Non sono solito a scrivere molto, questa volta però due righe (per modo di dire

), per descrivere come è andata, le butto giù. Chi ha voglia e tempo per leggere ben venga, per chi no (lo posso ben capire

) le foto sono due o tre post sopra
Venerdì sera appena finito di lavorare ci fiondiamo al Bozano, avvolti da un nebbione che non ci fa vedere ad un palmo dal naso.
Nel tratto boschivo sopra il Gias delle Mosche l’umidità raggiunge livelli altissimi, tanto da farci strizzare le maglie…., più che in Montagna sembra di essere in Papua Nuova Guinea!
Saliamo abbastanza veloci parlando del più e del meno, e, come al solito ridendo e scherzando, il che alleggerisce un po’ il pesantissimo zaino che portiamo sulle spalle.
Arriviamo al rifugio quando ormai è buio.
Sabato mattina, appena svegli la nebbia è ancora presente….. Argh!!! Tra imprecazioni varie, facciamo colazione e aspettiamo, ma tutto d’un tratto il cielo si apre e la giornata diventa meravigliosa. Non più una nuvola.
Masticando ancora i biscotti della colazione ci carichiamo lo zaino e via dritti all’attacco della De Cessole, non stiamo nella pelle, quasi corriamo su quella pietraia, tanta è la voglia di assaporare la mitica roccia del Corno.
Arriviamo all’ingresso del cengione dove facciamo un tiretto per arrivare alla parte superiore, poco sotto l’attacco della “nostra” via.
Davanti a noi una coppia di francesi si accinge a salire la vicina via “Lupetti”.
Ci siamo, il momento tanto atteso è arrivato, parto io, quasi non mi rendo conto che sto per scalare una via che ho sempre sognato. Le difficoltà sono contenute, lo so, ma per noi significa molto.
Da anni speriamo che qualcuno dei nostri “maestri”ci accompagni, ma per un motivo o per l’altro non siamo mai rirusciti ad organizzare, così, dopo esserci preparati a lungo, e esserci convinti di potercela fare da soli, ecco la decisione di andare.
Il primo tiro è un diedro che a metà diventa camino con passaggio di IV, protetto da uno spit sulla destra. Giungo senza problemi alla sosta e recupero Kevin, scambio di materiale e parte lui per il secondo tiro.
Non ho tempo a rilassarmi che giunge via radio l’esclamazione “molla tutto”. Bene riparto!
Siamo ora al famoso traverso di L3 e L4, so che con corde da 60 m si può arrivare giusti alla sosta sulla vena di quarzo e così è. Il tiro (o meglio i tiri) sono fantastici, una placca appoggiata da percorrere in leggera ascesa verso destra, sempre ben appigliata, con difficoltà mai superiore al III.
E anche questa è fatta, recupero Kevin che si gode a sua volta il traverso.
La giornata è magnifica, non una nuvola, non un alito di vento, siamo ancora in ombra ma non fa freddo, cosa chiedere di più?
Kevin da una rapida occhiata alla relazione e riparte per la quinta lunghezza, sopra le nostre teste c’è uno strapiombino da aggirare sulla destra, infatti in breve non lo vedo più.
Il tiro è lungo, grosso modo 50 m e porta direttamente alla sosta sotto il celebre “mauvais pas”.
Non ho il contatto visivo con il compagno, ma le corde scorrono con una certa regolarità, bene, segno che non ha problemi nella progressione.
Infatti, dopo una decina di minuti ecco la sua pronta chiamata via radio, tocca di nuovo a me, supero lo strapiombino sulla destra, salgo una placca inclinata verso sinistra e punto dritto al camino.
Il passaggio è faticoso e lo zaino non aiuta, ma tra uno sbuffo e l’altro ecco che rivedo Kevin sorridente in sosta.
Anche lui è radioso, in volto si legge la felicità e la soddisfazione per quello che stiamo facendo, senza ovviamente tralasciare un attimo la concentrazione.
Giungo in sosta e, dopo essermi complimentato con lui per aver superato ottimamente il passaggio, guardo quello che mi aspetta: la mitica placca superata in libera da Plent durante la prima salita al Corno, nel lontano 1903, il“mauvais pas”.
La tensione aumenta, in realtà sino a quel momento non ci ho pensato più di tanto, diciamo che la concentrazione su ogni singolo tiro mi ha fatto salire senza grossi patemi. Ora però devo fare i conti con lei, questa magnifica placca, valutata IV+.
So che il tiro ha una chiodatura molto generosa, per non dire da falesia, e questo sicuramente mi agevola molto.
Parto, aggiro sulla sinistra una roccia aggettante e mi ristabilisco sulla placca, ecco uno spit, bene, rinvio e mi alzo, facendo presa con le mani su piccole tacchette. Per i piedi devo fare affidamento sull’aderenza. I passaggi sono indubbiamente delicati ma ribadisco che la chiodatura aiuta.
Mentre salgo, tra un “vado” e un ”occhio eh!”, pronunciati al compagno che mi assicura, non posso fare altro che pensare alla bravura e al coraggio dei primi salitori.
Qui si respira profumo di storia e alcuni chiodi arrugginiti e risalenti a chissà quanto tempo fa, ce lo ricordano.
Sempre studiando attentamente i passaggi e giocando di equilibrio, rinvio altri due spit ed ecco che la placca si addolcisce, le tacchette ora diventano prese leggermente più amichevoli, fino a portarmi ai due spit di sosta.
Mi assicuro e recupero il compagno, il “mauvais pas” è andato!!!
Il tiro successivo è ancora delicato, una placca fessurata verticale, anch’essa valutata IV+.
Chiedo a Kevin se preferisce che continui io davanti, ma è determinato e vuole salirlo lui, non posso che fargli i comlpimenti, quest’anno ha potuto arrampicare poco, ma nonostante ciò si muove come se non avesse mai smesso, e poi oggi c’è, l’ho già notato. Bravo Kevin!
Studia un po’ il passaggio e di forza si tira sopra la fessura, rinviando un chiodo sulla destra. Poi si sposta leggermente a destra e supera la delicata uscita della placca. Porca miseria, io se mollo qualche mese l’arrampicata non salgo neanche una scala a pioli, invece lui oggi sembra non accorgersene nemmeno! Argh!!!!
Dopo la placca lo perdo nuovamente di vista, poi sento che le corde non scorrono più, mi urla che non ci sono più chiodi e deve “cercare” un po’ la via. Dopo qualche minuti sento: “eccolo!”, e le corde riprendono a scorrere, bene!
Ancora qualche passaggio delicato e giunge in sosta. Rimangono due tiri da fare ma le difficoltà sono tutte alle spalle.
E’ fatta!
Arriviamo sul pianoro sommitale assieme a sbuffi nuvolosi che precludono la vista altrimenti magnifica. Peccato, come dice qualcuno, non si può avere tutto!
Una stretta di mano, foto di rito dalla croce e via a cercare la linea di calate di Barone Rampante. Le indicazioni date da Marco, l’ottimo gestore del rifugio Bozano, sono efficientissime e in breve troviamo la sosta di calata.
Giù con quattro doppie da 50 metri circa e siamo sulla cengia mediana, un’altra calata su placche inclinate per giungere sulla traccia di sentiero della cengia e le ultime due di 30 metri che ci depositano sulla pietraia.
Ora la concentrazione può calare, la gioia prendere il sopravvento, abbiamo salito il Corno, i mille dubbi dei giorni precedenti sono solo un lontano ricordo!
Ci guardiamo e entrambi abbiamo un’espressione di gioia, come i bambini la mattina di Natale!
Quasi simultaneamente pronunciamo la frase :”ci avresti mai pensato qualche anno fa?”
Ridiamo.
Abbiamo salito il Corno!
Ne avevamo davvero bisogno!!!