppuscolo di casette di pastori. Una signora sta dando da mangiare a delle galline, ma non le chiedo nulla. Ho già individuato i miei possibili ospiti. Un gruppo di quattro signori sta mangiando sotto ad una tettoia (rigorosamente in amianto). Hanno appena macellato un agnello e festeggiano con interiora fritte e vodka. Chiedo loro se abbiano un posto riparato in cui possa fermarmi per la notte. Non solo me lo concedono ma mi invitano a mangiare un po’ di cibo caldo con loro. Inutile dire che qui mancano luce elettrica, gas e segnale telefonico. I bagni sono latrine . L’unico comfort è l’acqua corrente pescata un poco a monte con un tubo di plastica. Il calore umano ricevuto e quello della stufa (che pure mi affumica non poco prima di accendersi) mi rincuorano e mi riempiono di energia positiva. Verso le 20,30 mi preparo per la notte e nel mentre entra nel tugurio assegnatomi, sempre con tetto in amianto, un anziano pastore , probabilmente sordomuto perché non spiaccica parola ma solo alcuni fonemi. Io preparo il giaciglio su un tavolato, lui si siede sul suo pagliericcio e si prepara una sigaretta enorme. Alle 21 sono già in busta. Calano le tenebre e contemporaneamente anche le palpebre, dopo una giornata che mi ha messo a dura prova.
Km 31 D+990
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
30 giugno
Dormito piuttosto bene. Vuoi per il tepore della stufa, vuoi per le sue esalazioni. Anche il tavolato su cui ho dormito era più regolare di quello utilizzato ieri. Unico inconveniente: durante la notte il pastore ogni tanto emette dei versi curiosi. Forse sta sognando, forse parla da solo dimentico della mia presenza, in ogni caso fingo di continuare a dormire e non accendo la frontale per vedere cosa succede. Il compagno di tugurio è mattiniero, probabilmente dovrà mungere le mucche. Così quando mi alzo, verso le 7, sono da solo in stanza e posso cambiarmi i vestiti senza problemi. Faccio colazione e dopo un salto alla latrina ed al rubinetto sono pronto a partire. Il pastore capo, quello che mi ha ospitato è nei pressi con un gregge di pecore. Mi saluta e scambiamo due parole. Io vorrei dargli dei soldi per compare qualcosa ai suoi due figli più piccoli, ma lui rifiuta fermamente e anzi mi dice di tornare a trovarlo in compagnia di mia moglie che ci farà un khorovats da manuale. Mi indica la strada da seguire e mi conforta sulla presenza di una sorgente sicura a cui approvvigionarmi poco più a monte. Quando arrivo nei pressi della fontanella mi imbatto in un americano. Ha bivaccato sotto la tettoia di quest’area di sosta, cosa che avrei fatto anche io, condividendo l’esiguo spazio, se non avessi ricevuto quella squisita ospitalità. Mi dice che si è licenziato ed ora sta girando il mondo seguendo l’ispirazione del momento. In qualche modo è finito nel Caucaso, anche perché cerca di viaggiare in luoghi poco costosi (in realtà Yerevan è molto costosa, ma il resto dell’Armenia lo è molto meno). Andiamo in direzione opposta e possiamo quindi scambiarci info e suggerimenti sul prosieguo dei rispettivi cammini. Per molti km procedo in salita costante, con alcuni strappi, su ampia carrabile. Incontro una uaz che viene giù a motore spento seguita da due cani che si rivelano amichevoli, come anche i guidatori. Sono curiosi di sapere dove vado e mi suggeriscono una scorciatoia che però evito in quanto molto ripida e fuori sentiero. Tuttavia poco dopo la carrabile termina nei pressi del pascolo da cui probabilmente provenivano i due signori in jeep e mi trovo nuovamente a procedere in assenza di un sentiero visibile. Una traccia ci sarebbe ma come in altre circostanze risulta difficile da seguire perché si sovrappone ai tracciati creati dalle bestie al pascolo. Siccome le disgrazie non vengono mai sole, nel mentre cala anche la solita nebbia da gran premio della montagna (sono intorno ai 2400 metri). Il muro non è però così spesso da impedirmi la vista di un pastore che si allontana dalla mandria a passo spedito per calarsi le braghe. Quando mi nota se le tira su con una rapidità impressionante, in quanto qui la pudicizia è un sentimento molto radicato. Spero di non averlo interrotto in corso d’opera… Dopo questo scatologico episodio abbandono il crinale per seguire una traccia a mezzacosta che si ricongiunge ad una nuova carrabile. Ora il vento è freddo, saremo intorno ai dieci gradi e la fame inizia a farsi sentire. Stando alla mia mappa dovrebbe esserci un pugno di case. Le immagino disabitate, invece gli ululati di alcuni cani nella nebbia lasciano presagire presenze umane. Per fortuna è così perché questi cani sono pastori del caucaso, di taglia grande, e molto aggressivi. Mi trovo a muovermi tipo giostra del saracino, usando i bastoncini per tenerli a distanza finché la padrona di casa non esce in mio aiuto per contenere a stento la rabbia dei suoi cani. Abbozzo un sorriso dicendole che mi piacciono i cani, ma 4 elementi aggressivi sono un po’ troppo. Noto del fumo uscire dal camino della sua casa e sfrontatamente le chiedo se posso entrare per mangiare qualcosa, specificando che ho del cibo e vorrei solo stare al caldo. Acconsente e mi fa cenno di entrare. Il marito ha appena finito di lavorare il formaggio e c’è un po’ di disordine che forse imbarazza la donna di casa. Il tepore all’interno è molto gradito e mentre estraggo il cibo dallo zaino, la signora si preoccupa di offrirmi un’insalata di pomodori e cetrioli insieme a del formaggio di loro produzione. Il cibo offertomi va ad integrare la mia triste porzione di sardine e piselli in scatola, dopodichè mi viene offerto caffè con caramelle e cioccolatini. Oltre ai padroni di casa sono presenti due vicini giunti qui anche loro per un caffe, quindi non vengo troppo coinvolto nella conversazione come invece di solito mi accade. Altrettanto solitamente, dopo poco la penuria del mio frasario armeno provoca imbarazzati sguardi silenziosi. In questo caso sono più fortunato. Esco tranquillo, convinto che oramai i cani abbiano capito che io non sia un pericolo. Invece mentre mi lascio quel pugno di case alle spalle, sento il signore gridare con voce allarmata. I cani si sono lanciati al mio inseguimento ed i due amici faticano a trattenerli, dovendo ricorrere anche a minacce fisiche e lanci di pietre. Il sentiero ora è molto gradevole e lo sarebbe ancora di più se la visibilità fosse migliore. Si intravedono vallate boschive, fioriture nei pascoli ed ad un certo tratto appare il canyon del fiume Debed: una gola profonda e spettacolare lungo la quale mi troverò a camminare nei prossimi giorni. Arrivato nei pressi di una fontanella la mia traccia GPS si inoltra tra le erbacce, in salita, sulla sinistra. L’app che utilizzo mi suggerisce un altro percorso, su carrabile sterrata, e seguo il consiglio. Il mio itinerario alternativo si rivela meno panoramico di quello originale, ma sicuramente più facile da seguire. Si svolge quasi tutto in discesa nel fitto del bosco e di tanto in tanto compaiono enormi porcini e “roghi” di finferli che a malincuore lascio al loro posto. Raggiungo un piccolo borgo che sembra disabitato e qui la variante propostami si sdoppia ulteriormente. Anche in questo caso decido di seguire il sentiero apparentemente più largo ed agevole, ma che in realtà mi porterà in dote lunghi km di discesa ripida su fondo pietroso. Ginocchia, piedi e caviglie maledicono la mia scelta. E lo faccio anche io quando arrivato nel villaggio di Akner scopro che mi toccheranno circa 4km di saliscendi su strada asfaltata prima di arrivare al posto tappa previsto, dove approdo intorno alle 17,30. Sono a Sanahin, un piccolo paese noto per un monastero patrimonio UNESCO e per aver dato i natali ai fratelli Mikoyan. La cosa che mi preme di più dopo tre giorni allo stato ferino, è una bella doccia calda. Ne faccio menzione alla donna che gestisce la GH, ma costei mi dice che a causa di lavori di ricostruzione della strada gravemente danneggiata da una recente alluvione, hanno appena chiuso l’acqua. Mi tocca lavarmi usando una grossa bacinella di acqua fredda. Ripreso un aspetto umano e lavato a mano calze, shorts e maglietta, mi cambio e vado al monastero prima che questo chiuda. Ci sono stato almeno altre due volte ma è sempre piacevole entrare in queste fortezze della cristinità, anche per ringraziare il fatto di essere arrivato fin qui sano e salvo. Vista l’ora le bancarelle di souvenir hanno già chiuso e pure il prete con la consorte e la figlia (qui i preti possono sposarsi) sembra contare i minuti all’ora di chiusura per il ritorno a casa e la cena in famiglia. Ho comunque tempo per momenti di raccoglimento di fronte ad una candela accesa in ricordo di chi non c’è più. Anni fa in questo monastero capitai poco dopo un sacrificio. Una pietra squadrata aveva tracce di sangue fresco. Ancora oggi ogni tanto i fedeli fanno offerte sacrificali di agnelli e poi invitano i compaesani a pranzo. Sono oramai le 19 passate. Il prete spegne le luci e torna a casa, mentre io torno alla GH perché il museo Mikoyan è già chiuso da un po’. Alle 19,30 è l’ora della cena: la zuppa di pollo, patate e pomodoro fa piacere ma immediatamente mi sporco ed ungo con numerose “medaglie” i pantaloni puliti appena indossati. Segue una frittata di fagiolini con formaggio. Da bere mi offrono una rinfrescante bevanda al dragoncello e un caffe con caramelle al mou. Poi ho modo di chiacchierare con la signora Ala che parla un buon inglese. La gente qui è sempre sorpresa di fronte ad escursionisti di lungo raggio e non mancano domande sul mio cammino e soprattutto sul perché del medesimo. Io nel frattempo valuto la tappa di domani. Il meteo non è dei migliori, mi aspetta un sacco di asfalto su strada trafficata e sono onestamente stanco dopo tre giorni in cui ho sfiorato i miei limiti di resistenza. Decido di eliminare la prossima tappa o meglio di affrontarla con mezzi pubblici e le chiedo conforto sulla presenza e sugli orari dei medesimi, ricevendo indicazioni non troppo precise. Fuori ha ripreso a piovere ed ogni tanto salta anche la luce ma riesco comunque a ricaricare tutti i miei devices. Il bucato è ancora umido ma confido che nella notte finisca di asciugare sullo stendino posto in salotto.
Terza tappa: 31km D+930
Dormito piuttosto bene. Vuoi per il tepore della stufa, vuoi per le sue esalazioni. Anche il tavolato su cui ho dormito era più regolare di quello utilizzato ieri. Unico inconveniente: durante la notte il pastore ogni tanto emette dei versi curiosi. Forse sta sognando, forse parla da solo dimentico della mia presenza, in ogni caso fingo di continuare a dormire e non accendo la frontale per vedere cosa succede. Il compagno di tugurio è mattiniero, probabilmente dovrà mungere le mucche. Così quando mi alzo, verso le 7, sono da solo in stanza e posso cambiarmi i vestiti senza problemi. Faccio colazione e dopo un salto alla latrina ed al rubinetto sono pronto a partire. Il pastore capo, quello che mi ha ospitato è nei pressi con un gregge di pecore. Mi saluta e scambiamo due parole. Io vorrei dargli dei soldi per compare qualcosa ai suoi due figli più piccoli, ma lui rifiuta fermamente e anzi mi dice di tornare a trovarlo in compagnia di mia moglie che ci farà un khorovats da manuale. Mi indica la strada da seguire e mi conforta sulla presenza di una sorgente sicura a cui approvvigionarmi poco più a monte. Quando arrivo nei pressi della fontanella mi imbatto in un americano. Ha bivaccato sotto la tettoia di quest’area di sosta, cosa che avrei fatto anche io, condividendo l’esiguo spazio, se non avessi ricevuto quella squisita ospitalità. Mi dice che si è licenziato ed ora sta girando il mondo seguendo l’ispirazione del momento. In qualche modo è finito nel Caucaso, anche perché cerca di viaggiare in luoghi poco costosi (in realtà Yerevan è molto costosa, ma il resto dell’Armenia lo è molto meno). Andiamo in direzione opposta e possiamo quindi scambiarci info e suggerimenti sul prosieguo dei rispettivi cammini. Per molti km procedo in salita costante, con alcuni strappi, su ampia carrabile. Incontro una uaz che viene giù a motore spento seguita da due cani che si rivelano amichevoli, come anche i guidatori. Sono curiosi di sapere dove vado e mi suggeriscono una scorciatoia che però evito in quanto molto ripida e fuori sentiero. Tuttavia poco dopo la carrabile termina nei pressi del pascolo da cui probabilmente provenivano i due signori in jeep e mi trovo nuovamente a procedere in assenza di un sentiero visibile. Una traccia ci sarebbe ma come in altre circostanze risulta difficile da seguire perché si sovrappone ai tracciati creati dalle bestie al pascolo. Siccome le disgrazie non vengono mai sole, nel mentre cala anche la solita nebbia da gran premio della montagna (sono intorno ai 2400 metri). Il muro non è però così spesso da impedirmi la vista di un pastore che si allontana dalla mandria a passo spedito per calarsi le braghe. Quando mi nota se le tira su con una rapidità impressionante, in quanto qui la pudicizia è un sentimento molto radicato. Spero di non averlo interrotto in corso d’opera… Dopo questo scatologico episodio abbandono il crinale per seguire una traccia a mezzacosta che si ricongiunge ad una nuova carrabile. Ora il vento è freddo, saremo intorno ai dieci gradi e la fame inizia a farsi sentire. Stando alla mia mappa dovrebbe esserci un pugno di case. Le immagino disabitate, invece gli ululati di alcuni cani nella nebbia lasciano presagire presenze umane. Per fortuna è così perché questi cani sono pastori del caucaso, di taglia grande, e molto aggressivi. Mi trovo a muovermi tipo giostra del saracino, usando i bastoncini per tenerli a distanza finché la padrona di casa non esce in mio aiuto per contenere a stento la rabbia dei suoi cani. Abbozzo un sorriso dicendole che mi piacciono i cani, ma 4 elementi aggressivi sono un po’ troppo. Noto del fumo uscire dal camino della sua casa e sfrontatamente le chiedo se posso entrare per mangiare qualcosa, specificando che ho del cibo e vorrei solo stare al caldo. Acconsente e mi fa cenno di entrare. Il marito ha appena finito di lavorare il formaggio e c’è un po’ di disordine che forse imbarazza la donna di casa. Il tepore all’interno è molto gradito e mentre estraggo il cibo dallo zaino, la signora si preoccupa di offrirmi un’insalata di pomodori e cetrioli insieme a del formaggio di loro produzione. Il cibo offertomi va ad integrare la mia triste porzione di sardine e piselli in scatola, dopodichè mi viene offerto caffè con caramelle e cioccolatini. Oltre ai padroni di casa sono presenti due vicini giunti qui anche loro per un caffe, quindi non vengo troppo coinvolto nella conversazione come invece di solito mi accade. Altrettanto solitamente, dopo poco la penuria del mio frasario armeno provoca imbarazzati sguardi silenziosi. In questo caso sono più fortunato. Esco tranquillo, convinto che oramai i cani abbiano capito che io non sia un pericolo. Invece mentre mi lascio quel pugno di case alle spalle, sento il signore gridare con voce allarmata. I cani si sono lanciati al mio inseguimento ed i due amici faticano a trattenerli, dovendo ricorrere anche a minacce fisiche e lanci di pietre. Il sentiero ora è molto gradevole e lo sarebbe ancora di più se la visibilità fosse migliore. Si intravedono vallate boschive, fioriture nei pascoli ed ad un certo tratto appare il canyon del fiume Debed: una gola profonda e spettacolare lungo la quale mi troverò a camminare nei prossimi giorni. Arrivato nei pressi di una fontanella la mia traccia GPS si inoltra tra le erbacce, in salita, sulla sinistra. L’app che utilizzo mi suggerisce un altro percorso, su carrabile sterrata, e seguo il consiglio. Il mio itinerario alternativo si rivela meno panoramico di quello originale, ma sicuramente più facile da seguire. Si svolge quasi tutto in discesa nel fitto del bosco e di tanto in tanto compaiono enormi porcini e “roghi” di finferli che a malincuore lascio al loro posto. Raggiungo un piccolo borgo che sembra disabitato e qui la variante propostami si sdoppia ulteriormente. Anche in questo caso decido di seguire il sentiero apparentemente più largo ed agevole, ma che in realtà mi porterà in dote lunghi km di discesa ripida su fondo pietroso. Ginocchia, piedi e caviglie maledicono la mia scelta. E lo faccio anche io quando arrivato nel villaggio di Akner scopro che mi toccheranno circa 4km di saliscendi su strada asfaltata prima di arrivare al posto tappa previsto, dove approdo intorno alle 17,30. Sono a Sanahin, un piccolo paese noto per un monastero patrimonio UNESCO e per aver dato i natali ai fratelli Mikoyan. La cosa che mi preme di più dopo tre giorni allo stato ferino, è una bella doccia calda. Ne faccio menzione alla donna che gestisce la GH, ma costei mi dice che a causa di lavori di ricostruzione della strada gravemente danneggiata da una recente alluvione, hanno appena chiuso l’acqua. Mi tocca lavarmi usando una grossa bacinella di acqua fredda. Ripreso un aspetto umano e lavato a mano calze, shorts e maglietta, mi cambio e vado al monastero prima che questo chiuda. Ci sono stato almeno altre due volte ma è sempre piacevole entrare in queste fortezze della cristinità, anche per ringraziare il fatto di essere arrivato fin qui sano e salvo. Vista l’ora le bancarelle di souvenir hanno già chiuso e pure il prete con la consorte e la figlia (qui i preti possono sposarsi) sembra contare i minuti all’ora di chiusura per il ritorno a casa e la cena in famiglia. Ho comunque tempo per momenti di raccoglimento di fronte ad una candela accesa in ricordo di chi non c’è più. Anni fa in questo monastero capitai poco dopo un sacrificio. Una pietra squadrata aveva tracce di sangue fresco. Ancora oggi ogni tanto i fedeli fanno offerte sacrificali di agnelli e poi invitano i compaesani a pranzo. Sono oramai le 19 passate. Il prete spegne le luci e torna a casa, mentre io torno alla GH perché il museo Mikoyan è già chiuso da un po’. Alle 19,30 è l’ora della cena: la zuppa di pollo, patate e pomodoro fa piacere ma immediatamente mi sporco ed ungo con numerose “medaglie” i pantaloni puliti appena indossati. Segue una frittata di fagiolini con formaggio. Da bere mi offrono una rinfrescante bevanda al dragoncello e un caffe con caramelle al mou. Poi ho modo di chiacchierare con la signora Ala che parla un buon inglese. La gente qui è sempre sorpresa di fronte ad escursionisti di lungo raggio e non mancano domande sul mio cammino e soprattutto sul perché del medesimo. Io nel frattempo valuto la tappa di domani. Il meteo non è dei migliori, mi aspetta un sacco di asfalto su strada trafficata e sono onestamente stanco dopo tre giorni in cui ho sfiorato i miei limiti di resistenza. Decido di eliminare la prossima tappa o meglio di affrontarla con mezzi pubblici e le chiedo conforto sulla presenza e sugli orari dei medesimi, ricevendo indicazioni non troppo precise. Fuori ha ripreso a piovere ed ogni tanto salta anche la luce ma riesco comunque a ricaricare tutti i miei devices. Il bucato è ancora umido ma confido che nella notte finisca di asciugare sullo stendino posto in salotto.
Terza tappa: 31km D+930
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
1 luglio
Il letto della GH è un po’ cedevole, o forse sembra tale perché negli ultimi due giorni ho dormito su dei tavolacci. In ogni caso dormo bene ed al mattino finalmente posso fare l’agognata doccia calda. Nel frattempo il bucato è asciugato, così dopo un’abbondante colazione posso fare lo zaino ed indossare abiti puliti per andare in visita al museo dedicato ai fratelli Mikoyan. E’ lunedì e sarebbe giorno di chiusura, ma chiedo ad una signora che abita di fronte al museo se sia possibile comunque visitarlo. Fa una telefonata e mi dice di aspettare dieci minuti finché arriva un’attempata donnetta un po’ a corto di fiato. Mi sorride e mi dice che è felice di poter lavorare anche nel giorno di riposo. Sulla porta d’ingresso viene riportato il prezzo del biglietto: 500 dram. Ma lei mi dice che è un cartello vecchio e che il prezzo pieno sia ora di 1000 dram. Sono in ogni caso circa 2 euro e mezzo, è venuta ad aprirmi anche se era giorno di chiusura, per cui non ribatto e pago quanto richiesto. Non parla inglese, il mio armeno è troppo modesto perché possa farmi da guida, così mi lascia libero di curiosare. Per fortuna ci sono molte didascalie in inglese e posso così venire a conoscenza della vita dei fratelli Anastas e Artiom Mikoyan. Il primo, di cui ignoravo l’esistenza, è in realtà il più famoso dei due. Bolscevico della prima ora, sopravvissuto alle mille purghe staliniane, è stato a lungo esponente di spicco del politburo sovietico con importanti deleghe soprattutto legate all’industria alimentare ed alla introduzione e produzione di numerosi generi di consumo. Ancora oggi una delle principali aziende di insaccati nei paesi della sfera ex-sovietica porta il suo nome. Il secondo, di cui invece avevo sentito parlare, è uno dei progettisti del famoso aereo sovietico da combattimento, ossia il famigerato MIG (Mikoyan-Gurevich). Oltre a molte foto che ritraggono la vita dei due, ci sono didascalie che raccontano i motivi che spinsero i due fratelli a quelle singolari scelte di vita. Anastas racconta che nella vicina Alaverdi era, ed è tuttora presente, una miniera di rame. I dirigenti erano quasi tutti stranieri, francesi in particolare, e facevano la bella vita in stile bell’epoque mentre i dipendenti tra cui il fratello maggiore si ammazzavano di lavoro in condizioni malsane per uno stipendio da fame. Questo lo spinse ad abbracciare la rivoluzione bolscevica e gli ideali del comunismo. Carisma ed indubbie doti diplomatiche gli consentirono una lunga carriera ai vertici. Artiom, nato nel 1905, era bambino durante la prima guerra mondiale. Vide i primi aerei da combattimento passare sulla sua testa e già questo lo affascinò. Inoltre un velivolo abbattuto cadde non lontano dal villaggio di Sanahin e il poterne vedere i rottami da vicino alimentò la sua fantasia di fanciullo, spingendolo agli studi di ingegneria. I primi modelli della MIG risalgono ai primi anni 40, ma il successo arriverà soprattutto a partire dagli anni 50 e 60 con il MIG15 ed il MIG21 un’esemplare del quale (privo di cockpit e motore) è esposto all’esterno del museo. Non mancano modellini e foto dei vari modelli, nonché la divisa di volo di un pilota. Il museo è piccolo ma interessante e vi trascorro almeno un’oretta. Poi torno alla guesthouse per recuperare lo zaino e dirigermi verso la piazza del paese, dove ogni 60 minuti parte una marshrutka per Alaverdi. Sono fortunato perché il marito della padrona di casa fa lo stesso tragitto del mezzo pubblico e mi porta fino alla periferia di Alaverdi. Cammino per meno di un chilometro lungo il fiume che ad un certo punto fa un’ansa dove nel mese scorso la potenza delle acque ha eroso la massicciata portandosi via gran parte della strada. Poco oltre si trova la stazione dei bus. Alaverdi è una città brutta e triste, incassata tra i ripidi fianchi di una gola e lambita, spesso inondata, dalle impetuose acque del fiume Debed. Come ciliegina la sovrastante miniera di rame e gli impianti di lavorazione del minerale, le regalano spesso una malsana cappa giallastra. Per fortuna il mio minubus parte tra poco ed ho giusto il tempo di gustarmi uno strepitoso shaurma (quello che in Italia chiamiamo doner kebab, e che qui è decisamente più ricco e gustoso). Sul pulmino ci sono solo un donnone con le borse della spesa e una signora in malarnese che mi chiede se posso dargliene un po’. Non posso che accontentarla e se mi avesse palesato prima la sua fame ne avrei preso uno anche per lei ma oramai è tardi e l’autista mi fa cenno di salire. Per strada raccogliamo un personaggio singolare che avevo notato quando ero sceso dal passaggio in auto. Mezzo storpio, sembrava ubriaco e faceva inutilmente autostop (una pratica che qui solitamente ha successo, se sei presentabile…). Pure lui scenderà ad Ozdun dove la marshurtka transita dopo essersi arrampicata lungo una strada molto ripida che risale i fianchi del debed Canyon. Pure qui sono in corso lavori di manutenzione per ripristinare la strada dopo le frane di maggio. Finisco di mangiare lo shaurma e poi vado alla Guesthouse dove vengo accolto da una giovane coppia dinamica. Per fortuna lei parla inglese e l’accoglienza è molto calorosa. Qui è quasi prassi comune offrire te o caffe con cioccolatini agli ospiti ma loro vanno oltre offrendomi anche una deliziosa torta fatta in casa. Una volta preso possesso della stanza e liberatomi del peso dello zaino, faccio un giro esplorativo di Odzun. Diciamo che oggi, dopo tre giorni pesanti, mi avrebbe atteso una tappa piuttosto brutta con tanto asfalto ed ho colto l’occasione per concedermi una giornata più culturale. Odzun (circa 5000 abitanti) è uno dei paesi più belli in Armenia. La sua posizione è logisticamente strategica. Vicino a vie di comunicazione stradali e ferroviarie importanti, in una bella pianura esposta a solatio che termina con lo strapiombo del Debed canyon da un lato, mentre dall’altro la zona fertile, una delle poche intensamente coltivate in Armenia, è chiusa da belle montagne boscose. Inoltre, forse anche per queste caratteristiche geofisiche, è sempre stato un centro importante dal punto di vista religioso e culturale. La chiesa principale è datata tra il V e il VII secolo, anche se ovviamente dell’edificio originario resta poco. Di quei secoli è però il mirabile bassorilievo che raffigura la madonna con il bambino ed adorna il fonte battesimale. Il parroco parla un po’ di inglese, mi ringrazia per la visita e mi offre alcune spiegazioni sull’edificio, mostrandomi anche dove si trovava una biblioteca segreta quando la chiesa era utilizzata anche come edificio scolastico. Oltre a questo edificio imponente, non c’è moltissimo da vedere. I ruderi di una vecchia chiesa a strapiombo sul canyon sono poco più di un cumulo di macerie, ma nei pressi si trovano quelli di un altro monastero (Horomayr) che conto di visitare domani visto che il TCT passa a mezza costa, dentro al canyon, lambendo questa struttura. Faccio un po’ di spesa per ripristinare le scorte e per cena mi preparo qualcosa nella cucina a disposizione degli ospiti. Quando ho già finito la cena, la gentile Meline mi porta una deliziosa zuppa di patate e malva. Anche se ho la pancia piena, non posso rifiutare una simile delizia.
Il letto della GH è un po’ cedevole, o forse sembra tale perché negli ultimi due giorni ho dormito su dei tavolacci. In ogni caso dormo bene ed al mattino finalmente posso fare l’agognata doccia calda. Nel frattempo il bucato è asciugato, così dopo un’abbondante colazione posso fare lo zaino ed indossare abiti puliti per andare in visita al museo dedicato ai fratelli Mikoyan. E’ lunedì e sarebbe giorno di chiusura, ma chiedo ad una signora che abita di fronte al museo se sia possibile comunque visitarlo. Fa una telefonata e mi dice di aspettare dieci minuti finché arriva un’attempata donnetta un po’ a corto di fiato. Mi sorride e mi dice che è felice di poter lavorare anche nel giorno di riposo. Sulla porta d’ingresso viene riportato il prezzo del biglietto: 500 dram. Ma lei mi dice che è un cartello vecchio e che il prezzo pieno sia ora di 1000 dram. Sono in ogni caso circa 2 euro e mezzo, è venuta ad aprirmi anche se era giorno di chiusura, per cui non ribatto e pago quanto richiesto. Non parla inglese, il mio armeno è troppo modesto perché possa farmi da guida, così mi lascia libero di curiosare. Per fortuna ci sono molte didascalie in inglese e posso così venire a conoscenza della vita dei fratelli Anastas e Artiom Mikoyan. Il primo, di cui ignoravo l’esistenza, è in realtà il più famoso dei due. Bolscevico della prima ora, sopravvissuto alle mille purghe staliniane, è stato a lungo esponente di spicco del politburo sovietico con importanti deleghe soprattutto legate all’industria alimentare ed alla introduzione e produzione di numerosi generi di consumo. Ancora oggi una delle principali aziende di insaccati nei paesi della sfera ex-sovietica porta il suo nome. Il secondo, di cui invece avevo sentito parlare, è uno dei progettisti del famoso aereo sovietico da combattimento, ossia il famigerato MIG (Mikoyan-Gurevich). Oltre a molte foto che ritraggono la vita dei due, ci sono didascalie che raccontano i motivi che spinsero i due fratelli a quelle singolari scelte di vita. Anastas racconta che nella vicina Alaverdi era, ed è tuttora presente, una miniera di rame. I dirigenti erano quasi tutti stranieri, francesi in particolare, e facevano la bella vita in stile bell’epoque mentre i dipendenti tra cui il fratello maggiore si ammazzavano di lavoro in condizioni malsane per uno stipendio da fame. Questo lo spinse ad abbracciare la rivoluzione bolscevica e gli ideali del comunismo. Carisma ed indubbie doti diplomatiche gli consentirono una lunga carriera ai vertici. Artiom, nato nel 1905, era bambino durante la prima guerra mondiale. Vide i primi aerei da combattimento passare sulla sua testa e già questo lo affascinò. Inoltre un velivolo abbattuto cadde non lontano dal villaggio di Sanahin e il poterne vedere i rottami da vicino alimentò la sua fantasia di fanciullo, spingendolo agli studi di ingegneria. I primi modelli della MIG risalgono ai primi anni 40, ma il successo arriverà soprattutto a partire dagli anni 50 e 60 con il MIG15 ed il MIG21 un’esemplare del quale (privo di cockpit e motore) è esposto all’esterno del museo. Non mancano modellini e foto dei vari modelli, nonché la divisa di volo di un pilota. Il museo è piccolo ma interessante e vi trascorro almeno un’oretta. Poi torno alla guesthouse per recuperare lo zaino e dirigermi verso la piazza del paese, dove ogni 60 minuti parte una marshrutka per Alaverdi. Sono fortunato perché il marito della padrona di casa fa lo stesso tragitto del mezzo pubblico e mi porta fino alla periferia di Alaverdi. Cammino per meno di un chilometro lungo il fiume che ad un certo punto fa un’ansa dove nel mese scorso la potenza delle acque ha eroso la massicciata portandosi via gran parte della strada. Poco oltre si trova la stazione dei bus. Alaverdi è una città brutta e triste, incassata tra i ripidi fianchi di una gola e lambita, spesso inondata, dalle impetuose acque del fiume Debed. Come ciliegina la sovrastante miniera di rame e gli impianti di lavorazione del minerale, le regalano spesso una malsana cappa giallastra. Per fortuna il mio minubus parte tra poco ed ho giusto il tempo di gustarmi uno strepitoso shaurma (quello che in Italia chiamiamo doner kebab, e che qui è decisamente più ricco e gustoso). Sul pulmino ci sono solo un donnone con le borse della spesa e una signora in malarnese che mi chiede se posso dargliene un po’. Non posso che accontentarla e se mi avesse palesato prima la sua fame ne avrei preso uno anche per lei ma oramai è tardi e l’autista mi fa cenno di salire. Per strada raccogliamo un personaggio singolare che avevo notato quando ero sceso dal passaggio in auto. Mezzo storpio, sembrava ubriaco e faceva inutilmente autostop (una pratica che qui solitamente ha successo, se sei presentabile…). Pure lui scenderà ad Ozdun dove la marshurtka transita dopo essersi arrampicata lungo una strada molto ripida che risale i fianchi del debed Canyon. Pure qui sono in corso lavori di manutenzione per ripristinare la strada dopo le frane di maggio. Finisco di mangiare lo shaurma e poi vado alla Guesthouse dove vengo accolto da una giovane coppia dinamica. Per fortuna lei parla inglese e l’accoglienza è molto calorosa. Qui è quasi prassi comune offrire te o caffe con cioccolatini agli ospiti ma loro vanno oltre offrendomi anche una deliziosa torta fatta in casa. Una volta preso possesso della stanza e liberatomi del peso dello zaino, faccio un giro esplorativo di Odzun. Diciamo che oggi, dopo tre giorni pesanti, mi avrebbe atteso una tappa piuttosto brutta con tanto asfalto ed ho colto l’occasione per concedermi una giornata più culturale. Odzun (circa 5000 abitanti) è uno dei paesi più belli in Armenia. La sua posizione è logisticamente strategica. Vicino a vie di comunicazione stradali e ferroviarie importanti, in una bella pianura esposta a solatio che termina con lo strapiombo del Debed canyon da un lato, mentre dall’altro la zona fertile, una delle poche intensamente coltivate in Armenia, è chiusa da belle montagne boscose. Inoltre, forse anche per queste caratteristiche geofisiche, è sempre stato un centro importante dal punto di vista religioso e culturale. La chiesa principale è datata tra il V e il VII secolo, anche se ovviamente dell’edificio originario resta poco. Di quei secoli è però il mirabile bassorilievo che raffigura la madonna con il bambino ed adorna il fonte battesimale. Il parroco parla un po’ di inglese, mi ringrazia per la visita e mi offre alcune spiegazioni sull’edificio, mostrandomi anche dove si trovava una biblioteca segreta quando la chiesa era utilizzata anche come edificio scolastico. Oltre a questo edificio imponente, non c’è moltissimo da vedere. I ruderi di una vecchia chiesa a strapiombo sul canyon sono poco più di un cumulo di macerie, ma nei pressi si trovano quelli di un altro monastero (Horomayr) che conto di visitare domani visto che il TCT passa a mezza costa, dentro al canyon, lambendo questa struttura. Faccio un po’ di spesa per ripristinare le scorte e per cena mi preparo qualcosa nella cucina a disposizione degli ospiti. Quando ho già finito la cena, la gentile Meline mi porta una deliziosa zuppa di patate e malva. Anche se ho la pancia piena, non posso rifiutare una simile delizia.
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
2 luglio
La colazione offerta dalla GH si rivela eccellente ed abbondante. Uova strapazzate al pomodoro, formaggio, insalata di pomodori e cetrioli, burro, marmellate e due enormi fette di torta. Tutto fatto in casa con ingredienti provenienti dalla fattoria di famiglia, incluso il te a base di timo ed il compot di frutta. Solo zucchero e caffè non sono di produzione famigliare. Il guaio è che scendendo a fare colazione decido di tenere nei piedi quelle simpatiche ciabattine monouso da hotel, in dotazione agli ospiti, e siccome la scala esterna è bagnata, fin dal primo gradino scivolo e me la faccio rimbalzando sulle chiappe. Cadendo appoggio maldestramente la mano sinistra che rapidamente inizia a gonfiare. Nel frattempo fuori la pioggia è aumentata di intensità e decido di ritardare la partenza. Meline vedendo la mia mano gonfia mi dice se sono sicuro di partire, visto anche il tempo. Per la pioggia spero che il peggio passi presto, per la mano ho in mente un piano B. Oggi dovrei transitare in un difficile sentiero a strapiombo sul canyon. Da quanto ha scritto chi vi è passato prima di me, presenta tratti esposti e scivolosi su roccia e con tratti di vegetazione alta. Decido di prendere il ruzzolone mattiniero come una sorta di presagio e decido a malincuore di rinunciare a questo tratto di sentiero. E’ un tratto spettacolare e che conduce a due monasteri abbandonati altrimenti irraggiungibili, ma è altrettanto pericoloso, soprattutto in caso di pioggia e la mano sinistra dolorante non mi consente nemmeno di fare presa salda sui bastoncini o su altri appigli in caso di necessità. Decido quindi di procedere per un po’ su asfalto, fino ad un villaggio da cui parte un sentiero che conduce al monastero di Kobayr, un autentico gioiello. Informo Meline del mio programma e lei, premurosamente, mi dice che in caso di necessità posso mandarle un messaggio in modo che suo marito venga a prendermi in auto.
Con questo cambiamento di programma e con le garanzie di assistenza ricevute mi metto in moto verso le 9,30 proprio mentre inizia a spiovere. Esco dal centro abitato di Odzun e rapidamente raggiungo il monastero superiore di Horomayr. La perla è il monastero inferiore, appoggiato ai piedi di uno strapiombo e da qui ahimè irraggiungibile. Lo scruto dall’alto senza peraltro riuscire a notare alcuna traccia del sentiero che avrei dovuto percorrere. La vista è impreziosita dal volo maestoso di quattro aquile. La prima mi passa vicinissima regalandomi un'emozione profonda. Mai visto un’aquila da così vicino. Mi sarà passata al massimo a 20/25 metri volando alla mia altezza, librandosi sul vuoto del canyon. La terza e la quarta provo a fotografarle ma con esiti deprimenti. Mi rimetto in moto seguendo un lungo rettilineo dove le auto ed i furgoncini sono rari ma corrono a velocità sostenuta. Camminando su asfalto non ho bisogno dei bastoncini che appoggio alla mano tumefatta per regalarle un po’ di frescura. Quando raggiungo il paesino di Aygestan decido di liberarmi del peso dello zaino per affrontare il sentiero mappato che conduce a Kobayr in circa 70 minuti. Si ma dove lasciare la mia casa mobile? Pensavo di cercare un negozietto, ma poi vedo l’ufficetto postale che risulta aperto dalle 10 alle 16 ora in cui dovrei essere di ritorno. Entro nella saletta che costituisce l’ufficio e che ricorda una sala d’aspetto ferroviaria degli anni 80. Dietro al bancone una donna che mi guarda stupida ed il suo aiutante: un bambino cicciottello, immagino sia il figlio, che mi guarda divertito con l’ingenuità tipica dei fanciulli. Con il mio zoppicante armeno dopo i saluti le spiego il mio programma e le chiedo se posso lasciare lo zaino in quella stanzetta. La donna acconsente ed armato solo di bastoncini, cellulare, acqua sfido la pioggia ritornata a farmi compagnia e mi dirigo verso lo strapiombo. Una volta lì mi rendo conto di quanto sia difficile e pericoloso il sentiero alternativo. Scendo per alcune decine di metri tra salti su roccia e vegetazione al ginocchio. Per fortuna è presente un corrimano ma è alla mia sinistra e con la mano dolorante non riesco ad effettuare una presa salda. Scivolo un paio di volte e poi decido di rinunciare. Faticosamente risalgo le poche decine di metri che avevo appena disceso e torno a prendere lo zaino alle Poste. La postina sembra sollevata nel vedermi tornare ed approva la mia dichiarazione: troppo pericoloso con questo tempo.
A questo punto posso solo proseguire su asfalto fino a quello che sarebbe stato il terminale di tappa, ossia il villaggio di Tsater. Passo per Arevatsag dove sosto a bere nella fontanella che si trova lungo la strada. Di fronte i monumenti ai caduti: il più grande è per la seconda guerra mondiale, gli altri due per le guerre nel Nagorno Karabakh a cui questo piccolo paese ha pagato il tributo con il sangue di tre ventenni. Alla periferia del paese una carrabile scende per ricongiungersi al TCT. Penso di ricongiungermi al tracciato proprio qui, domattina. Una collaboratrice di mia moglie è originaria di Tsater e suo fratello avrebbe dovuto ospitarmi, ma siccome è andato nella capitale per questioni personali ha delegato i suoi cugini ad ospitarmi per la notte. Quando dopo alcune peripezie trovo la loro dimora, vengo accolto calorosamente. Mi propongono una doccia calda e un caffe con dolcetti, mentre la donna di casa è ai fornelli per cucinarmi qualcosa. Mi sembra troppo approfittare della loro ospitalità, così decido di fermarmi solo per mangiare qualcosa e darmi una lavata sommaria. Ho in mente di contattare Meline per farmi venire a prendere e tornare ad Ozun, così dico loro che c’è stato un fraintendimento e che non mi fermerò per la notte ma solo per mangiare un boccone, in modo da riprendere il cammino e dormire in tenda poco più avanti. Temo di offenderli a dire loro la verità. Il boccone offertomi è piuttosto abbondante: pesce e patate fritte, formaggi di produzione locale ed insalata. Poi l’uomo di casa si offre di portarmi ad Arevatsag, dove avevo immaginato di ricollegarmi al TCT. Mi carica sulla sua vetusta Volga e lungo la strada offre anche un passaggio ad una donna con bambino. Nel frattempo io avevo già allertato Meline. Fingo di mettermi in cammino e poi aspetto che vengano a prendermi i gestori della guesthouse di Odzun. Verso le 18 sono di nuovo al punto di partenza. Oggi è il compleanno della mamma di Meline che quindi non potrà prestarmi le attenzioni di ieri, ma prima di andare via mi offre un caffe con una fetta di torta e mi lascia ghiaccio ed un unguento da applicare sulla mano dolorante. Dopo il cibo di tsater non ho molta fame e mi limito a comprare un khachapuri al formaggio che accompagno al delizioso "rejan" (simile al kajmak dei Balcani) e dei dolcetti in un vicino negozio di alimentari. Poi mi corico abbastanza presto, sperando che la mano migliori nella notte.
La colazione offerta dalla GH si rivela eccellente ed abbondante. Uova strapazzate al pomodoro, formaggio, insalata di pomodori e cetrioli, burro, marmellate e due enormi fette di torta. Tutto fatto in casa con ingredienti provenienti dalla fattoria di famiglia, incluso il te a base di timo ed il compot di frutta. Solo zucchero e caffè non sono di produzione famigliare. Il guaio è che scendendo a fare colazione decido di tenere nei piedi quelle simpatiche ciabattine monouso da hotel, in dotazione agli ospiti, e siccome la scala esterna è bagnata, fin dal primo gradino scivolo e me la faccio rimbalzando sulle chiappe. Cadendo appoggio maldestramente la mano sinistra che rapidamente inizia a gonfiare. Nel frattempo fuori la pioggia è aumentata di intensità e decido di ritardare la partenza. Meline vedendo la mia mano gonfia mi dice se sono sicuro di partire, visto anche il tempo. Per la pioggia spero che il peggio passi presto, per la mano ho in mente un piano B. Oggi dovrei transitare in un difficile sentiero a strapiombo sul canyon. Da quanto ha scritto chi vi è passato prima di me, presenta tratti esposti e scivolosi su roccia e con tratti di vegetazione alta. Decido di prendere il ruzzolone mattiniero come una sorta di presagio e decido a malincuore di rinunciare a questo tratto di sentiero. E’ un tratto spettacolare e che conduce a due monasteri abbandonati altrimenti irraggiungibili, ma è altrettanto pericoloso, soprattutto in caso di pioggia e la mano sinistra dolorante non mi consente nemmeno di fare presa salda sui bastoncini o su altri appigli in caso di necessità. Decido quindi di procedere per un po’ su asfalto, fino ad un villaggio da cui parte un sentiero che conduce al monastero di Kobayr, un autentico gioiello. Informo Meline del mio programma e lei, premurosamente, mi dice che in caso di necessità posso mandarle un messaggio in modo che suo marito venga a prendermi in auto.
Con questo cambiamento di programma e con le garanzie di assistenza ricevute mi metto in moto verso le 9,30 proprio mentre inizia a spiovere. Esco dal centro abitato di Odzun e rapidamente raggiungo il monastero superiore di Horomayr. La perla è il monastero inferiore, appoggiato ai piedi di uno strapiombo e da qui ahimè irraggiungibile. Lo scruto dall’alto senza peraltro riuscire a notare alcuna traccia del sentiero che avrei dovuto percorrere. La vista è impreziosita dal volo maestoso di quattro aquile. La prima mi passa vicinissima regalandomi un'emozione profonda. Mai visto un’aquila da così vicino. Mi sarà passata al massimo a 20/25 metri volando alla mia altezza, librandosi sul vuoto del canyon. La terza e la quarta provo a fotografarle ma con esiti deprimenti. Mi rimetto in moto seguendo un lungo rettilineo dove le auto ed i furgoncini sono rari ma corrono a velocità sostenuta. Camminando su asfalto non ho bisogno dei bastoncini che appoggio alla mano tumefatta per regalarle un po’ di frescura. Quando raggiungo il paesino di Aygestan decido di liberarmi del peso dello zaino per affrontare il sentiero mappato che conduce a Kobayr in circa 70 minuti. Si ma dove lasciare la mia casa mobile? Pensavo di cercare un negozietto, ma poi vedo l’ufficetto postale che risulta aperto dalle 10 alle 16 ora in cui dovrei essere di ritorno. Entro nella saletta che costituisce l’ufficio e che ricorda una sala d’aspetto ferroviaria degli anni 80. Dietro al bancone una donna che mi guarda stupida ed il suo aiutante: un bambino cicciottello, immagino sia il figlio, che mi guarda divertito con l’ingenuità tipica dei fanciulli. Con il mio zoppicante armeno dopo i saluti le spiego il mio programma e le chiedo se posso lasciare lo zaino in quella stanzetta. La donna acconsente ed armato solo di bastoncini, cellulare, acqua sfido la pioggia ritornata a farmi compagnia e mi dirigo verso lo strapiombo. Una volta lì mi rendo conto di quanto sia difficile e pericoloso il sentiero alternativo. Scendo per alcune decine di metri tra salti su roccia e vegetazione al ginocchio. Per fortuna è presente un corrimano ma è alla mia sinistra e con la mano dolorante non riesco ad effettuare una presa salda. Scivolo un paio di volte e poi decido di rinunciare. Faticosamente risalgo le poche decine di metri che avevo appena disceso e torno a prendere lo zaino alle Poste. La postina sembra sollevata nel vedermi tornare ed approva la mia dichiarazione: troppo pericoloso con questo tempo.
A questo punto posso solo proseguire su asfalto fino a quello che sarebbe stato il terminale di tappa, ossia il villaggio di Tsater. Passo per Arevatsag dove sosto a bere nella fontanella che si trova lungo la strada. Di fronte i monumenti ai caduti: il più grande è per la seconda guerra mondiale, gli altri due per le guerre nel Nagorno Karabakh a cui questo piccolo paese ha pagato il tributo con il sangue di tre ventenni. Alla periferia del paese una carrabile scende per ricongiungersi al TCT. Penso di ricongiungermi al tracciato proprio qui, domattina. Una collaboratrice di mia moglie è originaria di Tsater e suo fratello avrebbe dovuto ospitarmi, ma siccome è andato nella capitale per questioni personali ha delegato i suoi cugini ad ospitarmi per la notte. Quando dopo alcune peripezie trovo la loro dimora, vengo accolto calorosamente. Mi propongono una doccia calda e un caffe con dolcetti, mentre la donna di casa è ai fornelli per cucinarmi qualcosa. Mi sembra troppo approfittare della loro ospitalità, così decido di fermarmi solo per mangiare qualcosa e darmi una lavata sommaria. Ho in mente di contattare Meline per farmi venire a prendere e tornare ad Ozun, così dico loro che c’è stato un fraintendimento e che non mi fermerò per la notte ma solo per mangiare un boccone, in modo da riprendere il cammino e dormire in tenda poco più avanti. Temo di offenderli a dire loro la verità. Il boccone offertomi è piuttosto abbondante: pesce e patate fritte, formaggi di produzione locale ed insalata. Poi l’uomo di casa si offre di portarmi ad Arevatsag, dove avevo immaginato di ricollegarmi al TCT. Mi carica sulla sua vetusta Volga e lungo la strada offre anche un passaggio ad una donna con bambino. Nel frattempo io avevo già allertato Meline. Fingo di mettermi in cammino e poi aspetto che vengano a prendermi i gestori della guesthouse di Odzun. Verso le 18 sono di nuovo al punto di partenza. Oggi è il compleanno della mamma di Meline che quindi non potrà prestarmi le attenzioni di ieri, ma prima di andare via mi offre un caffe con una fetta di torta e mi lascia ghiaccio ed un unguento da applicare sulla mano dolorante. Dopo il cibo di tsater non ho molta fame e mi limito a comprare un khachapuri al formaggio che accompagno al delizioso "rejan" (simile al kajmak dei Balcani) e dei dolcetti in un vicino negozio di alimentari. Poi mi corico abbastanza presto, sperando che la mano migliori nella notte.
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Gli incontri e la rustica ospitalità dei pastori in mezzo al nulla mi ricorda come dovevano apparire le Alpi nell'Ottoccento, quando erano più abitate, come emerge dai resoconti degli alpinisti dell'epoca. Oggi invece è raro incontrare pastori, perché negli alpeggi remoti si portano quasi solo animali da carne, che sono lasciati soli tutta l'estate
Sul pastore desnudo: gli avrei chiesto se pure lì usano il tasso barbasso come carta igienica però non saprei come farlo in armeno
Sul pastore desnudo: gli avrei chiesto se pure lì usano il tasso barbasso come carta igienica però non saprei come farlo in armeno
ma che colpa io posso avere se la montagna presenta tanto di bello, che lo scritto ed il discorso diventano prolissi per accennare solo di volo ciò ch'essa porge d'interessante all'osservazione
M. Baretti, “Per rupi e ghiacci: frammenti alpini”, 1875
M. Baretti, “Per rupi e ghiacci: frammenti alpini”, 1875
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Indubbiamente si, da noi è difficile fare certi incontri.awretus wrote: ↑Tue Jul 16, 2024 18:46Gli incontri e la rustica ospitalità dei pastori in mezzo al nulla mi ricorda come dovevano apparire le Alpi nell'Ottoccento, quando erano più abitate, come emerge dai resoconti degli alpinisti dell'epoca. Oggi invece è raro incontrare pastori, perché negli alpeggi remoti si portano quasi solo animali da carne, che sono lasciati soli tutta l'estate
Sul pastore desnudo: gli avrei chiesto se pure lì usano il tasso barbasso come carta igienica però non saprei come farlo in armeno
Le differenze culturali e linguistiche, ma la comune volontà di comunicare inoltre fanno si che l'aspetto umano in queste lande spesso finisca per essere ancora più importante di quello paesaggistico.
PS: il tipo che andava "in bagno" aveva della carta igienica in mano
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
3 luglio
Questa volta per scendere a fare colazione indosso prudenzialmente i miei sandali con suola vibram, ma per fortuna la scala è comunque asciutta. Ancora una volta godo dell’ottimo cibo propostomi. Le uova oggi sono sode. Mi colpisce il colore e la consistenza del tuorlo, abituato come sono a uova di allevamento invece che ruspanti… La mano è ancora più gonfia ma meno dolorante, applico ancora un po’ di ghiaccio dopo colazione e poi l’unguento miracoloso donatomi da Meline. E’ il momento di mettersi in viaggio. Davit mi riporta in auto dove mi aveva raccolto ieri pomeriggio, ossia proprio dove contavo di ripartire. Un anziano del posto scruta le mie manovre, sento che chiede a Davit di dove sono. Probabilmente sperava fossi russo in modo da poter conversare un po’. Il primo tratto è in discesa su carrabile ed incontro come al solito due cani piuttosto aggressivi ma a distanza di sicurezza. Dopo un’improvvisa esigenza fisiologica riprendo il cammino che in breve mi porta nei pressi di una fortezza abbandonata e della sunrise rock o Tsitskar in lingua madre. Si tratta di uno sperone di roccia che si erge quasi verticale su un laghetto formato dal fiume Dzoraget ed è uno dei luoghi preferiti dagli instagrammer armeni per la scenograficità ma soprattutto perché facilmente raggiungibile in auto. Mentre costeggio il torrente non posso fare a meno di notare l’abbondanza di pattume. Qui, soprattutto nei villaggi, i torrenti vengono spesso considerati come discariche e trattati come tali anche da molti merenderos del fine settimana. Nel mentre cade qualche goccia di pioggia ma non è necessario indossare la mantella e neppure l’antivento, anzi un po’ di frescura fa piacere. Abbandono il TCT per una breve deviazione che porta al monastero abbandonato di Hnevank. Una struttura che potrebbe anche prestarsi a bivacco di emergenza, sebbene nei dintorni non ci siano sorgenti d’acqua. Torno al percorso del TCT che in breve diventa un single track, quasi invisibile tra erba alta e cespugli, che si arrampica risalendo il ripido versante del canyon. La stanchezza mi concede alcune soste per ammirare il panorama man mano che salgo. Quando inizio a vedere rottami e rifiuti vari sul percorso capisco di essere oramai nei pressi del villaggio di Kurtan. Alcune rientranze forse ripari di emergenza o forse improvvisate alcove riportano graffiti con nomi e date. Quando passo per la via principale è in corso un funerale e la quasi totalità degli abitanti è in strada. Entro in un negozietto di alimentari. Quello che cerco, ossia un khachapuri, non c’è allora il titolare che parla un po’ di inglese mi offre dei dolcetti. Prendo anche una bottiglietta d’acqua fresca e lui non vorrebbe essere pagato: “present” insiste a dire ma io insisto ed alla fine mi fa un po’ di sconto.
Pranzo sulla panchina della fermata di un autobus mentre riprova a piovere. Le gocce aumentano di intensità ma solo per una mezzoretta proprio mentre mi trovo a transitare su un tratto molto fangoso che rende i miei scarponi pesantissimi. Poi il sole fa capolino tra le nuvole che spesso hanno la meglio ma senza portare pioggia. Nel mio incedere vengo invitato per un caffe con cioccolatini da una coppia di apicoltori e poi da due pastori che mi mettono in guardia sulla presenza di lupi ed orsi. Un po’ per tranquillizzarli, un po’ per fare il duro, dico loro che non c’è problema e mentendo aggiungo che ho con me una pistola. Per un paio di ore continuo a salire. In cima all’ultimo strappo incontro un ragazzino al pascolo. Lui parla un po’ di inglese, io un po’ di armeno. Ci salutiamo e poi gli chiedo consigli su come tornare sulla traccia del TCT visto che il mio istinto mi ha portato fuori percorso. Per ritornare sulla strada giusta devo proprio passare davanti alla baracca in cui lui ed i suoi genitori passano l’estate. Sono una coppia giovane e il figlio ha 15 anni. Mi invitano per un caffe che poi diventa un te con frittelle di verdure e formaggi di loro produzione di cui vorrebbero donarmene un bel pezzo.
Riprendo il cammino che dopo uno strappo iniziale è tutto in discesa su sentiero ripido e fangoso che richiede attenzione. Ancora una volta trovo funghi porcini sul sentiero ed ancora una volta non li raccolgo. Quando arrivo nei pressi del Dendropark, un luogo molto turistico per gli Armeni, immerso in una foresta di abeti, il sentiero diventa un po’ intricato. In realtà ho preso una scorciatoia che dopo lo scavalicamento di un filo spinato conduce dritto dritto al cuore del parco. Qui trovo delle belle casupole, con giardini curati, che ricordano più la campagna inglese di quella armena, ma anche una sorgente a cui attingo per ripristinare le mie scorte di acqua. All’uscita del parco ci sono alcuni guardiani ma nessuno mi chiede se avevo il biglietto. Una venditrice insiste per vendermi alcuni prodotti a base di gemme di pino. Io continuo a scendere in cerca di un riparo per la notte. Dopo circa un’ora di cammino trovo un edificio abbandonato in mezzo alla foresta. Decido di accamparmi qui sebbene sia una delle poche zone infestate da zanzare in tutta l’Armenia. Mangio la mia parca cena fuori dalla tenda e le zanzare mangiano me. Poi appena inizia a fare buio mi corico. Domani voglio partire il prima possibile per godermi un po’ di riposo a Stepanavan prima di tornare a Yerevan. Il fondo un po’ duro ed alcuni richiami di animali notturni mi svegliano di tanto in tanto. Nella zona ci sono anche sciacalli. Ne ignoro il verso ma un rumore simile ad un abbaiare di cane mi ha fatto pensare a loro. La scelta del luogo in cui bivaccare si rivela giusta perché verranno alcuni scrosci d’acqua.
Questa volta per scendere a fare colazione indosso prudenzialmente i miei sandali con suola vibram, ma per fortuna la scala è comunque asciutta. Ancora una volta godo dell’ottimo cibo propostomi. Le uova oggi sono sode. Mi colpisce il colore e la consistenza del tuorlo, abituato come sono a uova di allevamento invece che ruspanti… La mano è ancora più gonfia ma meno dolorante, applico ancora un po’ di ghiaccio dopo colazione e poi l’unguento miracoloso donatomi da Meline. E’ il momento di mettersi in viaggio. Davit mi riporta in auto dove mi aveva raccolto ieri pomeriggio, ossia proprio dove contavo di ripartire. Un anziano del posto scruta le mie manovre, sento che chiede a Davit di dove sono. Probabilmente sperava fossi russo in modo da poter conversare un po’. Il primo tratto è in discesa su carrabile ed incontro come al solito due cani piuttosto aggressivi ma a distanza di sicurezza. Dopo un’improvvisa esigenza fisiologica riprendo il cammino che in breve mi porta nei pressi di una fortezza abbandonata e della sunrise rock o Tsitskar in lingua madre. Si tratta di uno sperone di roccia che si erge quasi verticale su un laghetto formato dal fiume Dzoraget ed è uno dei luoghi preferiti dagli instagrammer armeni per la scenograficità ma soprattutto perché facilmente raggiungibile in auto. Mentre costeggio il torrente non posso fare a meno di notare l’abbondanza di pattume. Qui, soprattutto nei villaggi, i torrenti vengono spesso considerati come discariche e trattati come tali anche da molti merenderos del fine settimana. Nel mentre cade qualche goccia di pioggia ma non è necessario indossare la mantella e neppure l’antivento, anzi un po’ di frescura fa piacere. Abbandono il TCT per una breve deviazione che porta al monastero abbandonato di Hnevank. Una struttura che potrebbe anche prestarsi a bivacco di emergenza, sebbene nei dintorni non ci siano sorgenti d’acqua. Torno al percorso del TCT che in breve diventa un single track, quasi invisibile tra erba alta e cespugli, che si arrampica risalendo il ripido versante del canyon. La stanchezza mi concede alcune soste per ammirare il panorama man mano che salgo. Quando inizio a vedere rottami e rifiuti vari sul percorso capisco di essere oramai nei pressi del villaggio di Kurtan. Alcune rientranze forse ripari di emergenza o forse improvvisate alcove riportano graffiti con nomi e date. Quando passo per la via principale è in corso un funerale e la quasi totalità degli abitanti è in strada. Entro in un negozietto di alimentari. Quello che cerco, ossia un khachapuri, non c’è allora il titolare che parla un po’ di inglese mi offre dei dolcetti. Prendo anche una bottiglietta d’acqua fresca e lui non vorrebbe essere pagato: “present” insiste a dire ma io insisto ed alla fine mi fa un po’ di sconto.
Pranzo sulla panchina della fermata di un autobus mentre riprova a piovere. Le gocce aumentano di intensità ma solo per una mezzoretta proprio mentre mi trovo a transitare su un tratto molto fangoso che rende i miei scarponi pesantissimi. Poi il sole fa capolino tra le nuvole che spesso hanno la meglio ma senza portare pioggia. Nel mio incedere vengo invitato per un caffe con cioccolatini da una coppia di apicoltori e poi da due pastori che mi mettono in guardia sulla presenza di lupi ed orsi. Un po’ per tranquillizzarli, un po’ per fare il duro, dico loro che non c’è problema e mentendo aggiungo che ho con me una pistola. Per un paio di ore continuo a salire. In cima all’ultimo strappo incontro un ragazzino al pascolo. Lui parla un po’ di inglese, io un po’ di armeno. Ci salutiamo e poi gli chiedo consigli su come tornare sulla traccia del TCT visto che il mio istinto mi ha portato fuori percorso. Per ritornare sulla strada giusta devo proprio passare davanti alla baracca in cui lui ed i suoi genitori passano l’estate. Sono una coppia giovane e il figlio ha 15 anni. Mi invitano per un caffe che poi diventa un te con frittelle di verdure e formaggi di loro produzione di cui vorrebbero donarmene un bel pezzo.
Riprendo il cammino che dopo uno strappo iniziale è tutto in discesa su sentiero ripido e fangoso che richiede attenzione. Ancora una volta trovo funghi porcini sul sentiero ed ancora una volta non li raccolgo. Quando arrivo nei pressi del Dendropark, un luogo molto turistico per gli Armeni, immerso in una foresta di abeti, il sentiero diventa un po’ intricato. In realtà ho preso una scorciatoia che dopo lo scavalicamento di un filo spinato conduce dritto dritto al cuore del parco. Qui trovo delle belle casupole, con giardini curati, che ricordano più la campagna inglese di quella armena, ma anche una sorgente a cui attingo per ripristinare le mie scorte di acqua. All’uscita del parco ci sono alcuni guardiani ma nessuno mi chiede se avevo il biglietto. Una venditrice insiste per vendermi alcuni prodotti a base di gemme di pino. Io continuo a scendere in cerca di un riparo per la notte. Dopo circa un’ora di cammino trovo un edificio abbandonato in mezzo alla foresta. Decido di accamparmi qui sebbene sia una delle poche zone infestate da zanzare in tutta l’Armenia. Mangio la mia parca cena fuori dalla tenda e le zanzare mangiano me. Poi appena inizia a fare buio mi corico. Domani voglio partire il prima possibile per godermi un po’ di riposo a Stepanavan prima di tornare a Yerevan. Il fondo un po’ duro ed alcuni richiami di animali notturni mi svegliano di tanto in tanto. Nella zona ci sono anche sciacalli. Ne ignoro il verso ma un rumore simile ad un abbaiare di cane mi ha fatto pensare a loro. La scelta del luogo in cui bivaccare si rivela giusta perché verranno alcuni scrosci d’acqua.
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
4 luglio
Verso le cinque vengo svegliato da un mega concerto di uccelli che festeggiano il sorgere del sole. Attendo fino alle sei e poi faccio colazione. Come al solito ci metto parecchio a sbaraccare e riesco a partire solo dopo le sette e mezza. Il sentiero è ampio e punteggiato di funghi di ogni tipo in quanto la zona è molto umida. Raggiungo in breve l’abitato di GarGar che evoca ricordi di Star wars per assonanza con JarJar. La gente qui mi sembra meno affabile, forse è solo che mi sto avvicinando alla civiltà.
Nei pressi di Pushkino passo accanto ad una base militare e sento i passi cadenzati dei militari incitati dal Sergente Hartman di turno. Speriamo siano esercitazioni fini a se stesse e che non ci siano nuovi conflitti in arrivo. Nel cortile della scuola del paese ripristino le mie scorte d’acqua. Oramai manca poco e non riempio tutte le mie borracce. Si cammina a lungo su una carrabile, un po’ fangosa un po’ *qui si parla bene!* per le abbondanti deiezioni dei bovini allevati alla periferia del paese. Poco male, ho modo di ripulire le scarpe effettuando un guado dove l’acqua arriva a metà polpaccio. Avevo già deciso di abbandonare gli scarponi e le calze una volta arrivato, quindi contrariamente al solito non me li levo per indossare i sandali prima di entrare in acqua. Manca solo un ultimo strappo che mi vede arrancare sotto lo sguardo indifferente di alcune mucche e quelli forse interessati di alcuni militari accampati poco lontano. Arrivato al valico si inizia ad intravvedere Stepanavan e sul mio viso appare l’emozione con tanto di lacrime catartiche. Gli ultimi km sono piacevoli sebbene il primo tratto sia piuttosto ripido ed ostico per le ginocchia. All’ingresso di Stepanavan un grosso cartellone riporta la mappa e le caratteristiche del Trans Caucasian Trail. Una signora mi chiede da dove arrivo e dove sono diretto e si complimenta per il mio fluente armeno (in realtà molto lacunoso e stentato). La piazza del paese è già rovente, ma c’è una fontanella e mi fermo per darmi una sciacquata e cambiarmi di abiti. Indosso pantaloni lunghi e cambio la maglietta. Scarponi e calze li abbandono con la speranza che almeno i primi possano essere riciclati da qualche contadino del posto. Cerco un posto dove mangiare qualcosa e mi concedo un maxi shaurma di pollo con una pepsi cola. Mi attardo un po’ nel mangiare e finisco con il perdere il taxi collettivo delle 12. La ragazza della tavola calda mi dice che il prossimo sarà alle 15. Ho quindi un po’ di tempo per camminare per questa cittadina, cosa che faccio dopo aver lasciato zaino e bastoncini dietro al bancone. Stepanavan è in una bella posizione, è piuttosto conosciuta per il turismo locale ma in realtà da vedere c’è ben poco.
Visito quindi una chiesetta e vago senza meta mentre alcuni MIG, probabilmente partiti dalla vicina base di Gyumri, sorvolano la mia testa regalandomi volute e picchiate spettacolari. Dopo una breve pennica su una panchina all’ombra, un caffe ed un gelato contribuiscono ad ammazzare il tempo.
Poco prima delle 15 sono al luogo di partenza del taxi collettivo. Inizialmente siamo solo io ed un ragazzo armeno che vive in Russia. Strada facendo raccogliamo sia persone che materiali da portare a Yerevan o altre località lungo il tragitto. In uscita da Vanadzor la strada è in rifacimento e l’autista da il meglio per provare a farci vomitare, ma resistiamo stoicamente.
Poco dopo le 17 siamo alla stazione Kilikia dei bus alla periferia di Yerevan. Un autobus mi porta a due passi da casa.
In frigo ho una birra ghiacciata ad aspettarmi e decido di comprare un ajarian khachapuri per festeggiare il rientro a casa.
Verso le cinque vengo svegliato da un mega concerto di uccelli che festeggiano il sorgere del sole. Attendo fino alle sei e poi faccio colazione. Come al solito ci metto parecchio a sbaraccare e riesco a partire solo dopo le sette e mezza. Il sentiero è ampio e punteggiato di funghi di ogni tipo in quanto la zona è molto umida. Raggiungo in breve l’abitato di GarGar che evoca ricordi di Star wars per assonanza con JarJar. La gente qui mi sembra meno affabile, forse è solo che mi sto avvicinando alla civiltà.
Nei pressi di Pushkino passo accanto ad una base militare e sento i passi cadenzati dei militari incitati dal Sergente Hartman di turno. Speriamo siano esercitazioni fini a se stesse e che non ci siano nuovi conflitti in arrivo. Nel cortile della scuola del paese ripristino le mie scorte d’acqua. Oramai manca poco e non riempio tutte le mie borracce. Si cammina a lungo su una carrabile, un po’ fangosa un po’ *qui si parla bene!* per le abbondanti deiezioni dei bovini allevati alla periferia del paese. Poco male, ho modo di ripulire le scarpe effettuando un guado dove l’acqua arriva a metà polpaccio. Avevo già deciso di abbandonare gli scarponi e le calze una volta arrivato, quindi contrariamente al solito non me li levo per indossare i sandali prima di entrare in acqua. Manca solo un ultimo strappo che mi vede arrancare sotto lo sguardo indifferente di alcune mucche e quelli forse interessati di alcuni militari accampati poco lontano. Arrivato al valico si inizia ad intravvedere Stepanavan e sul mio viso appare l’emozione con tanto di lacrime catartiche. Gli ultimi km sono piacevoli sebbene il primo tratto sia piuttosto ripido ed ostico per le ginocchia. All’ingresso di Stepanavan un grosso cartellone riporta la mappa e le caratteristiche del Trans Caucasian Trail. Una signora mi chiede da dove arrivo e dove sono diretto e si complimenta per il mio fluente armeno (in realtà molto lacunoso e stentato). La piazza del paese è già rovente, ma c’è una fontanella e mi fermo per darmi una sciacquata e cambiarmi di abiti. Indosso pantaloni lunghi e cambio la maglietta. Scarponi e calze li abbandono con la speranza che almeno i primi possano essere riciclati da qualche contadino del posto. Cerco un posto dove mangiare qualcosa e mi concedo un maxi shaurma di pollo con una pepsi cola. Mi attardo un po’ nel mangiare e finisco con il perdere il taxi collettivo delle 12. La ragazza della tavola calda mi dice che il prossimo sarà alle 15. Ho quindi un po’ di tempo per camminare per questa cittadina, cosa che faccio dopo aver lasciato zaino e bastoncini dietro al bancone. Stepanavan è in una bella posizione, è piuttosto conosciuta per il turismo locale ma in realtà da vedere c’è ben poco.
Visito quindi una chiesetta e vago senza meta mentre alcuni MIG, probabilmente partiti dalla vicina base di Gyumri, sorvolano la mia testa regalandomi volute e picchiate spettacolari. Dopo una breve pennica su una panchina all’ombra, un caffe ed un gelato contribuiscono ad ammazzare il tempo.
Poco prima delle 15 sono al luogo di partenza del taxi collettivo. Inizialmente siamo solo io ed un ragazzo armeno che vive in Russia. Strada facendo raccogliamo sia persone che materiali da portare a Yerevan o altre località lungo il tragitto. In uscita da Vanadzor la strada è in rifacimento e l’autista da il meglio per provare a farci vomitare, ma resistiamo stoicamente.
Poco dopo le 17 siamo alla stazione Kilikia dei bus alla periferia di Yerevan. Un autobus mi porta a due passi da casa.
In frigo ho una birra ghiacciata ad aspettarmi e decido di comprare un ajarian khachapuri per festeggiare il rientro a casa.
Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Missione compiuta ! Però il TCT prosegue . Vogliamo vedere anche il seguito ....
Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato.[Charlie Chaplin]
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Non per divulgare dati sensibili, ma sei poi andato in un pronto soccorso?
Il mio giudizio complessivo sul tuo viaggio è: scialo a leggerti, come faccio con i resoconti degli alpinisti dell'Ottocento, ma non ti seguirei nemmeno se avessi in premio l'Orda d'oro. Resto da escursioni culturali
Il mio giudizio complessivo sul tuo viaggio è: scialo a leggerti, come faccio con i resoconti degli alpinisti dell'Ottocento, ma non ti seguirei nemmeno se avessi in premio l'Orda d'oro. Resto da escursioni culturali
ma che colpa io posso avere se la montagna presenta tanto di bello, che lo scritto ed il discorso diventano prolissi per accennare solo di volo ciò ch'essa porge d'interessante all'osservazione
M. Baretti, “Per rupi e ghiacci: frammenti alpini”, 1875
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Chissà...la parte Georgiana è ancora più selvaggia e problematica di quella armena stando a quanto leggo...e pure con maggiori problemi climatici...quindi si preannuncia molto interessante...
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Vista la zona geografica forse potrei attirarti con la promessa del vello d'oro...o della grotta di Prometeoawretus wrote: ↑Tue Jul 30, 2024 17:29Non per divulgare dati sensibili, ma sei poi andato in un pronto soccorso?
Il mio giudizio complessivo sul tuo viaggio è: scialo a leggerti, come faccio con i resoconti degli alpinisti dell'Ottocento, ma non ti seguirei nemmeno se avessi in premio l'Orda d'oro. Resto da escursioni culturali
Niente pronto soccorso. Funzionalità della mano ad oggi è al 90% ma il primo giorno non riuscivo nemmeno ad impugnare il bastoncino e fare forza. In compenso non appena arrivato in Italia mi sono rotto il mignolino contro uno spigolo assassino, anzi un mattone mimetizzato
Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Non ti è bastato il Cammino di Assisi per guadagnare la protezione divina ... Organizza un trekking verso Lourdes ...
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Ciao, anche se non ho commentato, ti ho letto man mano che scrivevi.
Resoconto interessante , soprattutto perchè ogni tanto fa bene alla mente cambiare punto di vista e respirare, anche solo virtualmente, realtà diverse.
Peccato per l'infortunio/sfiga, senz'altro il poco allenamento avrà in parte influito, ma come diceva FreakAntoni......
Complimenti per aver saputo affrontare e superare le molte difficoltà incontrate, dalla traccia approssimativa, agli scarponi, alla caviglia....ai momenti di sconforto.
Grazie per le immagini di volti, sempre piacevoli da vedere.
Tra tu e Dani state contribuendo non poco ad imparanoiarmi a livello canino, anche se non ho mai avuto speciali problemi, ma nemmeno particolari incontri che, a questo punto, spero di non avere mai.
Mai fatto trekking di più giorni, tra l'altro.....vabbè prima o poi magari colmerò anche sta lacuna.
Visto che siamo nel periodo, è curiosa questa cosa che in altri paesi (come anche forse da noi in certe regioni) non degnino di considerazione i porcini...hai provato ad indagare presso i locali i motivi di tale noncuranza ? E' solo questione di gusti o c'è dietro qualche leggenda, credenza o simili?
Un saluto
Resoconto interessante , soprattutto perchè ogni tanto fa bene alla mente cambiare punto di vista e respirare, anche solo virtualmente, realtà diverse.
Peccato per l'infortunio/sfiga, senz'altro il poco allenamento avrà in parte influito, ma come diceva FreakAntoni......
Complimenti per aver saputo affrontare e superare le molte difficoltà incontrate, dalla traccia approssimativa, agli scarponi, alla caviglia....ai momenti di sconforto.
Grazie per le immagini di volti, sempre piacevoli da vedere.
Tra tu e Dani state contribuendo non poco ad imparanoiarmi a livello canino, anche se non ho mai avuto speciali problemi, ma nemmeno particolari incontri che, a questo punto, spero di non avere mai.
Mai fatto trekking di più giorni, tra l'altro.....vabbè prima o poi magari colmerò anche sta lacuna.
Visto che siamo nel periodo, è curiosa questa cosa che in altri paesi (come anche forse da noi in certe regioni) non degnino di considerazione i porcini...hai provato ad indagare presso i locali i motivi di tale noncuranza ? E' solo questione di gusti o c'è dietro qualche leggenda, credenza o simili?
Un saluto
...........non seguitemi, mi sono perso anch'io !
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Ciao Psico, scusa per il ritardo nel risponderti ma ero impegnato nel viaggio di ritorno in Armenia, in auto e tutto via terra (poco più di 4.000km causa estensione ad Ankara per trovare un'amica). Ti ringrazio per aver letto ed apprezzato le mie memorie.
Spero che prima o poi qualcuno del forum, a prescindere dal fare trekking o meno, si faccia un viaggetto in Armenia...Ci sono voli diretti low cost da malpensa, venezia e roma. A novembre, bassa stagione, farò un blitz di pochi giorni in Italia (per sfasciarmi di maiale al November Porc...) ed ho preso andata e ritorno, con solo bagaglio a mano, per poco più di 50 euro. Se a qualcuno venisse la malsana idea, sono a disposizione per consigli e suggerimenti su come organizzare il viaggio in Armenia.
Con i cani non ho mai avuto grossi problemi, tranne quando facevo MTB e trail running. Camminando invece di solito li ho quasi sempre ammansiti senza problemi, ma qui nel Caucaso in alcuni casi ho fallito. Evidentemente sono del tutto disabituati a vedere escursionisti.
Riguardo i porcini preferisco non indagare: se gli dico che sono ottimi, finisce che poi vadano a raccoglierli anche loro... al mercato si vedono solo champignons e funghi grigiastri che vengono terribilmente conservati in secchi colmi di acqua...
Mi fa invece specie che tu non abbia mai affrontato trekking su più giorni. Soprattutto su lunghe distanze e se poco frequentati hanno anche un potere autopsicanalitico...l'essere da soli con i propri pensieri, affrontare difficoltà, incontrare sconosciuti con cui scambiare parole, rallentare il ritmo di vita frenetico a cui siamo costretti, guardare il telefono (offline) solo per controllare di essere sul percorso...
Spero che prima o poi qualcuno del forum, a prescindere dal fare trekking o meno, si faccia un viaggetto in Armenia...Ci sono voli diretti low cost da malpensa, venezia e roma. A novembre, bassa stagione, farò un blitz di pochi giorni in Italia (per sfasciarmi di maiale al November Porc...) ed ho preso andata e ritorno, con solo bagaglio a mano, per poco più di 50 euro. Se a qualcuno venisse la malsana idea, sono a disposizione per consigli e suggerimenti su come organizzare il viaggio in Armenia.
Con i cani non ho mai avuto grossi problemi, tranne quando facevo MTB e trail running. Camminando invece di solito li ho quasi sempre ammansiti senza problemi, ma qui nel Caucaso in alcuni casi ho fallito. Evidentemente sono del tutto disabituati a vedere escursionisti.
Riguardo i porcini preferisco non indagare: se gli dico che sono ottimi, finisce che poi vadano a raccoglierli anche loro... al mercato si vedono solo champignons e funghi grigiastri che vengono terribilmente conservati in secchi colmi di acqua...
Mi fa invece specie che tu non abbia mai affrontato trekking su più giorni. Soprattutto su lunghe distanze e se poco frequentati hanno anche un potere autopsicanalitico...l'essere da soli con i propri pensieri, affrontare difficoltà, incontrare sconosciuti con cui scambiare parole, rallentare il ritmo di vita frenetico a cui siamo costretti, guardare il telefono (offline) solo per controllare di essere sul percorso...
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Oh non preoccuparti, come vedi anch'io interagisco secondo ispirazione....Ciao Psico, scusa per il ritardo nel risponderti
Sì sì, sono arcisicuro che sia vero, però a mia memoria non mi pare di aver mai fatto niente del genere... .ma mai dire mai, anche se l'età avanza.....inoltre, ti shockerò...non ho mai preso un aereo in vita mia.Soprattutto su lunghe distanze e se poco frequentati hanno anche un potere autopsicanalitico...l'essere da soli con i propri pensieri, affrontare difficoltà, incontrare sconosciuti con cui scambiare parole, rallentare il ritmo di vita frenetico a cui siamo costretti, guardare il telefono (offline) solo per controllare di essere sul percorso...
Potrei buttare il cuore oltre gli ostacoli > prendendo un aereo > per fare un trekking di più giorni > per salire sul Monte Ararat....
Non conoscevo il November Porc...presto, qualcuno avvisi i maiali !!!
Comunque ti do una dritta (mi ringrazierai dopo ) :
DEVI SCRIVERE UN LIBRO DI RICETTE/PIATTI SLAVI/CAUCASICI, con tanto di storie, leggende, ed aneddoti personali.
Quello sì che sarà un best seller.
Interesserà anche una casa editrice vera.
Pure io ne vorrò una copia cartacea.
Pensaci, sono serio.
Un saluto
...........non seguitemi, mi sono perso anch'io !
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Re: Trans Caucasian Trail (Armenia)
Ciao Grande Psico.psiconauta wrote: ↑Wed Oct 30, 2024 18:29Oh non preoccuparti, come vedi anch'io interagisco secondo ispirazione....Ciao Psico, scusa per il ritardo nel risponderti
Sì sì, sono arcisicuro che sia vero, però a mia memoria non mi pare di aver mai fatto niente del genere... .ma mai dire mai, anche se l'età avanza.....inoltre, ti shockerò...non ho mai preso un aereo in vita mia.Soprattutto su lunghe distanze e se poco frequentati hanno anche un potere autopsicanalitico...l'essere da soli con i propri pensieri, affrontare difficoltà, incontrare sconosciuti con cui scambiare parole, rallentare il ritmo di vita frenetico a cui siamo costretti, guardare il telefono (offline) solo per controllare di essere sul percorso...
Potrei buttare il cuore oltre gli ostacoli > prendendo un aereo > per fare un trekking di più giorni > per salire sul Monte Ararat....
Non conoscevo il November Porc...presto, qualcuno avvisi i maiali !!!
Comunque ti do una dritta (mi ringrazierai dopo ) :
DEVI SCRIVERE UN LIBRO DI RICETTE/PIATTI SLAVI/CAUCASICI, con tanto di storie, leggende, ed aneddoti personali.
Quello sì che sarà un best seller.
Interesserà anche una casa editrice vera.
Pure io ne vorrò una copia cartacea.
Pensaci, sono serio.
Un saluto
Dai prendi un lowcost per Yerevan e poi ci facciamo le Geghama insieme. L'Ararat a parte essere in Turchia è un 5.000 e sebbene non credo servano competenze alpinistiche, non mi sento preparato. Potremmo però farci un Aragats che attualmente è la cima più alta in Armenia (poco più di 4000mt) e nei pressi si trovano un bel lago, la fortezza di Amberd ed un bel ristorante...
Ecco in fatto di cucina balcanica e caucasica più che un libro di ricette potrei propormi come recensore di ristoranti e tavole calde Oggi per la prima volta ho preparato il grano saraceno con verdure. Solitamente lascio a mia moglie le ricette locali che io tendo ad "imbastardire" con tocchi di italianità...In attesa del November Porc mi conviene fare un po' di detox...