Sono partito la mattina del 19 verso le 7 del mattino, da Torriglia, dal capolinea delle corriere. L'idea era quella di raggiungere Salogni: telefonicamente, il giorno prima, mi ero sincerato della possibilità di pernottamento in un albergo del paese. Quindi, l'indomani avrei raggiunto Avolasca: quasi 70 chilometri in due giorni, un'impresa probabilmente (e poi effettivamente) improba per me, ormai fuori forma e appesantito dal matrimonio

Dieci anni fa mi bevevo 7 o 10 mila chilometri all'anno in bicicletta, e giravo già anche per monti, a piedi e in mountain bike; poi, piano piano, la bicicletta l'ho messa da parte, ho intensificato le camminate e la conoscenza della nostro appennino "delle Quattro Province", fino ad abbandonare quasi del tutto, negli ultimi due anni, la bici (e ad usarla "solamente" per raggiungere i luoghi di lavoro), diradando anche le camminate. A 18 anni non pesavo 70 chili (ed ero in effetti un po' magrino

Lungo la provinciale prima di Bargagli, quando era ancora notte, dai finestrini della corriera ho visto l'incendio che dal giorno prima si stava mangiando il bosco sopra Rosso di Davagna (preoccupato avevo scritto ad un amico, nel timore che fosse stato appiccato proprio quella notte). Quindi, con il cane Pimpa che mi accompagna stabilmente da quasi tre anni, ho aggredito la mulattiera che si inerpica verso Donetta, quindi lungo i vecchi pascoli che portano al Colletto (qualche daino qua e là) e in quota, verso l'Antola, lungo uno dei più noti sentieri di accesso al monte. Se ricordate, in quei giorni c'era un vento micidiale. Difatti, ci accompagna fino in vetta. Cappuccio tirato su, berretto di lana (passamontagna dimenticato a casa nel cassetto). Un'ora e mezza e sono in cima. Nessuno al rifugio. Firma al quaderno del Parco alla Cappelletta e ripartiamo, direzione la Casa del Romano e le Capanne di Carrega.
Qualche tratto ghiacciato, a scendere; neve gelata (è tutto gelato, i ruscelletti sono uno spettacolo, ma il cane lo devo far bere dalla borraccia -.- ); un po' d'attenzione e via, oltre le Tre Croci; raffiche record sopra la Casa del Romano, quindi alle Capanne di Carrega dopo tre ore. Altri daini, le mucche di Aldo (l'uomo che sta portando fuori le vacche è la prima persona che vedo), il sentiero gelato alle pendici del Carmo, quindi tutta la traversata del così detto "monte lungo" (qui neanche 400 anni fa fu ammazzato l'ultimo orso ligure), che ci porterà fino alle Capanne di Carrega: prima su strada da trattori, poi sul sentiero che scende al passo di Legnà (non so se il nome è giusto, non ho dietro la cartina e non ricordo), a sinistra si scende a Cartasegna (il monte sopra il paese è bruciato per un bel pezzo), a destra si scende a Bogli, per la val Boreca (dove sono stato una dozzina di giorni prima - meno 10 gradi a Loco, meno 4 al passo della Maddalena - per un giro tra Suzzi e Pizzonero, che forse racconterò in altra discussione).
Qui il tratto più duro della giornata: raffiche di vento molto forti e costanti che ci accompagnano per tutta la salita al monte Legnà e la traversata del Cavalmurone; ho un po' male al ginocchio, il cane è un po' cotto, il vento lo mette alla prova. Raggiunte le Capanne di Cosola, vediamo la prima automobile (il postino che ne viene dalla strada di Bogli e Artana); al ristorante del passo delle Capanne, non c'è nessuno; entro, mi riscaldo, aspetto; potrei portarmi via tutto; dopo mezz'ora buona, il vociare che sentivo provenire dal piano di sopra si avvicina e sbuca il proprietario: una cioccolata calda, il tempo di far due chiacchiere e di farmi dare due dritte sul sentiero, e riparto (non sapevo ancora se salire al Chiappo e scendere a Bruggi, e quindi - per la strada asfaltata - raggiungere Salogni, oppure guadagnare la bocca di Crenna - il passo tra i monti Chiappo ed Ebro - e scendere attraverso le stalle di Salogni o il rifugio Orsi: non sono molto pratico della zona, non avevo mai percorso i sentieri dell'alta val Curone; i rifugi sono tutti chiusi e il pernottamento in albergo è un lusso che ho dovuto concedermi per necessità).
Visto il vento ("e ieri ce n'era molto di più; ha presente la bora di Trieste? era tutto un vortice di foglie"; a proposito di foglie: montagne di fogliame lungo i sentieri; la Pimpa, il cane, buffissima, affondava e quasi spariva alla vista; sopra Bavastri, in un punto, mi arrivavano alla vita), dicevo visto il vento, appena approccio la salita al Chiappo, decido di abbandonare il sentiero e di provare a raggiungere la bocca di Crenna per prati e per le tracce delle vacche; rispetto alla via di crinale, risparmio l'abbuffata di vento, che però, picchiare, picchia. Al passo scendo per la strada sterrata, che alle stalle di Salogni diventa asfaltata; qualche occhiata alla cartina, ma decido di rimanere sulla strada; come sempre, l'asfalto mette a dura prova le mie anche e le mie ginocchia, specialmente dopo quasi 30 km; arrivo in paese dopo 7 ore di cammino effettivo e un'ora di sosta alle Capanne.
In albergo non c'è nessuno; o meglio, solo un muratore che sta lavorando al piano di sopra: è il figlio della signora che avevo avvisato il giorno prima, al telefono, del mio arrivo; mi accompagna alla mia stanza, gentilissimo; doccia, letto, dormo; il ginocchio mi fa male; la Pimpa ha fame (a 500 metri dal paese stava per mangiarsi un escremento di non so quale carnivoro) e poi s'addormenta quasi subito; ovviamente sono l'unico ospite; ottima cena; mi guardo la partita (ho una minuscola tv in camera), prendiamo quattro pere dalla Roma, addio Coppa Italia; poi dormo come una pietra fino alle 7 del mattino dopo.
Colazione, pago (prezzo onestissimo, 56 euro per dormire, cenare, far colazione e farmi fare due panini giganteschi da mangiare per pranzo) alle 7.45: mi rendo subito conto che non sarò in grado di terminare il giro previsto. Mi aspetterebbero circa 35 chilometri: una volta raggiunta Caldirola e guadagnato il monte Giarolo, dovrei scendere verso il paesi di Giarolo e Vigoponzo, lungo il sentiero che sulle carte potete trovare indicato come "139" (Avolasca-Monte Gropà - "la via dei Mercanti"), quindi monte San Vito e Avolasca; una parte di quel sentiero, nel suo tratto conclusivo, l'avevo percorsa a marzo dell'anno scorso, da Serravalle Scrivia fino appunto ad Avolasca, lungo tutto la dorsale tra Borbera e valle di Vargo, per raggiungere il posto dove poi ho lavorato due giorni alla settimana per sei mesi (nella vigna e nel frutteto, un'esperienza bellissima).
Mi accorgo, sin dai primi passi, che oggi "non è cosa": difatti, non solo avrei dovuto raggiungere Avolasca e camminare per 35 km, ma avrei dovuto farlo a ritmi serrati, dato che l'unica corriera sarebbe partita alle 15 da Avolasca, per Tortona; forse non avrei neanche avuto il tempo di passare a salutare gli amici. A raggiungere Caldirola, infatti, impiego oltre un'ora: la Pimpa, decisamente più pimpante di me, fa il doppio, se non il triplo della strada che faccio io, sempre avanti e indietro. Una comoda carrabile ci porta verso Caldirola, lasciando perdere i vari bivi che salgono o scendono; la si abbandona all'altezza di un tornante a sinistra, per imboccare una mulattiera (un tempo, senz'altro, strada da carri) che sale fino al parco giochi del paese. Prendo la strada segnata per il Giarolo, che passa a fianco alle stalle di Caldirola, diventa sterrata e s'inerpica attraverso i pascoli ed entra nella faggeta. Giunto al bivio per la via diretta al monte, che attraversa l'abetaia, proseguo sulla strada che in breve mi porta sul crinale, i prati sfalciati, che bellezza.
A sinistra, gli impianti sciistici, il rifugio di monte Gropà; non c'è quasi traccia di neve. A destra il monte Giarolo; il vento picchia di nuovo, che raffiche! Ci aveva dato tregua alla partenza (come da previsioni del genero dell'albergatrice di Salogni; un valdostano; tutti molto simpatici e gentili), ora riprende, la Pimpa fa come può. Decido ugualmente di raggiungere la vetta del monte (non c'ero mai stato) e torno subito indietro: il vento, in cima, ha buttato giù alcuni paletti della sentieristica; micidiale. Riguadagno i pascoli sfalciati: l'idea è, ora, di intercettare una strada vicinale che, proprio dal crinale tra il Giarolo dovrebbe scendere verso Volpara, una grossa frazione del Comune di Albera Ligure, abbarbicata sulle pendici del Giarolo; non intercetto la strada, quindi proseguo verso il passo di Bruciamonica; dovrei tornare indietro, oppure salire sul monte Panà e scendere per quel crinale che mi porterebbe verso le frazioni di Vigo e Figino e quindi sulla strada provinciale per Cabella.
Decido invece di provare a rintracciare un sentiero, stando alle carte, dovrebbe scendere proprio da qui, verso i pascoli di Volpara; eccolo, lo vedo, è lui; è inverno, lo posso seguire, è un canalone dov'è cresciuto il bosco. Infatti lo perdo; ora è bosco; mi butto giù, scendo dritto per dritto, a sentimento. Ogni volta, riesco sempre a non farmi mai mancare qualcosa del genere. Guadagno, al termine di questa picchiata, alcuni prati e quindi una fontana; infine la strada vicinale che avrei dovuto imboccare sotto il Giarolo; la seguo costeggiando un paio di piccoli nuclei di case sopra Volpara (le Vignasse e il Pian della Chiesa, entrambi presidiati) e le stalle di Volpara (abbandonate, come del resto quelle di Salogni); ci accompagna Ringhio, che ad un certo punto sbuca dal nulla, una specie di Dachsbracke, zoppicante, che cerca subito il contatto con la Pimpa, la quale dapprima gioca ma poi non gradisce le insistenze e glielo fa intendere senza mezzi termini. In paese, a Volpara, mi fermo a mangiare: quando riparto, zoppico. Ormai l'obiettivo è il fondovalle: corriera fino ad Arquata e treno fino a casa. C'è tutto il tempo.
Una strada a fondo cementato conduce ad un'altro gruppo di case, sotto il nucleo principale: qui diventa sterrata e prosegue, a mezza costa, con qualche lieve strappo, fino tagliare il monte e giungere ad un trivio: a destra, in salita, si va al Giarolo; a destra, in discesa, si va verso il paese di Pallavicino e i piani di San Lorenzo; a sinistra, in discesa, la mia strada, che mette a dura prova le mie articolazioni fuori allenamento. Passiamo in alto, sopra il paese di Vendersi; bei panorami verso la val Curone e i colli tortonesi; quindi, al bivio, anziché puntare su Cantalupo (un'ora), prendo per Albera (mezz'ora), dove trovo un amico appena rientrato dal lavoro, per il tempo di un caffè; la corriera passa tra mezz'ora. Un signore anziano (direi oltre la settantina, speriamo non legga mai) ci sente parlare e dice: "io devo andare a Genova, basta che sali in macchina, ti mollo a Sampierdarena"; non me lo faccio ripetere due volte; arrivo a casa con un'ora di anticipo (e risparmio pure i soldi del viaggio). Cammino a gambe larghe per i due giorni successivi.
Scusate: ho scritto male, anzi direi malissimo; senza rileggere. Adesso cerco qualche foto, ma ne ho poche: il telefono si è spento, scarico, poco dopo le Capanne di Carrega; insomma, ho fatto - come sempre - tutto quello che non si dovrebbe fare in questi casi: solo, su sentieri ghiacciati, con il telefono scarico, non perdendo l'occasione di cercare di passare per sentieri sepolti dalla vegetazione.
P.S. E non ho raccontato della Val Boreca, il 7 di gennaio... (i miei compagni di viaggio ---------->

Saluti a chi conosco (ci vedremo al Raduno dell'anno prossimo; forse!) e anche a chi non conosco
